Attacco Ultrasonico!!

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Siamo ad un nuovo capitolo della saga del ditino: da Dicembre, precisamente dalla notte del sette, ogni volta che rientravo dalle attività in montagna finivo con la borsa del ghiaccio sul terzo dito del piede destro.

Fortunatamente il tempo è stato spesso inclemente e così non ho troppo patito della cattiva forma sebbene, alla lunga, iniziassi a spazientirmi non potendo più contare sull’affidabilità del piede. Riuscivo infatti a “uscire” lo stesso ma oltre le  due o tre ore di cammino c’era il serio pericolo di dover rientrare zoppicando (cosa particolarmente sgradevole con il buio ed il freddo invernale).

A complicare il tutto ci sono gli amici, i parenti e la carogna che riesce a caricarti la gente sulle spalle quando sei nei guai: “…sarà gotta”, “…è un problema neurologico”, “…forse la circolazione, guarda come è gonfio!”, “…sei spacciato!”.

Così, stufo del dubbio che perdurava ormai da un mese, sono andato dall’esperto: Luca e Simona, rispettivamente il Dottor Morelli e la Dottoressa Bramani, sono due buoni amici che si occupano di riabilitazione presso il Centro San Fedele di Longone. Ho fatto loro un trillo ed insieme al mio “ditino” sono andato a trovarli.

“No, Birillo, c’è un grosso ematoma: il guaio è di natura traumatica”. Questo è stato il responso di Luca mentre armeggiava con il mio piede e lo scanner per l’ecografia:  frattura o microfrattura. Io non ricordo traumi particolari, ma è anche vero che io prendo sempre un sacco di botte. Probabilmente l’ho scassato senza rendermene conto perché anestetizzato dal freddo e dal momento atletico (a “botta calda” si sente sempre meno male).

Il piede non si ingessa, specie dopo un mese che ci cammini sopra. Il mio guaio è sopratutto l’ematoma che rende il dito ed il piede gonfio e che, senza un po’ di riposo e di trattamento, non sembra intenzionato a riassorbirsi.

“Facciamo gli ultrasuoni in immersione” sentenzia Simona e, mentre mi immaginavo con la tuta da sub, mi spiega come funziona. Onestamente sulle prime ero piuttosto scettico ma, in fondo, io lo sono per natura su quasi tutto.

Gli ultrasuoni sono onde meccaniche sonore che raggiungono frequenze non udibili dall’orecchio umano. Il trattamento consiste nell’immergere il piede in una bacinella d’acqua in cui è adagiata la “sonda” dello strumento ultrasonico. L’idea che un pediluvio con il cugino del micronde mi potesse aiutare mi lasciava perplesso e così il mio interesse per tutta la faccenda era massimo.

Normalmente durante la terapia la gente sfoglia comodamente un giornale  ma io, sebbene lo strumento non emetta suoni udibili, ero intenzionato ad “ascoltare”: rilassandomi ho focalizzato la mia attenzione sul piede in cerca di feedback sensoriali.

Percepire gli ultrasuoni è una sensazione strana, ovviamente si può percepire solo l’effetto riflesso sul nostro corpo ma è stato più intenso ed invasivo si quanto mi aspettassi. A volte è davvero impercettibile mentre in alcuni momenti sembra entrare in una specie di risonanza dando vita a piccole ma intense fitte che si propagano attraverso il dito dall’interno e si acutizzano sulle parti più rigide come l’unghia e le ossa. Leggendo il giornale sembrerà poco più che un curioso prurito ma “ascoltandolo” diventa un flusso intenso di segnali che dal piede risalgono fino alla testa urlando terrorizzati: “Attacco Ultrasonico! Attacco Ultrasonico!”

Fa effetto quindi? Sì, pare proprio di sì. La terapia ho lo scopo di facilitare la guarigione accorciando di circa il 50% i tempi di recupero. Questo diventa particolarmente importante nel caso del piede perché, essendo sempre inevitabilmente sotto sforzo, i tempi di guarigione sono sempre molto lunghi se non trattati.

Per un paio di settimane mi tocca quindi restare a riposo e continuare, giorno dopo  giorno, a scuotere con gli ultrasuoni l’ematoma che funesta il mio ditino. Vediamo come andrà a finire =)

Davide Valsecchi

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