«Attenti a quei due»: prima ripetizione invernale

CIMA-ASSO.it > Arrampicata > «Attenti a quei due»: prima ripetizione invernale

mattia-attenti_a_quei_due-invernaleCi ritroviamo sotto la Parete Fasana con il naso all’insù: è il 21 Dicembre, primo giorno d’inverno. «Sarebbe la prima ripetizione assoluta in invernale, ma hai visto come è ridotta?! Cola acqua da tutte le parti!!» Attorno a noi è tutto coperto di neve, una pioggerellina mista a neve sembra rinforzare. Nello zaino abbiamo tonnellate di materiale ma tutto sembra esserci contro. «Sarebbe davvero strepitoso riuscirci, la via la conosciamo, le soste sono vecchie ma buone, però…  però  infilarsi in quell’oceano in questi condizioni sarebbe davvero da stronzi. Già, davvero da stronzi. Questa è la nostra parete: dobbiamo solo aspettare che non piova. Non possiamo mancarle di rispetto violentandola così: ci ha già preso a calci in passato!»

Restiamo in silenzio un attimo. Poi decidiamo «Facciamo un regalo di Natale a Renzo e Giorgio, facciamo la prima invernale di Attenti a quei due!!» La via che i due veterani hanno aperto due anni fa ha un passaggio tosto di 6a ma è attrezzata alla perfezione e, salvo alcuni tratti dove la roccia è friabile, è completamente protetta.

Ci spostiamo sul Corno Occidentale ed attacchiamo. Il freddo alle mani è violento, i guanti si inzuppano e non resta che procedere senza mentre la roccia sembra mordere le dita. Alla prima sosta Mattia infila le scarpette e comincia a lavorare in aderenza sulla roccia bagnata.

Le dita non mi si scaldano, il dolore sembra travolgermi mentre inutilmente cerco di rimediare. Nella mia testa urlano mille maledizioni e recriminazioni che si trasformano in rabbia. Perché? Perché sono appeso quassù? Perché faccio questo a me stesso? Perché tanta sofferenza? Il mio mondo si incrina e a due mani colpisco la roccia urlando in silenzio. No, dannazione! No!

L’ultima volta che una cosa simile mi era successa ero a seimila metri in India, quella volta mi si erano congelati i guanti: dolore e paura avevano raggiunto nuovi primati quella volta. Il ricordo non aiuta affatto. La crisi dura un istante, probabilmente Mattia nemmeno se ne accorge. Poi, rapida come era arrivata, se ne và, morendo in un respiro più profondo: le mani tornano mie così come il coraggio. La mente è il motore, il resto è un optional.

Riparto, scavalco il traverso ed appeso alle clessidre risalgo fino alla sosta successiva. Arrampico con gli scarponi: ad ogni movimento mi domando stupito come i Grandi abbiamo potuto fare così TANTO in simili condizioni!

Il terzo tiro è la placca a graspoli. Mattia lavora in artificiale fino al passaggio chiave oltre la placca. Lì non c’è nulla da tirare e tutto è invaso da una viscida patina bianca. Trattengo il fiato mentre prova il passaggio. Due movimenti morbidi e Mattia è passato. Si ferma e ride a fiato corto: è stata dura anche per uno come lui!

Sulla placca mi tiro su di braccia sfruttando i fix, gli scarponi scivolano e sgambetto come un cartone animato.  Nel passaggio chiave sono nei guai. Non ho nulla da tirare, le prese “buone” sono tutte in alto e di alzarmi con i piedi non c’è  modo. Faccio un paio di tentativi ma sono inchiodato al fix. «Dannazione, non riesco a passare!» Inizia a piovere per davvero. Devo fare qualcosa. «Fanculo… tieni che provo fuori via!» Mi sposo sulla destra fino a raggiungere un crinale. Mi appendo ad alcune lame e mi tiro su fino ad un cengia dove un “coccodrillo” di roccia inizia a ballare sotto le mie mani! «oh cazzo… Okkio che pascolo in mezzo alla schifo!» Accarezzo il coccodrillo sperando si acquieti mentre mi sposto di nuovo verso sinistra rientrando in via sopra il passaggio chiave.

«Cazzo, cazzo, cazzo!!» Attacco la longe in sosta e tiro fiato. Sistemo il reverso e Mattia riparte. Mancano due tiri, dovrebbero essere facili ma il destino non vuole darcela vinta. Mattia, con il suo tocco morbido, appoggia la mano sotto il diedro su un melone di roccia che inizia a dondolare (chiunque altro avrebbe fatto il disastro!). Il gelo ha trasformato gli equilibri rendendo gli incastri instabili. «Occhio, questo balla e soprattutto non so cosa tien sù! Provo a passare ma ho paura di prenderlo dentro con lo zaino. Occhio!» Direttamente sopra di me c’è una massa informe di sassi incastrati che, dondolando, mi salutano dall’alto: se quella roba parte io sono fottuto, davvero fottuto!

Mattia passa oltre il diedro, chiama la sosta ed inizia a recuperami. Avanzo tra roccia, neve e terra sfruttando il Vibram degli scarponi. Tiro un respiro e scavalco le rocce traballanti infilandomi in una fessura sulla sinistra. Mi incastro nel diedro con lo zaino e letteralmente striscio all’indietro su un piccolo terrazzo. Allungo le mani e mi raddrizzo puntando i piedi ed attaccandomi al rinvio. Mentre lo faccio il terrazzino su cui stavo cede di botto, mi ritrovo a penzoloni appeso al rinvio mentre una scarica di sassi grandi come palloni da basket rimbalza sulla parete centrando gli alberi sottostanti. Spavento non è il termine adatto…

«Hey, smettila di demolire la via!» mi sfotte allegro Mattia dalla sosta. Il tiro successivo è un altro passaggio sullo sfasciume e poi, finalmente, la cresta: siamo furi. Abbiamo attaccato alle 10 e mezza, siamo usciti entrambi alle 14.

La cresta è piena di neve ma ormai tutto è alle nostre spalle. La paura, la fatica, il freddo: tutto è rimasto sulla parete,  con noi solo uno strano tepore nel profondo nel cuore.

Buon Natale!

Davide “Birillo” Valsecchi

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