Operazione Coccodrillo: Grotta Lino

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Quando scatta il flash un’improvvisa valanga di luce sembra invadere ogni cosa. L’aria, satura di umidità, brilla nel riflesso del lampo e persino il mio fiato risplende in ampie volute di vapore. Dura solo un istante, un attimo accecante di luce e poi tutto torna silenziosamente buio.

Nelle fotografie, almeno in quelle che paiono riuscite bene, questo mondo sembra così chiaro e definito, così diverso da quello che si vive nella realtà, quello in cui avanziamo carponi seguendo il debole fascio di luce delle torce.

Questo è il regno delle ombre, un buio misterioso che concede visuale solo a tratti. Uno spazio pieno di incognite, mai piatto ed omogeneo come appare nelle foto. Mi guardo intorno, per un secondo spengo la mia torcia e vivo del riflesso delle luci che mi precedono: nel mondo oltre la superfice sono le ombre a dare profondità, calore e vita alle immagini che ci circondano, qui invece è la luce a diventare ombra, a ricamare le forme della roccia, a delineare i contorni delle cose.

Questo mondo è così diverso che davvero non credo di essere capace di descriverlo, di afferrarne le verità.

Striscio in un budello di fango e roccia che l’acqua ha arrotondato e costellato di piccole curve e rigonfiamenti. Sento gli stivali scivolare mentre cerco alla cieca appoggi per risalire attraverso questa roccia mi avvolge in ogni direzione. Provo ad illuminare muovendo come posso la testa e la frontale in quello spazio opprimente: ”Questo è l’intestino della terra, un budello di roccia che come carne viva mi sta digerendo!!” Per un attimo la sensazione di essere stato inghiottito si fa talmente reale da rubarmi il respiro poi, superato il passaggio, rotolo in una nuova enorme sala di cui non riesco a cogliere i confini.

Quando siamo entrati, quando abbiamo iniziato ad immergerci, la neve aveva ricoperto ogni cosa e non accennava a smettere di cadere. Uno alla volta ci siamo infilati oltre l’ingresso lasciandoci cadere sul primo scivolo di fango e roccia, addentrandoci in quel labirinto di cunicoli e passaggi che è la Grotta Lino all’alpe del Vice Re.

Il nostro gruppo affronta una dopo l’altra tutte le calate armate sui pozzi e scende fino alla famosa “Roccia del Coccodrillo”. Acqua, roccia e fango ma anche una varietà incredibile di forme, di ricami e cesellature. E’ come muoversi arrampicando su tratti di ferrata attraverso un canyon invaso dall’acqua in notturna: è l’ambiente più strano e complesso che mi sia mai capitato di affrontare!

“State tutti vicini, attenzione a non perdersi!”. Già, perché in questa miriade di piccoli passaggi, di cunicoli ed inghiottitoti la via da seguire non è mai ovvia ed ogni strada, ogni ramificazione, sembra essere quella giusta e quella spaventosamente sbagliata. A conferma della natura labirintica di quest’abisso il nostro percorso compie un ambio giro ad anello e, dopo quasi cinque ore, torniamo al punto di partenza senza che si siano ripercorsi i propri passi.

Nuovamente sulla terra ferma, nel mondo di sopra, avanziamo tra la neve ed il bosco cercando di riguadagnare la strada verso il parcheggio. Tutto è imbiancato e noi, coperti di fango, bagnati e stravolti, stridiamo ancora di più con quell’ambiente candido. Avanziamo affaticati e coperti di fango trascinando sulla neve il nostro equipaggiamento dopo essere riemersi dalla terra: praticamente zombi!!

Un padre di famiglia è chino sulle ruote della macchina cercando di montare le catene da neve mentre la moglie, infreddolita, gli fa scudo con un ombrello. Entrambi si fermano un istante guardandoci avanzare nella bufera. Due bambini, probabilmente i figli della coppia, hanno il viso appicciato ai finestrini innevati dell’autovettura, la bocca spalancata ed il loro sguardo stupido è come uno specchio in cui riflettersi: ”Come accidenti siamo ridotti?!”

Nevica, ma questo poco importa. In mutande sul piazzale mi libero della tuta, dell’imbrago, dell’attrezzatura e del fango. Non sento freddo ma solo un profondo piacere nell’infilarmi vestiti puliti. “E’ ora di farsi una birra!” Un’altra giornata campale è giunta al suo termine.

Davide Valsecchi

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