Costanza Senza Gloria

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Il mare impetuoso al tramonto salì sulla luna e dietro una tendina di stelle… Dopo la seconda birra media le parole di Zucchero Fornaciari riemergono dalla memoria senza un vero perchè. All’improvviso sono di nuovo un ragazzino sul campo di pattinaggio di un paesello di montagna mentre echeggia un sottofondo di musica anni ottanta. Ho i pattini ai piedi e faccio a cazzotti con i ragazzi più grandi tutte le sere: vado lungo disteso sul ghiaccio, ma ogni volta mi rialzo e riparto alla carica a testa bassa. Per loro è un gioco, e se la ridono, per me è una guerra da combattere con il sorriso sulle labbra sanguinanti. «Sai Bruna, credo di avere qualche strana malattia: la mattina le gambe sono rigide, bloccate, quasi non riesco a muoverle…» Lei mi guarda attraverso il boccale «No, la tua malattia si chiama semplicemente “età”» Matrimonio con una bergamasca: non è facile come dirlo…

Il mio sabato mattina era cominciato alle sei. «Mattia, andiamo a fare una vietta “plasir”: roccia buona e quarto grado. Godiamocela un poco con qualcosa di piacevole…» Immaginavo qualcosa di luminoso, appigliato, tipo una Crestina Osa in trasferta sul Pilone Centrale della Grignetta. «Tranquillo! Ce l’ho io la via giusta! Storia e divertimento!» Qualcosa però non deve essere andato per il verso giusto visto che, mezzo addormentato, mi sono ritrovato in viaggio per il Torrione Costanza e la via del Littorio.

Riccardo Cassin – nel libro “Capocordata”- racconta: “Finora questa parete non è mai stata scalata. Vi fu la scorsa primavera un tentativo di Comici con Mary Varale e Augusto Corti, troncato sull’inizio da un banale incidente: uscì un chiodo e Comici fece un volo. Da allora la Varale accarezza l’idea di portare a termine l’impresa e più volte me ne ha parlato. Boga ed io, da parte nostra, siamo ben lieti di unirci a lei. Alla parete nord dell’Angelina capocordata fu Boga: stavolta tocca a me. Giunti ai piedi della torre, pieghiamo a destra nel canale che ci porta sotto la parete est e saliamo per rocce facili alternate da liste verdi e pianerottoli erbosi fino alla placca che da un lato è saldata alla torre, dall’altro forma un camino che si contiene fra il terzo e il quarto grado. Lo rimontiamo legati con doppia corda per tutta la sua lunghezza. La roccia è fredda, le cortine nebbiose si vanno chiudendo, ma la ginnastica sostenuta ben presto ci infonde calore. Più tardi quando le difficoltà vere e proprie cominceranno, avrò modo di sudare. Gli ostacoli iniziano infatti da questo pulpito in su, con una di quelle fessure strapiombanti che servono per i polpastrelli e i chiodi e nelle quali raramente i piedi entrano. Sono crepe non continuative ma alternate, che costituiscono, come già ho detto, una delle caratteristiche della Grignetta. Lungo questa fessura, Comici si era alzato sei o sette metri; trovo dei chiodi e la Varale – che ferma sul ballatoio insieme a Boga fa sicurezza – conferma che sono quelli del loro tentativo. Quei chiodi mi sono d’aiuto: con molta fatica ne piazzo altri. Ero convinto che dopo questo scabroso passaggio il terreno si facesse più mite, ma mi accorgo d’essere un inguaribile ottimista poiché quanto segue è ancora di sesto grado. Poi grandi difficoltà non ne restano e per piacevoli rocce tocchiamo la vetta. C’è vento a sdrucire la nebbia e la signora Varale, con la sua espansività, ci premia dandoci un bacio. Quando c’è una rappresentante del gentil sesso, compiuta un’ascensione si usa così: ed è un rito al quale teniamo in modo particolare.”.L’avvicinamento è la parte più divertente della salita, davvero! Dal sentiero delle Foppe ci infiliamo su per un canale dal sapore alpino rimontando i salti rocciosi. «Vedi, non volevi il quarto grado?» Mi sfotte Mattia. Mentre risaliamo chiacchierando come due vecchie betoniche attempate ci raggiungono Giovanni Giarletta e Luca Danieli: si fermano a scambiare due chiacchiere ma sono belli carichi, puntano alla via dei Ragni sulla Mongolfiera. La via che li aspetta è bella tosta e così lasciamo che non si smariscano in chiacchiere con due perdi tempo come noi.

«Roccia buona?» Obbietto guardando l’attacco. Non è tanto per l’erba, quella non mi da fastidio, ma nella mia mente c’è ancora il luminoso calcare bianco del Canale del Nostromo al Moregallo. «Se Sabato avessi trovato sto schifo di roccia con il cavolo che salivo!!» Forse poi non è così male, ma la nebbia ha reso buio ed umido ogni cosa e quegli speroncini, smussati e poco rassicuranti, suonano in modo poco convincente per i miei 85kg.

Al primo tiro l’imprevisto: la sacchetta per la magnesite di Mattia, trovata alla base della Molteni-Valsecchi al Buco del Piombo e riconvertita a porta oggetti da imbrago, si stacca e piomba giù nel vuoto, sbatte contro il prato alla base della parete e si lancia nuovamente in un canale. Mattia erutta in una giagulatoria di madonne che, tradotte, mi informano come nel sacchetto tenesse il cellulare. Colgo l’opportunità: «Qui viene a piovere, è un segno! Recuperiamo quello che resta del tuo telefono ed andiamo a bere al coperto!» Mattia borbotta ma non desiste. «Visto che ho distrutto il cellulare fammi almeno fare la via!» Così facciamo il primo tiro, il secondo ed anche il terzo fin nel camino della grande lama incastrata.

«Roccia solida e quarto grado avevo chiesto… spiegami perchè devo mettere mano alla staffa?». Il Quarto tiro è infatti un leggendario passaggio di artificiale anni 30: VII+ oppure V+ con A1. Io volevo arrampicare distendendo braccia e gambe in fluidi movimenti atletici e mi trovo, ancora una volta, a ravanare appeso… “fortunatamente”, si fa per dire, qualcuno ha pensato bene di calpestare la “storia” piantando dei fittoni resinati in modo che anche una mezza-tacca svogliata come me possa emulare le gesta dei giganti in un giorno di nebbia qualsiasi…

Fifi e staffe saliamo in “spazzacà”. Il tiro successivo, invece, è tutt’altro che paglia. Le scarpette urlano vendetta soffocando gli alluci ormai insensibili mentre la roccia offre grandi appigli ma mai scontati. “Fortunatmente”, si fa per dire, siamo completamente circondati dalla nebbia che impedisce di vedere l’abisso sotto di noi. Per quanto riesco a vedere potrei essere sul più fiero e slanciato torrione della Grignetta quanto su uno sperone di roccia sul lato delle capre al Corno Ratt. Alle nostre spalle, oltre il bianco, giungono però le voci di Giovanni e Luca che finalmente hanno raggiunto la cresta della Mongolfiera ed iniziano la difficile discesa.

Superato il quinto tiro le difficoltà si abbassano e si raggiunge la cima dove un tempo si innalzava un grande fascio littorio. Con una “boldrinata ante-litteram” quel simbolo dell’era fascista è stato abbattuto, ed ora ne restano sono i ruderi del basamento. I simboli, buoni o cattivi che siano, hanno sempre un grande valore storico: solo quei pecorai dei “talebani” fanno a pezzi ciò che non condividono…

Anche se in realtà i fasci littori sul Costanza sono stati due. Il primo, issato il 5 luglio 1931 da Cassin, Varale e soci, fu abbattuto da anonimi quasi subito. Nel Novembre dello stesso anno fu quindi issato un nuovo littorio, decisamente più grande, che rimase al suo posto fino alla fine della guerra nel ’45. Peccato… mi sarebbe piaciuto vedere una stramberia simile lassù in cima. Se come simbolo non era accettabile anziché abbatterlo avrebbero potuto convertirlo, trasformarlo in un monito o in una nuova celebrazione. Ma che volete farci, hanno fittonato con il trapano una Cassin – Boga – Varale su tentativo originale di Comici: l’oblio e l’ignoranza forse sono una precisa scelta culturale…

Due calate, una da trenta ed una da quasi sessanta, e siamo nuovamente a terra, alla ricerca del cellulare perduto. Ci infiliamo giù per un canale e troviamo il disperso: un Samsung Galaxy Mini del 2011, anche io ne avevo uno uguale. Nonostante il volo rimontiamo i pezzi e proviamo a farlo suonare: nella nebbia una musichetta imbarazzante risuona tra i canali della Grignetta come il canto fiero della fenice rinata. «Bene, il cellulare è salvo: ora andiamo a bere, che qui si prende l’acqua!!» Scendiamo nuovamente il canale ed il sentiero delle foppe.

Giunti alla macchina troviamo sul tergicristallo una strano volantino stampato a computer che, con fare minaccioso, ci intima di parcheggiare altrove: “a buon intenditor…” chiude allusorio il messaggio. Un lavoro certosino svolto diligentemente su tutte le macchine della zona e compiuto, immagino io, da un agguerrito vecchio indigeno che, alfabettizzato digitalmente, difende il suo territorio ai piedi della Grignetta armato di carta stampata con toner rosa: “Tranquillo, vecchio sdentato. Passerà del tempo prima che i figli dell’Isola tornino da queste parti: hanno cose da fare in patria. Nel caso, comunque, conserveremo il volantino e ci faremo carico di attaccarcelo da soli alla partenza. A buon intenditor…”

Mentre infiliamo gli zaini nel bagagliaio arrivano anche Luca e Giovanni. Volano le strette di mano ed i complimenti: la loro salita meriterrebbe una storia a parte! (E speriamo che Giovanni ce la scriva!) Tutti insieme andiamo “al Forno” finalmente a bere, chiacchierando di roccia e stramberie.

La sera, quando il temporale si abbatte sulle montagne io e Bruna siamo al Rapanui: vista lago e spritz alla mano sotto lo sguardo attento del Moregallo che riaccoglie i suoi Tassi dalla trasferta sulla sponda opposta del lago. ”Lo dicevo io che arrivava la pioggia…”

Davide “Birillo” Valsecchi

Il fatto che 29 Luglio, data di nascita di Benito Mussolini, abbiamo ripetuto la via del Littorio è solo una delle strane coincidenze Karmatiche che vibrano attraverso l’universo. Io davvero non lo sapevo, l’ho scoperto solo dagli articoli di giornale il giorno dopo nel solito bisticcio con i nostalgici di entrambi gli schieramenti. Farlo apposta non si sarebbe riusciti… strano mondo alle volte!

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