La fin de l’histoire

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Mettetevi comodi, prendete il vostro tempo ed il vostro spazio prima di continuare a leggere. Questa è la fine della storia, un finale semplice, forse prevedibile e privo di colpi di scena. Ma la storia non può essere lasciata in sospeso, nascosta nella sue parti tristi. Va raccontata fino in fondo così come è giusto che sia la vita.

Siamo a cena e Padre Hugo è seduto difronte a me mentre Bruna traffica al lavandino. La piccola Bruna è debole, ha rifiutato il cibo e rigurgitato quel poco che eravamo riusciti a darle. “Questa sera conviene che la riportiamo alla camera 10. C’è il medico di guardia che la può assistere” Mi dice Padre Hugo. Era stato lui a dirci di prenderla in consegna nel momento più critico e mi è abbastanza chiaro perchè ora mi chieda diversamente. “Padre, Bruna è ancora furiosa con me per averla portata via da Winner quando è successo. Conviene che glielo dica tu questa volta.” Lui capisce, io chiamo Bruna e lui le racconta del medico di guardia, dell’ossigeno, delle medicine.

Il Padre è stato quanto più delicato possibile ma Bruna ha capito perfettamente la situazione e, malgrado tutto, è ormai rassegnata ad accettarla. Insieme abbiamo adagiato la piccola in una culla di plastica e, preso tutto il necessario, ci siamo incamminati nuovamente verso la stanza 10, la stanza dell’ossigeno.

Risalire le scale nel buio della notte con in braccio la piccola culla è quasi opprimente. Mi sento come se la stessi accompagnando al suo funerale e nell’oscurità sono spaventato dall’idea di arrivare in cima alla salita e trovarla ormai esanime. Vicino alla tettoia della chiesa una luce è ancora accesa e ci avviciniamo per controllare la piccola: trovarsi di fronte ad un crocefisso con una bimba morente tra le braccia è qualcosa davvero difficile da spiegare e che non dimenticherò.

Alla stanza 10 ci attende Edo, un giovane e volenteroso infermiere locale che subito visita la piccola. Dopo averle attaccato le cannule per l’ossigeno il saturimetro segna 46 d’ossigeno e 128 di pulsazioni, numeri che davano davvero poche speranze. Quando Edo ed il medico di turno smettono di parlare tra loro in francese passando al lingala capiamo che per me e Bruna è tempo di salutare la piccola ed in silenzio torniamo alla nostra stanza affrontando la notte.

Alle sette del mattino la sveglia di Bruna inizia a suonare ma lei si gira dall’altro lato del letto ignorandola. Non è da lei ma so cosa sta provando, so cosa sta attendendo. Per due settimane si è occupata di lei e negli ultimi giorni l’ha vegliata giorno e notte come forse solo una madre saprebbe fare. In cuor suo non vuole sapere e così mi infilo gli scarponi uscendo dalla stanza: tocca a me scoprire l’esito della notte.

Risaligo di nuovo la collina immaginando cosa dire, immaginando cosa fare. Quando entro nella stanza 10 le infermiere mi salutano senza dirmi alcunchè di particolare e, varcando la soglia della stanza, vedo la piccola ancora nel suo lettino. Mi avvicino, lei apre gli occhi e mi stringe la mano. Rimango solo un attimo ed esco in fretta per dirlo a Bruna. In quel mentre Padre Hugo celebra il funerale di un’altra bambina, mi fermo un attimo dietro la staccionata e l’osservo benedire un’altra piccola cassa.

Quando rientro nella stanza Bruna è già alzata e sistema i vestiti aspettandomi: “Forza pigrona, la piccola bastarda è ancora viva ed attende di essere sfamata!” Può non sembrare ma nelle mie parole, volutamente brusche, c’è tutto il mio affetto e l’orgoglio per quella piccola che non sembra avere intenzione di arrendersi. Bruna è come rianimata alla notizia e subito corre in cucina per iniziare a preparare i biberon e tutto il resto del necessario.

La piccola non si è arresa, ma quanto ancora può resistere? Quanto può continuare? Sono ormai sei giorni che combatte una lotta disperata: viste le poche speranze non è tempo forse di arrendersi, di acquietarsi? Questo mi domando sentendomi quasi responsabile del suo stato attuale. Tu sapresti quando arrenderti? Mi domando ancora. Probabilmente no, dalle quello che puoi e lascia che sia lei a scegliere: questa è la risposta che mi do.

Tra la gioia di tutti Edo riporta la piccola nella cucina dei volontari perchè si provi di nuovo a nutrirla e ad idratarla. Bruna la prende in braccio e, per quanto affaticata, la piccola è presente, reattiva, arrabbiata e combattiva come sempre. Anche Padre Hugo, terminato il funerale, ci raggiunge nella cucina ed è davvero felice di vedere ancora la sua “cochita”. Ci siamo io, Bruna, una volontaria italiana e due belgi oltre alle due maman che stanno cucinando. Stiamo facendo colazione e siamo tutti molto felici che la piccola sia ancora con noi.

E’ un momento sereno: abbiamo una giornata intera di fronte a noi e lei è ancora qui. Parlando con i belgi salgo in cima ad una sedia cercando un punto sulla grande mappa della cucina. Qualcuno versa il caffè caldo dai termos e qualcuno chiede del pane con la marmellata. Bruna si volta verso la piccola nella culla: “Oggi leggiamo le favole anche se il libro non ce l’abbiamo”. Poi si ferma un attimo, mi guarda, sussurra: “E’ morta”.

Smonto dalla sedia, mi avvicino, controllo il costato ed appoggio una mano. Gli occhi sono quieti, aperti e rivolti verso qualche altrove. La bocca è appena aperta ma il viso è disteso. Tutto è quieto, tutto è immobile. “Chiama Padre Hugo”. Lei esce e va nell’altra stanza a chiamare il padre. Io non ho bisogno di lui per sapere che la piccola non è più qui, ancora una volta volevo che Bruna si allontanasse un attimo, volevo proteggerla, darmi il tempo di sistemare la piccola.

Prendo le piccole braccia e le dispongo ai fianchi, distendo le gambe e raddrizzo la testa. Sistemo il lenzuolo come se dovesse dormire. Non le chiudo gli occhi ma mi soffermo a guardarli: è la prima volta che la vedo quieta, è la prima volta che non la vedo arrabbiata.

Piccola pazza, avevi lottato con tutte le forze per guadagnarti l’alba. Eri riuscita persino a tornare da noi quasi per salutarci. Chissà se nel chiasso festoso della cucina ti sei sentita felice, se ti sei sentita finalmente in famiglia e sei riuscita ad acquitare la rabbia che ti aveva fin qui sostenuto. L’ho guardata ed ho sorriso. Sei stata brava, ti sei battuta con tutte le tue forze e nessuno avrebbe potuto chiederti di più. La vita ti è sfuggita ma non ti ha sconfitto. Sei stata tanto brava e tanto forte piccola mia.

Padre Hugo arriva nella stanza e con lo stetoscopio ausculta il petto della piccola. Le chiude delicatamente gli occhi e le fa il segno della croce sulla fronte. Tutto è successo in fretta, troppo in fretta anche per uno come lui. Solo pochi minuti prima l’aveva vista viva ed in cuor suo aveva sperato per il meglio. Nella stanza tutti sono impietriti e le lacrime appaiono sugli occhi di tutti.

Per la prima volta vedo il padre inquieto mentre con una innecessaria fretta togliamo il sondino e la flebo. Lui l’avvolge in un lenzuolo e la stringe al petto. Mi parla in francese mentre lo accompagno alla piccola casetta mortuaria e quasi non si cura che il braccino della piccola macchi di sangue il suo camice bianco. Nella stanza c’è un dipinto sul muro fatto dai ragazzi con i colori a cera: “Vedi” mi dice mentre stringe la piccola “ho fatto disegnare gli angeli di colore perchè qui credevano fosserso solo bianchi”.

Padre Hugo affronta questa vita da oltre trent’anni e celebra un funerale ogni giorno eppure in quel momento riuscivo a sentire tutta la sua umanità, tutto il suo dolore. Gli anni e le avversità hanno irrobustito quest’uomo ma non l’hanno indurito: la piccola con lui, dopo tanta sofferenza, era ora davvero tra le braccia del Padre. Addio piccola Bruna.

Davide Valsecchi

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