Indietro non si torna

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TeoBrex se l’era cavata egregiamente sulle placche calcaree di “Movimento Yogico” ma, guardando Josef affrontare quella serie di tetti, non era tanto sicuro di come sarebbero andate le cose al suo turno. Sabato, dopo aver arrampicato al “Pilastro del Guru”, avevamo ancora abbastanza tempo per tentare un assalto allo spigolo Ovest della “Scoglio dei Tassi”. Già: “tentare”. Come se con gente come Josef e Mattia ci fosse la possibilità di accennare alla ritirata. “Fare o non fare, non esiste provare!” In pratica è come arrampicare con Yoda sulle spalle ma questo, Teo, doveva ancora scoprirlo sulla propria pelle!

Lo spigolo, da sotto, suggeriva tutta una serie di indicazioni sbagliate. Come sempre accade al Moregallo tutto quello che appare verticale in realtà strapiomba, tuttavia a questo ci abbiamo fatto l’abitudine. Il problema è che che i primi due tetti sembravano proteggibili sfruttando a friend delle fessure che, purtroppo, si sono dimostrate tutte svasate ed inadatte. Per proteggere il primo tetto Josef ha dovuto piazzare alla base due chiodi ma è stato il secondo a farlo davvero tribulare. Sotto il tetto una stretta placca formava un terrazzino obliquo verso il basso. Josef, incassato sotto il tetto, cercava qualcosa per proteggere ma il cuore del tetto non offriva spazi nè per chiodi nè per friend.

Da sotto lo osservavo mentre, con assoluta tranquillità, si spostava su quella scomoda balaustra. Potevo solo guardare, ben sapendo che se fosse scivolato sarebbe finito sotto il primo tetto. Poi, finalmente, ha trovato spazio per un chiudo. Ascoltare il metallo cantare sotto i colpi della mazzetta è quasi sempre una gioia! Pensavo avrebbe attaccato il tetto direttamente sopra il chiodo ma era chiaro che quella non era la sua intenzione: io avrei piantato un altro chiodo e tirato fuori le staffe (probabilmente piantando altre tre chiodi nel passaggio successivo!) ma Josef voleva una linea elegante lungo lo spigolo ed era decisamente intenzionato ad ottenerla.

Con due lunghe fettuccie allunga di quasi un metro il chiodo ed inizia un fulminante traverso verso destra. Lo osservo in silenzio perchè la geometria inizia a diventare piuttosto estrema! Raggiunge sotto il tetto una lama, punta i piedi sull’orlo del terrazzino e spinge in avanti il bacino fino ad inginocchiarsi sotto il tetto. Poi, cercando di scaldare le dita flagellate dal vento freddo che risaliva verso la bocchetta, stacca le mani “rilassandosi” in quell’agghiacciante posizione di equilibrio.

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Arrampicare con Josef ed Ivan significa abituarsi all’improbabile se non all’impossibile. Se Mattia, che al mio livello è uno degli arrampicatori più forti e determinati che conosca, avesse tentato un passaggio simile, protetto in quel modo, lo avrei investito di parolacce: sarei stato terrorizzato, assolutamente schiacciato dell’ansia per il mio amico e dall’incapacità di poterlo difendere. Al contrario guardavo Josef con il distacco ammaliato con cui si guarda qualcosa di incredibile e solo in parte comprensibile.

Poi Josef riparte. Si alza, affronta il tetto, lo supera, piega in una parvenza di diedro aggirando a sinistra il tetto successivo. Lo guardo e tutto quello che riesco a dire è “Attento Josy!! La corda strozza sotto il tetto”. Josef mi sente, stacca una mano, si fa dare lasco da Teo e fa saltare la corda oltre il tetto. Poi si volta e riparte. Senza staccare lo sguardo sussurro a Teo “Recupera il lasco, ma non tirare!”. C’è un altro piccolo tetto da superare ma, finalmente, Josef si ferma: piazza un friend ed un nat rinviando finalmente la corda. Non so lui ma io ho tirato fiato!

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Lo spigolo, superati i tetti, si abbatte offrendo roccia solida e lavorata su cui è possibile arrampicare in serentità. Josef risale compiaciuto fino a quando non chiamiamo la “metà”, i primi 40 metri della nostra corda da 80: sosta a fettuccie e parte Teo. Legato a metà corda, Teo deve sganciare il moschettone e riagganciarlo dietro di sè. Supera quindi i primi due chiodi e si trova davanti al primo tetto, probabilmente il primo che abbia mai incontrato. Sulla placca aveva potuto contare sulla sua capacità atletica ma per il tetto serviva un corso accelerato di tecnica!

Da sotto cercavo di dargli indicazioni spiegandogli come, da secondo, dovesse imparare a sfruttare la corda dall’alto come “quinto appiglio”. Il problema è che la corda dall’alto girava sotto un tetto ed era strozzata da un lasco di fettuccia di quasi un metro: la corda non lo tirava verso la parete, ma rischiava di allontanarlo caricandoci il peso. Vabbè, con un po’ di pazienza Teo supera il tetto sprofondando però in un guiao anche peggiore. Sul terrazzino deve infatti prima attraversare verso sinistra, liberare il rinvio, poi traversare in aderenza verso destra, staccare il peso e far saltare la corda sul tetto, fino a raggiungere lo spigolo. Qui, con la corda verticale, alzarsi in piedi oltre il tetto e rimontarlo. Decisamente “tanto” per uno alla sua quinta uscita!!

“No, no! E’ troppo! Non ce la faccio. Davvero ragazzi, fatemi scendere!” Teo, incastrato sotto il tetto, ci prova, tenta la carta della ritirata. Rido, non per cattiveria ma perchè ogni volta che anche io ho provato a chiamare la ritirata mi è sempre andata buca. “No Teo, non si può. Anche ipotizzando di riuscire a convincere Josef a calarti, cosa abbastanza improbabile, non si può: la corda sfrega mentre sbadieri nel vuoto. Davvero una brutta cosa. Con calma ma devi salire: indietro non si torna”. Povero amico mio, per esperienza sapevo benissimo quello che stava passando!

Coraggio a due mani, Teo attacca il traverso. Con la seconda metà della corda cerco di dargli stabilità dal basso mentre fa saltare la corda dall’alto oltre gli speroni del tetto. Poi, finalmente con la corda verticale, attacca i due tetti successivi raggiungendo, via via sempre più spedito, Josef in sosta.

Poi tocca a me: sento che è Teo a farmi sicura con un mezzo barcaiolo. Questo significa che posso comodamente chiamare corda ma non è un autobloccante. Bene, 38 metri di corda stesa, 3 chiodi da schiodare, 3 tetti da superare ed una sicura con 5 uscite di prova: speriamo che Teo la tenga ben stretta la corda! Fino alla base del primo tetto arrivo comodo. Schiodo il primo senza difficoltà ma per il secondo devo appendermi e picchiare sodo. “Finalmente ti vedo lavorare!” Josef si è materializzato all’attacco della via. Dopo aver lasciato Teo in sosta aveva risalito in libera e slegato fino alla cima della torre scendendo poi alla base lungo il sentiero. “Quindi Josef mi guarda e Teo mi fa sicura da solo: quando si dice arrampicare rilassati su roccia strapiombante!” Sghignazzo e passo oltre, il passaggio è fisico ma la roccia è buona.

La balconata è ancora più inclinata di quanto mi aspettassi: ci sono molte ruvide asperità ma non c’è davvero nulla a cui attaccarsi. Risalgo fino al chiodo e libero le fettuccie. La mia situazione non è rosea. Devo schiodare ma la corda fa pancia sotto il tetto in un lungo traverso. In pratica sono più alto di dove tocca la corda. Senza alcun sostegno dall’alto rischio di fare un gran pendolo se parto: posso martellare con una mano sola mentre tengo l’equilibrio. Il primo colpo è sconsolante e tutti i successivi non riuncuorano molto: il chiodo non si muove. Posso colpirlo solo dal basso, piegando in fuori il gomito, perchè dall’alto è protetto dalla roccia. In quelle condizioni non c’è modo riesca a toglierlo e fatico persino a capire come sia riuscito a piantarlo. “Josef, questo non viene! Son qui male e non si muove: mi sa che devo pagare la birra e versare 11euro alla causa!” (i chiodi sono davvero costosi oggi giorno!!). “Lo lasciamo come testimonianza?” Cerco la scusa buona per cavarmi d’impiccio e fortunatamente Josef, che sta già distrattamente curiosando in altra parete, acconsente: “Guarda però che così la dispensa si svuota…”.

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Libero di proseguire attacco il traverso, un passaggio davvero delicato. Poi, coordinandomi con Teo, rimonto il tetto e quello successivo, raggiungendo la roccia strepitosa dello spigolo. Arrivo in sosta, riempio Teo di pacche amichevoli, e riparto chiudendo il facile e piacevole secondo tiro. Fettuccia su uno sperone, recupero il socio e dalla cima corriamo (come due pischelli felici) a raggiungere Josef.

Scattiamo qualche foto allo spigolo prima di tornare al Campo Base dove Bruna ci attende per la merenda. La torre dei Tassi ha una nuova via, ma davvero difficile da giudicare. Josef su quei tetti ha davvero fatto i numeri. Spesso, parlando con Ivan, cerca di farmi capire come la grande difficoltà della val di Mello fossero i tiri non proteggibili su placca: un ambito dove il rischio diventa un equilibrio tra pericolo e difficoltà, aspetti oggettivi, e tra capacità e consapevolezza, aspetti soggettivi. Il tutto vissuto avanzando nell’ignoto! Ci sono momenti in cui non puoi proteggerti, puoi e devi solo arrampicare fino in fondo. Nel passaggio di Josef tra quei i tetti avevo visto quell’equilibrio e vi garantisco che è qualcosa di assolutamente atomico!

Onestamente non ho idea di come riescano a “starci dentro” in una cosa simile: io darei fuori di matto e potrei affrontare una cosa simile solo messo con le spalle al muro! Ma la cosa che più sorprende e disorienta è che prima dello spit quella era l’essenza dell’arrampicata libera. Così arrampicavano, in quell’età dell’oro tra l’artificiale ed il trapano, gente come Messner, Guerini e tutti gli altri grandi di quell’epoca. Oggi prendete chi volete, anche i fortissimi, ma dopo aver visto una cosa simile non riuscirete più a guardarli nello stesso modo. Sono fenomeni, straordinari atleti, campioni forse inarrivabili, ma “si tirano sù”: l’arrampicata libera è un’altra cosa. Radicalmente un’altra cosa!

Davide “Birillo” Valsecchi

First Ascent of “Indietro NON si torna” V+, at Badgers Rock, in the *Not Spit Zone* of Moregallo1276m, Italy
26/03/2016 – Giuseppe “Josef” Prina, Matteo “TeoBrex” Bressan, Davide “Birillo” Valsecchi – Badgers Team

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