Il montagnino e il Mare

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Io vengo dalle Prealpi Lombarde, da un’ecosistema fatto di montagne e laghi chiamato Triangolo Lariano.

Dove sono nato io l’orizzonte è sempre una montagna o quanto meno una collina dietro cui che si nasconde qualcosa ancora da scoprire. Se poi si sale abbastanza si può vedere il Lago di Como e, al di là del ramo di Lecco, ammirare la magnifica Grigna.Nei giorni di bel tempo si riesce a vedere ad ovest, attraverso la Pianura Padana, anche la cima del Monte Rosa. Questo è da dove vengo io.

Ora sono sulla costa orientale dell’isola di Zanzibar e davanti a me ho l’Oceano Indiano. Qui, guardando il mare, l’orizzonte è una striscia di onde azzurre oltre la barriera corallina mentre la terra, piatta alle mie spalle, si nasconde dietro la prima fila di palme. Orizzonti diversi per mondi diversi.

Da montagnino quale sono ho imparato a nuotare meno di dieci anni fa e da allora ho sempre cercato di scoprire cose nuove su questo misterioso mondo azzurro, senza però essere mai riuscito a comprenderne a fondo la natura.

Lo stesso vale anche per la sua gente. Qui vivono praticamente a ridosso del mare, vivono grazie ai suoi frutti traendone cibo e calore. Le piante da frutto crescono rigogliose appena dietro la spiaggia e se nelle vicinanze scorre anche l’acqua dolce si ha disposizione quasi tutto quello che serve. Eppure l’indole di questo gigante azzurro non mi appare benigna, spesso nei miei occhi la bellezza lascia il posto ad un senso di ostilità o quantomeno di incurante indifferenza.

Qualcosa stride in ciò che vedo: la gente che vive del mare qui sembra avere a dispozione tutto ma, nonostante questo, pare immobile. Come senza avere un peso di fronte a questo gigante costruiscono sulla sabbia lasciando che il vento e la salsedine corroda e consumi ogni cosa.

In Tibet, sulle grandi montagne, ho visto famiglie sopravvivere sfidando il freddo ed una natura dura, severa e avara. Li ho visti ingegnarsi con mezzi scarsi o quasi inesistenti, sfidare il tempo costruendosi in quella povertà un futuro nonostante la consapevolezza della propria transitorietà. Qui invece la gente sembra rassegnata o incurante. Sorridono felici di un oggi dal domani incerto: il mare dà il mare prende.

Ed è così, guardando il mare ed i pescatori, che ho capito qualcosa sulle nostre montagne. Perchè i nostri monti possono essere duri ma in quella loro ruvidezza, in quella loro immobile lentezza sanno essere buoni maestri, nella loro solidità può fare affidamento la gente di montagna, può credere nosostante i sacrifici.

Il mare, al contrario, fa quello che vuole, concede solo di confidare nella sua clemenza o nella sua generosità. Si muove, si trasforma, spazza onda su ogni cosa lasciandola in balia dei suoi ritmi.Il mare fa quello che vuole, non si cura degli uomini.

Ma forse è giusto così: incredibilmente le montagne nella loro austera grandezza sono simili all’uomo, anch’esse destinate a scomparire, a sgretolarsi  trasformandosi giorno dopo giorno. Ad essere sconfitte proprio da quel mare capriccioso a cui non assomigliano. Un mare che è in continuo subbuglio, in continuo mutamento ma, nonostante ciò, resta sempre immutato ed immutabile, uguale solo a se stesso.

Senza la speranza di fare ritorno alle nostre montagne sarebbe impossibile conforntarsi con la forza di questo mare per uno come me.

Davide Valsecchi

Ps. nuotare quando il mare è agitato è una delle cose che più mi piace ma, mentre scivolo o precipito tra le onde, mi accorgo che di fronte a tanta grandezza tutta la mia foga è gran piccola cosa. Quando arrivi sulla vetta di una montagna quasi senti di farne parte, con il mare spesso mi sento in pace solo quando torno sulla terra ferma.

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