I love U: follia, maledizioni e serpenti

CIMA-ASSO.it > tanzania2011 > I love U: follia, maledizioni e serpenti
Io ti amo
Io ti amo

Erano le sette e mezza che, per l’ora zanzibarina, corrispondono alla seconda ora e mezza del mattino. Dormivo beato quando alla porta bussò uno dei pittori, un ragazzo napoletano arrivato da poco e con una gran passione per la pesca.“Ma dormite con la porta aperta?” domandò infilandosi nel piccolo bungalow. “Chi vuoi che cerchi guai entrando qui dentro?” pensai tra me e me mentre anche Enzo sembrava resuscitare nell’altra branda.

“Devo andare all’ospedale” disse il napoletano “Mi sono piantato un’amo in un dito”. La cosa li per lì mi sembrò buffa ma quando in contro luce vidi il dito con un piercing a forma d’amo da pesca gli chiesi di avvicianarsi. Mi infilai gli occhiali e guardai da vicino. Il napoletano si era alzato alle cinque per pisciare ed era inciampato travolgendo il tavolino della sua stanza su cui aveva riposto l’attrazzatura da pesca la sera prima. Il risultato era che un rapala, un piccolo pesce finto munito di ancorette, gli si era piantato nel dito sotto il peso di tutto il suo corpo.

Aveva già tagliato con il tronchesino il pesce finto ma era nei guai perchè un amo è come una freccia:l’unica soluzione era spingere l’amo ancora più in profondità fino a farne uscire la punta, tagliare l’ardiglione e sfilare poi l’amo di nuovo dalla parte opposta. L’alternativa era incidere ma poi sarebbero serviti un paio di punti di sutura. L’incognita erano nervi e tendini ma si sà, non tutte le ciambelle escono con il buco.

Erano ormai tre ore che aveva quell’arnese nel dito e fortunatamente si era già messo d’accordo con il driver per andare in città da un dottore: questo mi sollevava dalla responsabilità di “operare” prima ancora di aver bevuto il caffè. Se fosse successo ad Enzo probabilmente lui si sarebbe scarnificato il dito da solo prima di venirmi a dire che si era fatto male: lui è fatto così.

Così come era entrato il napoletano se ne uscì e fino a sera non se ne seppe più nulla nè dell’amo nè del dito. Scesi dalla branda, mi infilai i sudici pantoloncini cachi e mi avviai per il cantiere in cerca del toscano. Il toscano era il magazziniere ed in parte il giardiniere della struttura, parlava a perfezione il swahili e vivieva qui da qualche anno dopo essersi trasferito dal Messico: un tipo stavagante dall’accento inconfondibile.

La sera prima era entrato in mensa terribilmente agitato con una storia incredibile. Nel pomeriggio era arrivato un container di porte in legno che aveva fatto accatastare in diversi bungalow vuoti. Prima di sera però gli ascari, le guardie, gli si erano presentati dicendo che le porte erano 205 quando al toscano risultavano fossero 325. Chi avesse aperto i lucchetti agli ascari permettendo di contare le porte non fu mai scoperto così come non si capì mai perchè diavolo si erano messi a contarle. Sta di fatto che le porte furono di nuovo contate per ben tre volte ed ogni volta l’esito del conteggio era imprevedibile così come era incomprensibile il curioso giro di lucchetti che improvvisamente non funzionavano più o di cui si erano perse le chiavi o che erano stati inspiegabilemente sostituiti.

La paura del toscano era che durante la notte volessero far sparire le porte oltre la recinzione: una porta è facile da smerciare da queste parti. Appena fuori dal cantiere un ex-manovale aveva tirato in piedi una piccola baracca dove vendeva birra e cognach in bustine di plastica agli operai. Le male lingue dicevano che aveva recuperato i soldi per aprir bottega dopo che una pompa idraulica era misteriosamente sparita dal cantiere il giorno prima che si licenziasse. Il toscano sapeva che se le porte uscivano dal nostro perimetro e finivano nella baracca sarebbe stato difficile recuperarle ed avrebbero potuto farle sparire con tutta calma.

Così quella notte io, Enzo e “Blu Matisse” avevamo fatto un po’ di giri di ronda ed ora ero in cerca del toscano per sapere se la notte era passata senza portare sorprese al mattino (escludendo l’amo nel dito del napoletano…). Mentre vagavo trovai il toscano che discuteva animatamente con un capannello di operai attorno ad un baobab.

La prima volta che sentii parlare di un baobab ero alle medie. La maestra di francese ci aveva fatto tradurre un brano de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry ed io non avevo assolutamente capito che diamine fosse questo stramaledetto baobab che sul vocabolario si traduceva solo come “baobab” senza spiegare che diavolo fosse.Per me divenne una qualche strana forma di vita spaziale che minacciava il pianeta del Piccolo Principe: uno stramaledetto alieno sgretola-mondi verso cui il principe non aveva nessuna pietà!!

In realtà i locali credono che il baobab sia stata una pianta tanto vanitosa da aver sfidato Dio che, nella sua ennesima dimostrazione di comprensione e pazienza, l’aveva sdracicata dal terreno e ripiantata a testa in giù in modo che quelli che oggi appaio come rami siano in realtà le antiche radici. Questa è in parte la ragione per cui il baobab dai locali è considerato un albero magico in grado di creare un contatto con il mondo sotteraneo degli spiriti.

Bhe, quella mattina stavano tutti a discutere guardando tra le radici della pianta tanto che mi avvicinai con cautela pensando che vi fosse qualche animale strano: “Che succede?”. Il toscano mi spiegò che c’erano dei capelli umani in mezzo alle radici, che era stato compiuto un rito sulla pianta e che per questo tutti si rifiutavano di lavorare vicino al baobab per paura della collera degli spiriti.

Il toscano conosceva a perfezione la lingua ma tutte queste storie non lo convincevano, anzi, lo irritavano parecchio. In passato una ragazza si era sentita male ed aveva avuto delle convulsione svenendo e cominciando a sbavare. Tutti i presenti credettero che la ragazza fosse posseduta da uno shetani, uno spirito maligno, e si rifiutarono di aiutarla fino a quando non la trovò, un buon quarto d’ora dopo, il toscano. Furioso chiamò uno sgangherato taxi e bastone alla mano minacciò di scorticare la schiena a legnate al primo che si fosse rifiutato di aiutarlo a caricare la ragazza in macchina. Il toscano pagò il taxi e l’ospedale, solo poi si scoprì che la ragazza aveva avuto un’attacco epilettico.

Io conoscevo la storia e potevo capire quanto stessero “cominciando a girargli” al toscano per quella storia dei capelli. Così, per tagliare la testa al toro, dissi ad alta voce:“Ci penso io!!”. Mi avvicinai ad una ragazza e con un’ampio sorriso mi feci prestare la sua scopa. Impugnandola come un’improvvisato bastone magico dissi al toscano: “Spiega loro che sono un grande mago e che purifcherò l’albero con la mia magia!!”. Il toscano, esterrefatto, tradusse mentre io con versi incomprensibili toccavo con la punta della scopa la corteccia del baobab.

Nell’99 in Pakistan mi ero spacciato per dottore “guarendo” un ginocchio con del dentifricio: con il tempo ero migliorato spingendomi parecchio oltre!!

Tenendo la scopa con la sinistra, in alto verso il cielo, mi chinai a raccogliere il ciuffetto di capelli con la destra: è curioso come i capelli dei neri formino una specie di riccioluto batuffolo irsuto. Dissi al toscano che avrei chiesto l’aiuto del mare ed avrei gettato il feticcio di capelli tra le sue onde disperdendone le magia. Mi incamminai tra gli sguardi stupefatti dei presenti verso la scogliera e con fare solenne, scongiurando improvvisi scherzi del vento, gettai i capelli in mare.

Agitando la mia scopa in segno di vittoria tornai al baobab dove ora tutti ridevano contenti inneggiando al “mgamga”, il grande mago bianco. Soddisfatto guardai tutti gli uomini tornarsene al lavoro sotto lo sguardo scocciato ed enigmatico del toscano che, in verità, sebrava chiedersi silenziosamente se fossero più stupidi loro, io o forse lui. Del gruppetto solo una ragazza si fermò immobile e, a bassa voce, disse qualcosa in swahili al toscano che, scuotendo la testa in modo flemmatico, tradusse anche per me: “Lei dice che ha capito che sei un grande mago ma ora vorrebbe sapere se le puoi tornare la sua scopa per andare a lavorare….”.

Questo era l’inizio di un’altra giornata africana e, prima che la follia si impadronisse di me, avrei dato la caccia alla mia tazza di caffè: vivo in mondo strano forte alle volte…

Davide “Birillo” Valsecchi

PS. a fine serata il napoletano tornò in cantiere. All’ospedale i dottori cubani gli avevano fatto una “lastra domestica” e dopo avergli riempito il dito di anestetico gli “strapparono” l’amo trattenendolo in due per gambe e braccia. Gli fecero la lastra ma non gli medicarono nemmeno la ferita e toccò a me mettergli un paio di cerotti.

La sera stessa, per festeggiare, andammo a bere fuori spingendoci fino alla zona turistica. Il napoletano si mise a parlare appoggiandosi con la mano ad un piccolo muretto. Vidi Enzo avvicinarsi e con decisione e delicatezza afferrare il braccio del napoletano staccandolo con lentezza dal muro. Il napoletano non sembrava capire e stava per protestare quando Enzo gli disse: “Da queste parti ci sono un sacco di cose brutte che strisciano e che trovano il caldo dei muretti interessante. Di solito poi non amano essere disturbate”. Appena sopra il muretto c’era una serpente dal manto olivastro e scuro, lungo una trentina di centimetri e dalla testa piccola ed appuntita. Aveva la pancia chiara e gonfia come se si fosse appena nutrito.

La foto del serpente è ora nell’Iphone di Enzo. Non so che specie fosse anche se mi hanno detto che da queste parti si trova oltre ai grandi pitoni anche il mamba verde ed il mamba nero. Lo scorso anno sull’isola di mafia mi ero abituato a trovare piccoli cobra ma qui a zanzibar, tranne quello di mare che ha morso Enzo, questo è il primo serpente che mi capita di incontrare.

Comunque sia il napoletano ha decisamente imparato a tenere le mani apposto in Africa…

Theme: Overlay by Kaira
%d bloggers like this: