Buon “non” Compleanno

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Arriva sempre il tempo di tornare ai Corni perchè ognuno di noi ha bisogno, o forse merita, un angolo di mondo capace di racchiudere in uno spazio fisico tutte le sue paure ed i suoi sogni. “Ti ho mai detto qual’è la definizione di follia? Follia è fare e rifare la stessa cosa, ancora e poi ancora, sperando che qualcosa cambi. Questa è follia.” Tuttavia ancora una volta percorrevo a piedi la strada che porta a Pianezzo: ogni volta la stessa strada, ogni volta una storia diversa.

Ritrovo Mattia e ci mettiamo in cammino verso il Corno Occidentale incrociando i nostri passi con un “caprone” al pascolo accompagnato dalle sue “signorine”. Obiettivo del giorno la via Buon Compleanno, tracciata da Giulio Zappa e Fabrizio Pina sul finire degli anni ‘90.

Giulio e Fabrizio sono ed erano decisamente più forti di noi, per capirlo basta pensare che Fabrizio è una guida alpina ed ha tracciato dal basso una via di 8a sulla parete Fasana. Visto il livello degli apritori e l’età giovanile in cui l’hanno tracciata è una via da affrontare con decisa calma.

Scavalchiamo il crinale e scendiamo lungo la cresta fino all’attacco dell’ultimo troncone della ferrata del Venticinquennale. Qui, seguendo un cavetto metallico (che ha preso un bel po’ di sassate), ci abbassiamo fin quasi a raggiungere la base del Camino Gandin nel cuore del Corno Occidentale.

Quando attacchiamo sono le due e mezza del pomeriggio (Mattia lavorava la mattina) ed entrambi sappiamo che il tempo è tiranno in questa stagione: nel giro di  tre ore arriverà il buio. Ci leghiamo e partiamo, come sempre Mattia davanti ed io dietro con lo zaino.

La roccia è buona, almeno per gli standard dei Corni, ma le prese sono tutte piccole e sfuggevoli. Per la legge di Murphy, applicata all’alpinismo dei Corni, tutte le prese dall’aria attraente si sgretolano al tocco, stessa sorte per gli appoggi. Mattia pianta un chiodo e si alza cercando di avvicinarsi al primo chiodo della via che appare abissalmente lontano: “Mica paglia! Non c’è niente da attaccarsi ed è su un cifro!”

Siamo bloccati al primo chiodo (quello che abbiamo piantato noi) e quindi cominciamo a scherzare. “Facciamo altro?” – suggerisco io – “C’è un bel sole, potremmo anche solo non fare niente!”

Mattia ride “No dai, proviamo: facciamo un altro tentativo!”. Il mio socio, il mio grande compagno d’avventura, sfila una lunga fettuccia e si appresta ad utilizzare una delle più improponibili tecniche di progressione che la nostra cordata abbia in repertorio: il temibile lancio della fettuccia.

Ogni volta che, ridendo, cerca di agganciare il chiodo con l’anello di fettuccia io faccio il tifo perchè il tiro vado a vuoto. Questo perchè ogni volta che in passato il suo “prestigio” ha funzionato ci siamo ritrovati oltre una spiacevole soglia di non ritorno.

Ad ogni lancio scherzo cercando di dissualderlo dall’insistere: “Okay, ultimo tentativo poi ce ne andiamo”. Ovviamente la fettuccia aggancia solidamente il chiodo ed il mio socio mi sorride compiaciuto. “Bhe, allora andiamo avanti!”

Mattia si tira su, aggancia il chiodo e quello successivo, afferra una lama e pianta altri due chiodi a protezione, più in altro trova spazio per un friend. Si alza ancora, altro chiodo a proteggere un traverso su una cengia erbosa e finalmente sosta: uno spit ad anello ed un chiodo.

“Dai Birillo! Vieni su!” Arriva il mio turno mi alzo, mi appendo, cerco appoggi e cercando di non abbandonare (troppo) il mio peso alle corde schiodo diligentemente. Il friend sembra intenzionato a raggiungere il centro della terra inabissarsi nella fessura cercando ma, in qualche modo, riesco a recuperarlo (anche grazie agli incitamenti ed ai veementi moniti del suo proprietario all’altro capo delle corde!)

Arrivati in sosta cerchiamo di sfrattare una colata di rovi ormai rinsecchiti dal sole dell’estate. “Bello qui: se non fosse in verticale assomiglierebbe al mio giardino!” Scherzo ma sono davvero orgoglioso del mio roveto, almeno quanto la mia anziana ed arcigna vicina lo è delle sue rose!

Ci guardiamo intorno ma il sole, in modo impercettibile, ha già iniziato a trasformarsi ed anche l’aria inizia a farsi più fresca. “A metà del secondo tiro saremo al buio: ci serve più tempo per riuscire a chiuderla: tocca scendere.” Mattia prende nota della mia osservazione e si innalza fino al successivo chiodo: “Okay, fammi dare almeno un occhiata a quello che viene dopo”. Mentre lascio che le corde scorrano attraverso il mio reverso rifletto sul significato dell’espressione “dare corda a qualcuno”

Mattia, ride come sempre delle mie obiezioni, allunga la testa oltre la successiva placca e torna con attenzione alla sosta. “Lassopra è tutto un programma!” Bhe, sarà per la prossima volta…

Insieme attrezziamo la sosta per una calata in doppia mentre intorno a noi l’orizzonte inizia ad incendiarsi dei colori dell’autunno. Di nuovo alla base della parete risaliamo fino alla cresta, sistemiamo il materiale e ci fermiamo a guardare ciò che ci circonda. Valbrona e tutti i paesini della valle sono già immersi nel buio, le prime luci elettriche si accendono nelle case. Noi, al contrario, siamo immersi nei bagliori di un sole in fiamme che travolge l’orizzonte. “Chissà se quelli lassotto hanno idea di quello che si stanno perdendo quassù?”

Davide “Birillo” Valsecchi

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