LaFusa: nelle viscere del Cornizzolo

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L’agguerrita squadra che si ritrova a Canzo domenica mattina è composta da veterani e matricole dello Speleo Club Erba: Pier, Pam, Stefano, Daniele, Alberto (cugino di Stefano) ed io. L’obbiettivo è “La Fusa”, o la “Fuss” in dialetto, un’inghiottitoi verticale come un “fuso” che sprofonda nelle profondità del lato nord del Cornizzolo.

L’avvicinamento è da spedizione extraeuropea: stipati su un land cruiser risaliamo lungo una stretta mulattiera attraverso il bosco fin dove la strada (ed il nostro permesso) ci consentono di proseguire, poi zaini in spalla e su per i cinquecento metri di dislivello che ancora mancano.

Sul groppone abbiamo una montagna di materiale: oltre 180 metri di corda statica, trapano, batterie, fix, una ghirlanda di moschettoni in acciaio, il necessario per gli armi, mazzette, viveri e tutto l’equipaggiamento speleo personale: era davvero parecchio che non riempivo il mio zaino  da 80 litri con tanto peso!

La dolina in cui si apre la grotta è esattamente a ridosso di un vecchio sentiero che corre lungo il fianco della montagna. Un’ inghiottito subito verticale ed infido che precipita verso il basso per 22 metri prima di formare un primo ripiano. Alcune grosse piante  circondano l’ingresso invitando i curiosi a dare un occhiata ma è davvero pericoloso muoversi sul bordo di questo voragine senza adeguate protezioni. Attenzione, la Fusa non restituisce gli incauti che inghiotte!!

Superati i 22 metri della prima calata si raggiunge un lungo scivolo fangoso che conduce al primo pozzo interno di nove metri. Qui si deposita gran parte del materiale che viene “inghiottito” ed il pavimento di questo grande spazio iniziale è invaso dal fogliame e dalla terra precipitata dentro con la pioggia.

Il primo ad arrivare qui e a spingersi oltre fu tale “Signor Radice” nel 1901 e successivamente, nel 1931, un gruppo speleo di Desio.  Nel comprensorio dei Corni e del Cornizzolo questa è sicuramente (per quanto sappiamo oggi) la più grande e la più profonda.

Oltre il pozzo di nove metri infatti, attraverso una finestra in una quinta di roccia, si accede al pozzo principale molto più grande ed ampio. Superando un ulteriore salto di 9 metri ci sia appoggia su di un grosso piano che, in realtà, si dimostra essere un terrazzo sospeso a mezza altezza sul grande pozzo.

In epoche antiche un masso gigantesco è crollato dal soffitto ed incastrandosi tra le pareti  ha creato questa mastodontica piattaforma che, nel tempo, ha raccolto tutte le altre rocce precipitate dall’alto: tra questi detriti anche un altro masso gigantesco che svetta nel centro di questo piano come un Menhir alto 14 metri! (il sasso di Obelix)

La nostra squadra arma alcuni passaggi ancora da esplorare verificando se alcune nicchie sulle pareti danno vita a nuovi cunicoli. La roccia, a tratti ottima ed a tratti marcia, rende difficile la risalita ma, nonostante il grande sforzo, le nicchie si dimostrano purtroppo cieche.

Per nulla affranto il gruppo affronta la successiva calata da 30 metri per raggiungere il fondo del pozzo. Oltre la finestra di roccia la corda precipita nel vuoto attraverso un ampio cunicolo dalle pareti verticale e concrezionate: senza una corda dall’alto uscire da qui sarebbe impresa impossibile!

Grazie ai nuovi armi realizzati per l’esplorazione, in questo pozzo, allestiamo ben due distinte calate da trenta: una completamente nel vuoto ed una seconda attraverso un bel canale che, dopo alcune finestre di roccia, si tuffa anch’essa in verticale.

Fino ad oggi questa è la calata nel vuoto più lunga che abbia affrontato. Il discensore, per via dell’attrito con la corda della discesa, diventa dolorosamente caldo: con una certa inquietudine scopro che è “normale”! (…se a voi sembra normale essere appesi nel vuoto aggrappati ad una corda sintetica trattenuta da un aggeggio che diventa bollente?!?!?!)

Raggiunto il fondo lo apro e lo lascio raffreddare mentre faccio conoscenza con il vero protagonista della grotta: “il cinghiale sfortunato”. Ad una profondità di quasi centro metri dall’ingresso vi è uno scheletro di cinghiale che, per sua terribile sfortuna, è caduto dentro la Fusa. A differenza degli altri animali vittima dell’inghiottitoi lui ha avuto il vigore (e la disperazione) per superare, pozzo dopo pozzo, tutti grandi salti fino a quello fatale.

L’animale, al buio e via via sempre più gravemente ferito, è caduto dapprima per 20 metri, poi si è trascinato precipitando per altri 9 metri ed i successivi 9. Ormai all’estremo si è trascinato nelle tenebre in cerca di una via d’uscita  precipitando invece per gli ultimi fatali 30 metri. Qui il suo corpo si è via via consumato lasciando le sue ossa a testimonianza della posizione esatta ed immutata in cui è morto. Spero che le sue spoglie scoraggino chi possa avere la bella pensata di “cazzeggiare sull’ingresso de La Fusa”!!

Dal fondo di questo enorme pozzo la grotta prosegue in un’ambiente di piccole dimensioni e completamente concrezionato diviso in due camere sovrapposte da massi frantati. Il passaggio dalla camera superiore a quella inferiore richiede la capacità di scivolare con una certa flessuosità attraverso i massi ormai coperti di materiale concrezionale.

Per passarci ho dovuto lasciare indietro la macchina fotografica e per questo non posso mostravi il vero tesoro de la Fusa: la piccola sala finale, un tripudio di piccole stalattiti e concrezioni che circondano un’enorme colata compatta. Davvero bella!

Piano piano la nostra squadra affronta la risalita riguadagnando quota ad ogni pozzo fino a rivedere la luce oltre l’inghiottitoio iniziale. Ai piedi dell’ingresso, 22 metri sotto la superficie, il sole illumina le foglie dell’albero su cui avevamo realizzato il primo ancoraggio. La luminosa luce verde e la fiamma rossa delle lampade a carburo danno vita all’oscurità che ci avvolge: questa è La Fusa, il cuore del Cornizzolo.

Davide “Birillo” Valsecchi

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