ValDiMello: Luna Nascente

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Esiste un’insospettato legame culturale ed alpinistico che lega la Val di Mello ai Corni di Canzo.Qualcosa che vi racconterò quando le mie piccole ricerche saranno più approfondite: un legame davvero curioso e tutto da interpretare.

Oltre alle differenze più apparenti, calcare contro granito, fa particolarmente ridere la toponomastica. Ai Corni abbiamo nomi come “Il passo della vacca” o la “via del Purcelat”, termine dialettale per definire un norcino o ammazza maiali (soprannome dalla famiglia valmadrese dell’apritore). In Val di Mello ci si imbatte invece in nomi come “Dimora degli Dei”, “Pilastro della Metamorfosi”, “Porta del Cielo”.

Insomma, per noi villici figli del calcare, andare in Val di Mello significa sentirsi come ruspanti paesanotti che curiosano in un salotto buono per signori eleganti. Per questo motivo Sabato ci siamo portati le “corde buone”, buone come le altre ma meno vissute e più eleganti 😉

Partiti alle 5.30 da piazza mercato siamo arrivati in Val Masino. Una volta in paese abbiamo scoperto che la strada per la frazione di San Martino è interdetta al traffico per tutta l’estate, si è obbligati a parcheggiare negli spazi a pagamento e ad utilizzare il servizio bus navetta. Essendo due “villici” abbiamo parcheggiato in uno spazio libero e siamo partiti a piedi in caccia del granito.

Come due foresti abbiamo subito sbagliato strada: il sentiero che porta all’attacco di “Kundalini” infatti non rimonta e, per rimediare all’errore, abbiamo fatto torrentismo fino a raggiungere la cascata sovrastante. «Granito bagnato come riscaldamento! Non ci facciamo mancare nulla!»

Sempre a causa della nostra “forestitudine” abbiamo puntato all’uscita di “Kundalini” (che abbiamo ripetuto un mesetto fa) in cerca dell’attacco di “Luna Nascente”. «Accidenti, se le fanno una dietro l’altra deve essere qui da qualche parte l’attacco della via!» Dopo aver pascolato un po’ attraverso le placche abbiamo finalmente compreso le indicazioni sulla nostra guida e, tornati sui nostri passi, abbiamo risalito il canale raggiungendo finalmente l’attacco.

Nonostante le vicissitudini e la preoccupazione di non trovare la via eravamo molto contenti: paese/attacco della via in un’ora secca! Non solo eravamo i primi ad arrivare ma, fino a mezzo giorno, l’unica cordata sulla parte alta dello Scoglio delle Metamorfosi. Dopo di noi solo una coppia di turchi, decisamente più foresti di noi!

Il granito va capito, è una roccia dalla consistenza e dalla tenuta totalmente diversa dal calcare. Serve affianare la sensibilità per riuscire a sfruttarlo. “Luna nascente”, tuttavia, parte subito violenta. Il primo tiro si rimonta un tetto azzerando su due vecchi dadi incastrati (VII / A0). La sosta, meraviglia della val di Mello, è uno spuntone fasciato da cordini vetusti a cui affianchiamo le nostre fettucce.

Anche il secondo tiro è violento, spingendo in un camino si attacca una stretta fessura che piega verso destra scorrendo sotto un tetto fino allo spigolo. Il passaggio è un VII- che può essere risolto azzerando su un chiodo ed un nut incastrato.

«Ma sto granito? Si azzera sui rottami ancora per molto?» Finalmente la via cambia, da lì in avanti non ci sarà più alcuna possibilità di azzerare e si arrampicherà inseguendo in Dülfer una serpeggiante fessura che a volte si fa appoggiata ed a volte verticale, a volte si chiude sdegnosa e a volte si offre come il più godibile degli appigli.

Kundalini aveva molti passaggi intensi ma anche momenti terribilmente godibili, come ad esempio l’arco dove, con un po’ di malizia, lo sforzo diventa un semplice gioco. Luna è invece sempre fisica, sempre intensa in uno sforzo prolungato. Richiede fluidità perchè “ti tira posso” (come il pane raffermo) se ti fermi troppo a lungo.

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Il terzo ed il quarto tiro si fanno sudare ma passano in fretta dandoci il modo di ambientarci sempre meglio. Arrivati al quinto tiro consultiamo la nostra relazione studiando sul da farsi. Dobbiamo infatti alzarci lungo la fessura fin sotto un grosso tetto, poi traversare a sinistra fino ad un mazzo di cordini da cui arrampicare in discesa lungo una grande lama staccata prima di scavalcare sempre verso sinistra lo spigolo ed attaccare la successiva fessura. “L’occhio del Falco”, ecco il nome di quel passaggio.

La nostra relazione descrive quel mazzo di cordini come una specie di sosta intermedia a protezione del tratto in cui si arrampica in discesa prima di rimontare lo spigolo. «Vedi tu, se ti sembra opportuno frazioniamo anche noi, se no andiamo alla sosta».

Mattia risale la fessura e prima di obliquiare a sinistra piazza un grosso friend che, nonostante l’allungo, piega un po’ a novanta la corda. Raggiunge il mazzo di cordini e manovrando insieme supera il tratto in discesa rimontando sullo spigolo. Esattamente sopra di me mi descrive quello che vede raccontandomi la successiva fessura. Quel tratto è il cuore della via, una lunga fessura di oltre venticinque metri proteggibile solo a friend.

Mattia attacca la fessura scomparendo completamente dalla mia vista, solo lo scorrere della corda mi porta sue notizie. La corda scorre, lenta, irregolare ma senza strappi. La lascio scivolare attraverso il reverso “ascoltandola” con attenzione. I due segni scuri che indicano la metà della corda sono passati da un pezzo ed i conti cominciano a non tornarmi.

Guardo la corda a cavallo della deasy chain ed urlo “Mattia! 10 Metri!” Nella valle rieccheggia il rumore del fiume e degli uccelli ma dal mio socio non giunge nessuna risposta. La corda scorre e mi dice che sta ancora arrampicando. “Mattia! 5 metri!”. La questione si sta facendo spessa perchè, stando alla relazione, avrebbe dovuto esserci una sosta già da un pezzo. “DUE METRI!”. La corda scorre, Mattia sta ancora arrampicando. Libero la corda dal Reverso e mi alzo in piedi sulla mia sosta. La corda scorre lenta. “FINITA!!”.

Non c’è molto da capire: il mio socio è all’altro capo della nostra corda da 60 metri, è aggrappato ad una fessura protetta solo a friend mentre cerca di guadagnare la sosta. Le alternative sono solo due ed entrambe sgradevoli. Disarmo la sosta ed inizio ad arrampicare anche io. Siamo in una specie di “conserva protetta”: senza vederci o sentirci giochiamo all’elastico dandoci corda l’un l’altro. Il primo che sbaglia tira a basso entrambi!

“Click” la mente ed il corpo cambiano marcia, arrampico determinato ed aggressivo come non mai, ignorando la corda che a volta si affloscia lasca e a volte si tende “bisognosa”.

Quando raggiungo il friend guadagno di colpo un paio di metri buoni di corda. Devo attraversare verso sinistra. Mi apro in spaccata e mi attacco a due mani ad una sorgenza. Devo essere rapido e preciso, devo arrivare sul piccolo terrazzino e raggiungere il mazzo di cordini. Se cado e pendolo in quel punto combino davvero un disastro.

Raggiungo i cordini ed agguanto la lama spaccata su cui devo arrampicare in discesa. Aspetto un istante: ora “deve” per forza essere alla sosta, non posso tentare il passaggio in “conserva”. Vedo il mio lasco di corda scorrere e poi fermarsi. Poi, veloci, le due corde si tendono: Mattia è in sosta ed io nuovamente in sicura. Evviva!!

Scavalco lo spigolo ed attacco la lama. Mattia ancora non si vede ma la corda parla chiaro: tutto è di nuovo nella normalità. Una vocina nella testa sussurra divertita: “Bene Birillo, sei stato bravo, ora vediamo di godercela”.

Risalgo la fessura e recupero i friend piazzati da Mattia. Posso anche intuire il punto in cui il mio socio è rimasto senza corda dalla frequenza con cui ha intensificato le protezioni. Anche per lui deve essere stata una bella battaglia resistere a fine corsa!

Rimonto la fessura e finalmente riesco a vedere il mio socio. “Hey Mattia! Ma sta corda?” Lui mi guarda e sorride “A che punto sei partito?” “Non so, la corda era finita ma te ne serviva ancora!” “Hai fatto bene, io la sosta non l’ho mica vista. Tu?” “Naaaa, neppure io. Ma pensavo solo a stare attaccato e a venirti dietro.”

Seduti insieme alla sosta studiamo la relazione cercando di capire dove avevamo sbagliato. Stando alla carta abbiamo fatto un tiro da 90 metri in semi conserva con una corda da 60, tutto questo senza considerare le protezioni unicamente a friend. “Certo, quelli che arrampicano ai Corni sono un po’ matti, ma questa è stata una vaccata eroica un po’ fuori scala!” Colpevoli, ma divertiti, ci siamo goduti il momento tirando fiato e gustandoci il panorama e l’oceano di granito che ci circondava. (Bagai! Non prendete cattivo esempio ed imparate dagli errori altrui! Mi raccomando!)

I restanti due tiri sono una sconfinata placca da attraversare in lunghi traversi sosta-sosta senza alcuna protezione intermedia. Scivolare qui significherebbe iniziare a correre in orizzontale sul granito inseguendo un pendolo di proporzioni gigantesche. Se le soste non fossero a chiodi potrebbe anche essere divertente ma allo stato attuale è qualcosa da assolutamente evitare!

Il sole ci aveva abbrustolito per bene ed assetati abbiamo preso d’assalto un piccolo fiumicello lungo il tortuoso sentiero che portava all’attacco della via. “Dai, non ce la siamo cavata male!”.

Il bilancio della giornata era positivo: avevamo sbagliato strada (due volte) e saltato una sosta ma avevamo chiuso la via comodamente in cinque ore. Nonostante questo il nostro vero vanto della giornata era il romboante avvicinamento: paese-attacco in un ora tonda con tanto di torrentismo incluso! Non male per due foresti figli del calcare provenienti dai tre “cornetti” di Canzo 😉

Davide “Birillo” Valsecchi

Luna Nascente: 19 Luglio 2014
Mattia Ricci (Primo di Cordata) e Davide “Birillo” Valsecchi

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