Moi, Madame Rubéole et le paludisme

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Apro gli occhi ed ho come l’impressione che un carro armato mi sia passato sopra durante la notte. Le gambe sono rigide e tutte le articolazioni mi fanno un male dannato. Infilo i pantaloni e quasi trascinando i piedi  entro in cucina. Riempio una tazza di caffè e mi accorgo che anche l’anulare della mano destra si è gonfiato. “Dannata umidità” penso tra me e me trangugiando il caffè. Muoversi però è un problema e, incredibilmente per uno come me, camminare è una fatica atroce. Qualcosa decisamente non va.

Aiuto Bruna a lavare i piccoli come tutte le mattine ma reggere quei corpicini sembra uno sforzo impari e sono costretto a metterle fretta perchè il “peso” sembra avere la meglio su di me: “Vado a buttarmi giù un attimo, scusa, oggi gira davvero male per me”.

Entro in stanza, tolgo gli scarponi, sfilo i pantaloni e precipito sul materasso: Tre, Due, Uno… Oblio. Sprofondo in un buio cupo e mi sveglio solo quando Bruna, non vedendomi più tornare, si è messa a cercarmi: “Pigrone, vuoi imboscarti tutto il giorno?”. Lei ride, anche io. Trovo tutto molto buffo. Appoggia la mano sulla mia fronte e cambia espressione “Mamma mia Davide! Sei bollente!” Io trovo tutto molto buffo: “Bhe, allora niente scuola per me oggi! Chiamiamo l’ambulanza?”

Lei si mette a trafficare cercando il termometro, io provo a tirarmi dritto sopra le lenzuola. “oooh, ma che caz…”. Guardo il mio braccio sinistro ed è tutto coperto di piccole macchie rosse. La situazione si fa spessa anche se io, inspiegabilmente, continuo a trovare tutto divertente e buffo: “Hey, Bru, forse è ora che tu vada a cercare il Dottor House …oppure Padre Hugo, vedi tu…”

Riprecipito sul letto. Ho una mezza idea di quello che sta accadendo ma ho intenzione di tenermelo per me ancora per un po’. Chiudo gli occhi e se non mi facesse male dappertutto riderei. Sì, riderei.

Quando Padre Hugo apre la porta esordisce con “Non sei ancora morto?”. Anche lui è uno a cui piace ridere. “Spero proprio di no, Padre, qui non avete montagne!”. Entra, si siede ed iniziamo a parlare seriamente. Lui è l’uomo giusto al posto giusto: ora iniziamo a ripararmi!

Tutto questo accadeva più o meno cinque giorni fa ed è stato l’inizio di una piccola avventura molto meno cruenta di quanto potrebbe apparire e che oggi è già quasi un ricordo.

Le macchie rosse erano una cosa piuttosto buffa. Alla mia veneranda età sono stato infatti colpito dalla terza malattia infantile: la rosolia. In realtà l’avevo fatta da bambino ma solo in forma lieve e probabilmente i miei anticorpi, solo in parte addestrati, se la sono data a gambe vedendo il virus in versione africana.

Salvo le macchie il resto dei sintomi era abbastanza chiaro ed in buona misura conoscevo già la diagnosi. Negli ultimi quattro anni ho giocato a rimpiattino con la Malaria attraverso due continenti ed era ormai statisticamente inevitabile che facesse punto anche lei.  Tuttavia un po’ mi consolavo: prendere la malaria qui significa aver atteso il posto migliore per farlo! (…ossia in un ospedale e con un dottore esperto che parla italiano!)

Qui in Congo imperversa il ceppo malarico “falciparum” che tra tutti è quello più “gramo”, sia per i sintomi che per gli esiti, tuttavia Padre Hugo affronta la malaria ormai da trent’anni e non era affatto preoccupato: con la malaria l’importante è curarla per tempo e come si deve fino in fondo.

Molti dei bambini che muoiono di malaria nella pediatria sono malati che arrivano qui quando ormai è troppo tardi o dopo che erroneamente si era creduta superata la malattia. I sintomi, a volte davvero violenti, sono infatti altalenanti dando luogo a “finestre” di benessere tra una crisi e la successiva.

Come stavo? Il Primo giorno uno schifo: dolori ovunque non riuscivo a muovermi liberamente e camminare era un problema di volontà. Avevo la febbre tra i 38 e 39 gradi ma la cosa che più inquietava era che, alle undici di mattina in Africa, io mi sentissi gelare come in pieno inverno da noi: ricordo difficilmente di aver provato un freddo simile in passato.

Padre Hugo mi ha dato due compresse di Palucur, un composto di Dihydroartemisinin (DHA) e Piperaquine Phosphate (PQP). Il loro effetto era quasi immediato: prima un freddo terribile e poi un caldo atroce durante il quale iniziavo a sudare come un ossesso. Ogni volta che prendevo le medicine dovevo restare a letto per un paio d’ore ma, finita la sfuriata, potevo tornare alla mie attività cercando di limitare gli sforzi e tenendo a bada i dolori alle gambe.

Il ciclo di cura è durato tre giorni ed ho preso due compresse 8 ore dopo la prima dose, due 24 ore dopo la prima dose ed infine due 48 ore dopo la prima dose. Ogni volta l’effetto diminiuiva d’irruenza e via via i dolori sono andati scomparendo. Oggi sono ancora un po’ affaticato ma, per indenderci, passo le giornate a scavare fossati nel terreno in previsione della pioggia (quindi, salvo il vezzo del riposino dopo pranzo, il mio corpo è nuovamente in piena efficenza).

Se non fossimo intervenuti tempestivamente la “suonata” sarebbe però stata diversa perchè probabilmente avrei dovuto affrontare un paio di flebo di chinino ed un trattamento lungo sette giorni. Intervenendo ancora più in ritardo avrei dovuto affrontare la malaria nella sua fase più invasiva e sarei finito ospite fisso della “premier chambre”.

Comunque è fatta anche questa. Per un po’ dovrei essere parzialmente immune ma non è una sicurezza su cui fare conto. Ultima nota: la “vaga euforia” è davvero uno dei sintomi clinicamente riconosciuti della malaria ed effettivamente è stato abbastanza divertente essere ammalato per un po’ =)

Davide Valsecchi

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