Albanesi, rumeni, ucraini

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Avete mai pisciato e bevuto birra nello stesso tempo? Io sto rimorchiando più chiappe della tazza di un cesso!
Avete mai pisciato e bevuto birra nello stesso tempo? Io sto rimorchiando più chiappe della tazza di un cesso!

Enzo è in missione a Venezia. Fuori nevica ed il mio socio è in viaggio su un furgone a noleggio mentre  una chiatta lo aspetta al pontile per portarlo all’Arsenale. Io scuoto la neve del ciuffo entrando Dalle Zie: un bacio alla “nonna”, sono di nuovo a casa.

Mi siedo alla prima seggiola libera di fronte ad un ragazzo serbo con cui ho scambiato due chiacchiere giusto ieri.  Al fianco un croato e di rimpetto un siciliano. Più in là, all’altro tavolo, c’è la squadra di rumeni che monta impalcature con la loro uniforme azzurra. La zia mi appoggia un piatto di pasta senza che debba aprire bocca. Entra altra gente: operai, anziani, gente comune.

Dalle Zie si è in viaggio anche senza muoversi, ci si tuffa in lingue e pensieri diversi ad ogni forchettata di pasta. Entra la poetessa che scrive favole per bambini e che ogni mese riceve un premio, entra lo storico fotografo, entra l’artista amico di Enzo, entra l’ingegnere aerospaziale,  entra l’ucraino con la faccia simpatica ed il rumeno con lo sguardo scuro. Ci sono le nostre foto alle pareti, siamo di casa qui anche quando siamo lontani.

Gazzosa e vino bianco per scaldarsi ascoltando i racconti di posti lontani. In Albania le gomme da neve costano la metà ma se la polizia ti ferma con pneumatici vecchi oltre cinque anni son dolori. Qualcuno racconta di quando si faceva girare lo spiedo per l’agnello con le ridotte del trattore tra una boccata di vino e la seguente. Živjeli in croato, noroc in rumeno e na zdorovje in russo: giù un altro bicchiere alla faccia del brutto tempo aspettando arrivi Natale.

Saluto, un po’ brillo dopo il caffè, i giovani che stanno per fare ritorno a casa per il natale: buon viaggio amici di cui non conosco il nome. Ancora neve, ancora freddo, ma il vento sulla faccia mi schiarisce le idee mentre costeggio a piedi il Lambro verso Scarenna, verso la mia nuova casa.

Davanti all’unico bar della frazione scorgo la cresta di uno dei due fabbri che formano la coppia dei ‘fratelli metallo’: “Heilà, come va? Il tuo vecchio brontola come il mio? Non male, quanto brontolano vuol dire che sono ancora vivi!” Una stretta di mano, quattro chiacchiere sulla famiglia e giù un’altra grappa. Arriva anche il figlio del mio padrone di casa, siamo tre trentenni a pianificare disastrosi piani per il capodanno dopo aver raccontato dei nostri padri: vecchi bastardi che fanno piovere sulla nostra testa critiche come sassi ma per cui saremmo pronti a batterci senza quartiere su ogni terreno, contro ogni nemico, con ogni tempo.

Nevica ancora, nevica sulle nostre giacche sporche, nevica sui nostri sorrisi stretti. Un altro saluto, un’altra stretta di mano: chi prende un’ammaccata Jeep, chi una scassata Audi, ognuno parte per la sua strada. Siamo i ragazzi della valle, siamo il futuro che non si vede, siamo la frontiera che si espande e si batte per stare a galla.

Entro in casa, mi attacco alla tastiera mentre il gatto, offeso, nemmeno mi guarda: fottuto bastardo felino!

Mi attacco alla tastiera perché mentre mi passa la storta, mentre mi si schiariscono le idee e mi si scongelano i piedi,  voglio trattenere quella sensazione d’orgoglio, di appartenenza: che mi piaccia o meno sono uno della frazione e sono l’unico dannato futuro di questo fottuto paese.

Davide “Birillo” Valsecchi

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