Flaghéé Como-Venezia: giorno otto

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Il sole stava tramontando e visto l’ora, ormai di cena, il suono della musica sembrava invitante: così abbiamo attraccato al piccolo pontile.

Risalendo l’argine ci siamo ritrovati alla “Baia degli Scorpioni”: la cameriera che si aggirava tra i tavoli all’aperto aveva un culo da urlo che ancheggiava in modo decisamente illegale per due poveri naufraghi come me ed Enzo.

La musica era di Radio Base e la voce del Dj era di uno degli speaker della “mai troppo compiantaRockFm: a manetta scivolavano canzoni dai LagVagon ai classici dei Dire Straits.

Superiamo un tavolo di motociclisti e ci avviciniamo al bancone: “Ciao ragazzi, da dove arrivate?” Como gli rispondiamo. “Accidenti, Como! Voi sì che mi siete carichi!” e giù sul banco due bicchieri di bianco offerti dalla casa.

Sulla griglia cuoce di tutto ed il barista ci fa preparare due piatti “maxi” mentre appoggia sul tavolo una bottiglia di Lambrusco. Un tipo, uno giovane ed enorme, si avvicina al tavolo squadrandoci mentre lo guardo dubbioso: “Ragazzi, ho sentito che andate a Venezia. Son venuto a farvi gli auguri. É una vita che vorrei farlo anche io un viaggio così!” Giù una stretta di mano che sembra una tenaglia ed un altro bicchiere. I settanta chilometri fatti pesano sempre meno.

Quando smettono di suonare “I sultani dello swing” attacca la Nannini con “bello impossibile” e la bottiglia è ormai vuota. Io cerco di convincere la cameriera a regalarmi qualche bacio da portare alla Serenissima mentre Enzo racconta di avventure tibetane ad una “mamma sola” inguainata in un leggero vestitino leopardato: benvenuti in Emilia Romagna mi vien da pensare!

Prima che diventi buio risaliamo in canoa e bruciamo gli ultimi chilometri carichi di Lambrusco. Poi ci accampiamo nascondendoci dalle zanzare nella tenda.

Stamattina erano le cinque quando é suonata la sveglia: fuori dalla tenda il Po aveva un’aspetto surreale illuminato dalla luce rossa dell’alba e coperto da una spettrale nebbiolina di una trentina di centimetri sopra l’acqua.

La corrente sul fiume é ormai un miraggio e non rimane che pagaiare metro dopo metro. Sull’argine c’é una palina ogni chilometro, quando raggiungiamo la palina 456 incrociamo l’Oglio dal Lago Iseo. Quando poi, a mezzo giorno, ne abbiamo contate quaranta ci fermiamo a mangiare in un osteria.

Ora il Po é nove metri sotto il livello dello zero idrologico ma sulla facciata dell’osteria erano segnati i livelli del fiume raggiunti al di sopra dell’argine: il titolo di campione spetta al duemila e svetta a dieci metri, appena sotto l’insegna. Incredibile così tanta acqua!

Ora siamo all’ombra, Enzo dorme mentre io vi scrivo: fino alle cinque il fiume é un forno, poi ripartiremo per fare i restanti trenta chilometri della tappa di oggi.

A domani!

Davide “Birillo” Valsecchi

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