Strahlhorn (4190m) Cresta Nord-Ovest

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Quando arriviamo a Saas-fee veniamo dirottati in una specie di terminal d’aeroporto dove dobbiamo lasciare la macchina. Dal 1951, anno in cui fu costruita la strada che porta a valle, nel paese non può circolare alcun tipo di veicolo a motore ad eccezione dei piccoli veicoli elettrici del servizio pubblico. “Fantastico” verrebbe da pensare, se non fosse che il socialismo più estremo si è trasformato nel più costoso dei capitalismi: il mio vecchio e logoro portafogli piange disperato consapevole che questa è la Svizzera e che da tutta questa faccenda non ne usciremo senza una severa “pettinata”.

Tra le nuvole appaiono però il Dom (4.545m) e l’ Allalinhorn (4,027m), la grandiosità della scenario che emerge dal grigio degli impianti da sci è tale da travolgere ogni incertezza o rimpianto. Caricati gli zaini in spalla ed indossato l’equipaggiamento d’alta quota, attraversiamo il paese fino a raggiungere la funivia del Felskinn: in meno di cinque minuti schizziamo da 1792 a 2991 metri di quota (Badaboom!!).

Scaricati direttamente sul ghiacciaio iniziamo la traversata che in una quarantina di minuti ci porterà al rifugio Britannia (3030m) ed al cospetto della nostra meta, lo Strahlhorn (4190m) e la Cresta nord-ovest.

A capo della nostra compagine c’è Giovanni e con lui Sandro, consigliere del Cai Asso, e suo nipote Gottfried di Bolzano. I due hanno alle spalle alcune belle salite sui quattromila Alpini ed alcuni trekking in Nepal; entrambi hanno una certa età, Sandro ha passato i sessanta e Gottfried si avvicina alla cinquantina, e poca dimestichezza con le manovre di corda. Lo Strahlhorn (ed il meraviglioso scenario circostante) diventano quindi la scelta migliore: una salita non tecnica ma fisicamente molto impegnativa ed estremamente appagante!

Lungo la salita al rifugio sento una familiare voce femminile, quando arriviamo al Britannia, con grande sorpresa, scatta la “rimpatriata”: troviamo infatti Michela, della Scuola di Alpinismo Alto Lario, in compagnia di Lorenzo, accompagnatore di media montagna, ed un’amica alle prime esperienze con la quota. Se avessimo provato ad organizzare un simile rendezvous non ci saremmo probabilmente mai riusciti!

La serata al rifugio passa in allegria: Lorenzo, disperatamente alla ricerca di una sigaretta, tiene banco tutta serata raccontandoci delle sue ultime salite e delle montagne Austriache dove ha lavorato a lungo come guida. Lui e Gottfried parlano perfettamente tedesco e questo rende la nostra permanenza in rifugio una gioiosa passaggiata. La notte, nonostante la quota, io ronfo alla grande mentre i miei soci si rigirano afflitti chiudendo occhio purtroppo solo qualche ora.

Quando alle tre di notte arriva la sveglia il Britannia si rianima di alpinisti che preparano l’attrezzatura e si affrettano a fare colazione. Metto il naso fuori dalla porta e una magnifica luna piena illumina il ghiacciaio dell’Allalingletscher tramontando velocemente alle spalle del Rimpfischhorn. Al buio iniziamo la nostra “discesa” sul ghiaccio (il rifugio è abbarbicato su un cucuzzolo roccioso) attraversando poi il ghiacciaio e la zona crepacciata (abbondantemente coperta di neve) risalendo quindi verso il valico dell’Adlerpass.

Quando indossiamo i ramponi formiamo le nostre cordate: Giovanni e Sandro, io e Gottfried. Poco dopo l’alba, trascorse ormai 3 ore e mezzo di lungo cammino sul ghiaccio, raggiungiamo finalmente il passo e la nostra salita entra nel vivo affrontando la Cresta nord-ovest.

Da subito lo scenario diventa incredibile (dalla cima è infatti possibile ammirare oltre 30 cime superiori ai 4000metri!). A dare magnifica mostra di sé è dapprima il Cervino, seguito dal Lyskamm, dal Rosa e da un tripudio di altri “giganti” che vanno dal Bianco all’Oberland!

La cresta è in condizioni ottime ed incontriamo lungo il nostro cammino solo una facile crepacciata abbastanza chiusa con solidi ponti. Con noi risalgono lungo il grande dosso nevoso due cordate svizzere, guidate da due guide alpine, un paio di cordate di italiani ed una di americani. Gli svizzeri, come da tradizione loro, si legano in gruppi numerosi (arrivano ad essere in sette su un corda!!) camminando ad un metro e mezzo l’uno d’altro.

Quando raggiungiamo la stretta cresta finale resto basito nel vederli camminare in quel modo lungo la stretta striscia di neve che sovrasta i due abissali strapiombi: per quanto “ganza” possa essere una guida nessuno può trattenere sei persone che scivolano in quel tratto! Oltre la cresta, ormai alla croce sommitale, ci attende la cordata a tre di Michela e Lorenzo che ci scattano questa bella foto durante il passaggio. In fila Giovanni, Sandro, Birillo, Gottfried ed alle spalle il “trenino” svizzero.

Sulla vetta, uno stretto cucuzzolo di neve e rocce, Giovanni si sbizzarrisce organizzando la foto con il gagliardetto. Io mi guardo intorno e con rapido senso pratico sentenzio: «A me della foto importa poco: piuttosto, se uno di voi tre ribalta a basso tirate giù tutti, me compreso! Io sto qui, bello seduto, a farvi sicura mentre vi scatto la foto!». Seduto su una grossa roccia (a cui avevo cautamente girato la corda) ridevo insieme a Lorenzo e Michela su quanto fosse vero quel pensiero. Quando poi, qualche minuto dopo, sono sopraggiunte le due cordate svizzere la cima ha pericolosamente mostrato tutti i limiti della sua scarsa capienza.

Scattando la foto ai miei tre soci non ho potuto che gioire della loro felicità e soddisfazione per la cima. Da sinistra: Giovanni, Sandro e Gottfried. Davvero bravi!

Lungo la discesa, superata la cresta, ho fatto una delle mie solite pirlate! La quota è una strana bestia ed influisce in modo davvero imprevedibile ed importante sul fisico. Non importa quanto in alto siate già stati in passato, oltre i tremila metri possono capitarvi le cose più strane. L’esperienza può solo rendervi più consapevoli ma a priori non vi mette al riparo da nulla.

Mentre salivo, infatti, all’improvviso, quasi senza motivo, il cuore è partito a battere all’impazzata come un tamburo. Ho semplicemente “preso atto” della cosa, ho respirato in modo più profondo rallentando e cadenzando ulteriormente i miei passi. Nel giro di qualche metro tutto era risolto. Nessun problema, quindi.

Durante la discesa, invece, il buon Gottfried mi ha offerto un salamino di carne di maiale e camoscio che preparano dalle sue parti. Dopo il primo morso la golosità ha vinto e me lo sono scofanato tutto di botto: non l’avessi mai fatto!!

La digestione è il centro nevralgico di tutto il nostro corpo umano. Quando lo stomaco o gli intestini si incartano è come entrare in stallo con un aeroplano: tutto precipita! «Ahi ahi ahi, hai fatto la pirlata, Birillo!» Questo è stato il mio primo pensiero quando un filo di mal di testa ha cominciato ad assalirmi «Eppure non sei di primo pelo, queste cose dovresti saperle accidenti!».

La discesa, già di per sé incredibilmente lunga e logorante, è stata una simpatica odissea per me. Alle undici attraversavamo il ghiacciaio sotto un sole cocente. Io avevo un desiderio latente di vomitare, un caldo aberrante e non riequilibravo liquidi in nessun modo. Piano piano ho perso tutte le energie ma, con il senno di poi, è stato divertente e persino istruttivo verificare come la testa, nonostante qualche svarione, abbia tenuto (alla fine si impara sbagliando sul facile).

Altre volte mi ero sperimentato una simile situazione ma in quelle occasioni mi ero  più vulnerabile e questo, tutto sommato, mi divertiva nonostante continuassi a darmi del pirla con una certa veemenza. Dall’Adlerpass al rifugio sono quasi sei chilometri di ghiacciaio più un ripida salita sulla morena fino al Britannia: praticamente un deserto rovente che ho vissuto come un “viaggio” assestante, un sogno che lentamente diradava man mano che si abbassava la quota.

C’è stato un momento, piuttosto divertente ora, in cui come una vecchia suocera continuavo a ripetermi: «Ma è mai possibile fare tutte queste fatiche?! Questo è solo masochismo e stupidità! Fanculo la montagna, io appendo gli scarponi al chiodo, mi compero una playstation e al diavolo tutto! Non si può far ‘sta vita da stramaledetti ogni volta!!».

Fortunatamente il mio fisico ha la capacità di riprendersi abbastanza in fretta a patto che io dorma, anche solo per qualche minuto (condizione non sempre possibile, purtroppo). Una volta raggiunto il Britannia, superato quindi tutte le difficoltà, sembravo Pisolo: ovunque mi appoggiassi mi abbioccavo recuperando un pochino di forze. Complice l’abbassamento di quota tutto, piano piano, si è rimesso in bolla. Quando finalmente quel salamino (che accidenti era buonissimo!!) ha smesso di andarmi su e giù ero nuovamente in forze e dallo stato “demolito” sono tornato alla condizione di “accettabilmente stanco”. (sono una bestiolina curiosa alle volte…)

Io sono stato in diverse occasioni oltre i cinquemila metri (ed ho preso anche qualche calcio in culo a seimila) ma tutta questa storia solo per ricordarvi (e ricordami) quanto la quota sia un ostacolo importante ed invisibile, anche su salite semplici. La quota ti frega, ti frega quando non ti lascia riposare, ti frega quando ti disidrata, quando ti affatica oltre le aspettative. Se non ci fai attenzione la quota ti frega e se lo fa quando meno dovrebbe sono davvero casini seri.

Comunque sia, non ho intenzione di appendere gli scarponi al chiodo! Anzi… Riguardando le foto non posso che essere felice di questa salita che più comunemente viene affrontata in primavera con gli sci: un ambiente davvero incredibile!! Probabilmente vi ritroverete a maledire quell’interminabile discesa ma lo spettacolo che lo Strahlhorn riesce ad offrire è davvero impagabile.

Ancora complimenti a Sandro e a Gottfried: ottima salita!

Davide ”Birillo” Valsecchi

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