Erich Abram

Ogni anno noi reduci del K2 organizziamo un incontro, ed invitiamo anche il Cassin che, malgrado il suo curriculum, era stato escluso dalla selezione, perché Ardito Desio temeva che la sua fama avrebbe potuto metterlo in secondo piano. Durante la spedizione eravamo ben affiatati: tutti sapevano andare in montagna.

Io ero quasi sempre in tenda con Walter Bonatti e con Cirillo Florianini. Occidentalisti ed orientalisti (alpinisti con esperienza sulle Alpi occidentali o orientali N.d.R.) erano in ugual numero. Favoriti erano gli occidentalisti perché abituati al ghiaccio, al misto e alle quote più alte, ma poiché il K2 non è una passeggiata su neve, ma c’è dell’arrampicata, dove la parete si impenna, erano davanti i “dolomitisti”.

Questo andava bene, anche perché per tanto tempo non c’è stato nessun attrito, intanto in parete eri fuori dalle grinfie del “vecchio” (Ardito Desio, il capo spedizione). Ogni giorno alle tre voleva il collegamento radio, ma spesso non era possibile perché non portavi sempre la radio che pesava più di un chilo e la lasciavi in tenda. Prima si portavano le tende, le bombole, il cibo e così avanti e indietro occupavamo via via i vari campi a quote sempre più alte; poi si alternavano i gruppi e si costruiva la teleferica. La teleferica trasportava materiali a 30 chili per volta, così noi potevamo arrampicare liberi da pesi, anche se c’era il rischio di perdere qualche carico.

Allora il sentimento nazionalistico era molto forte, ma non solo in Italia. La gente, come si vede nel documentario di Mario Fantin girato prima della spedizione, era un po’ scettica, non credeva che avremmo potuto avere dei risultati dove avevano fallito gli Americani. In realtà noi eravamo molto ben preparati, con un equipaggiamento d’avanguardia per l’epoca. Siamo stati per 47 giorni su una cresta dove il vento raggiungeva i 110 km/h e dovevi continuare a salire e scendere, ad arrampicare malgrado la bufera. I giorni di bufera erano logoranti, anche perché capitava che in una tenda di due persone eravamo dentro in cinque.

Anche quando Mario Puchoz (l’unica vittima della spedizione, morto di edema polmonare) stava male, era salito il medico e noi siamo scesi per fargli posto. A scendere eravamo costretti anche perché più sei in alto e meno riposi, meno recuperi la fatica. Anche Puchoz se fosse riuscito a scendere anche di 5/600 metri poteva cavarsela. All’epoca il mal di montagna era poco conosciuto e lui pensava di poter riprendere a salire il giorno dopo con noi. In realtà il giorno dopo era peggiorato e poi era troppo tardi per fare qualcosa. Uno a quelle quote deve interrogare se stesso e decidere, anche un medico non può dirti nulla. Ma tutti questi fenomeni si possono migliorare se si scende di quota.

Il nostro organismo è fatto a regola d’arte ma è fatto per vivere a quote basse, devi assorbire ossigeno e acqua e anche questa è un problema da risolvere nelle alte quote perché devi sciogliere neve e si ottiene un liquido privo di sali e anche di questo ha bisogno il corpo umano. Il medico della spedizione era Pagani e siccome non voleva parlare di donne ci siamo fatti spiegare tutto sulla medicina di montagna.

Molti di noi avevano mogli e fidanzate e l’unico contatto era la posta che andava e veniva con i portatori con 14 giorni di marcia. Quando arrivava la posta era sempre una bella sferzata per il morale. Con il sacco della posta viaggiavano anche rifornimenti per i portatori. I portatori avevano la farina per tutti e si facevano il pane fresco. Usavano del peperoncino sciolto nell’acqua dove intingevano il pane. Quando noi lo abbiamo provato ed abbiamo scoperto che era buono lo scambiavamo con le nostre caramelle, con cartine colorate e con cibi speciali che sembravano paglia, e che era stato confezionati appositamente per noi da alcune ditte farmaceutiche.

Dopo il K2 sono tornato ancora con la voglia di andare in montagna e ho continuato ad arrampicare, ma ho preso anche il brevetto di volo, prima dell’aereo poi dell’elicottero. Con il Piper sono stato bloccato al Rifugio Casati sommerso dalla neve per 14 giorni. In quei tempi il Soccorso Alpino si faceva con questi piccoli e maneggevoli aerei. Abbiamo recuperato uno sciatore sulla Croda da Lago atterrando su una valanga. Il Piper era come una Volkswagen, mai sentito che si sia fermato un motore. Con l’elicottero una volta mi sono incendiato in volo.

Nella foto Walter Bonatti ed Eric Abram al K2 nel 1954
Intervista a cura di Ermanno Filippi ed Augusto Golin

 

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