Camminando nella nebbia

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La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati. La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre ogni limite. È la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più. Ci domandiamo: “Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? “. In realtà “chi sei tu per Non esserlo?”

Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo. Non c’è nulla di illuminato nello sminuire se stessi cosicchè gli altri non si sentano insicuri intorno a noi. Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini.

Siamo nati per rendere manifesto ciò che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi. In ognuno di noi. Quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso. Quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri.  (Marianne Williamson)

Se fallisco nel mio onesto tentativo di portare quest’uomo da qualche parte, fallisco nell’arrivare io stesso da qualche parte. Faccio la mia strada, solo se faccio la strada del paziente. (C.G.Jung)

Molti sono testardi nel perseguire la strada che hanno scelto, altri sono testardi nel raggiungere la meta (Friederich Nietzsche)

Nessuno si libera di un’abitudine o di un vizio buttandolo dalla finestra. Bisogna buttarlo fuori dalla scala, gradino per gradino. (Mark Twain)

Quando perdi, non perdere la lezione (Dalai Lama)

«La guardia muore, ma non si arrende! Merde! » (Pierre Cambronne)

«Dire queste parole, e poi morire. Cosa c’è di più grande? Poiché voler morire è morire e non fu colpa sua se quell’uomo, mitragliato, sopravvisse.

Colui che ha vinto la battaglia di Waterloo non è Napoleone sconfitto, non è Wellington, che alle quattro ripiega e alle cinque si dispera, non è Blücher che non ha proprio combattuto; colui che ha vinto la battaglia di Waterloo è Cambronne. Poiché fulminare con una tale parola il nemico che vi annienta, vuol dire vincere.

Dare questa risposta alla catastrofe, dire questo al destino, dare questa base al futuro leone, gettar questa ultima battuta in faccia alla pioggia della notte, al muro traditore d’Hougomont, alla strada incassata d’Ohain, al ritardo di Grouchy e all’arrivo di Blücher.

Portare l’ironia nel sepolcro, fare in modo di restar levato sulle punte dopo che si sarà caduti, annegare in due sillabe la coalizione europea, offrire ai re le già note latrine dei cesari, fare dell’ultima delle parole la prima, mescolandovi lo splendore della Francia, chiudere insolentemente Waterloo col martedì grasso, completare Leonida con Rabelais, riassumere questa vittoria in una parola impossibile da ripetere, perdere il campo e conquistare la leggenda, aver dalla sua, dopo quel macello, la maggioranza, è una cosa che raggiunge la grandezza di Eschilo.

La parola di Cambronne fa l’effetto d’una frattura: la frattura di un petto per lo sdegno, l’irruzione dell’agonia che esplode!» (Victor Hugo – I Miserabili)

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