White Horn

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Quando nella valle risuona la sirena dell’Oltolina io sono ormai quasi arrivato a Pianezzo. La strada che risale da Oneda è coperta di neve, cinque centimetri buoni in più da quando ero passato  domenica. Davanti a me, probabilmente ieri, qualcuno è salito e sceso con gli sci e le sue sono le uniche tracce che si uniscono alle mei. Superato Pianezzo la neve torna ad essere immacolata, vergine.

Punto dritto all’attacco del Caminetto risalendo attraverso il bosco. Il cielo si era fatto azzurro e qualche raggio di sole era filtrato attraverso le nuvole, poi tutti si è nuovamente coperto rendendo ogni cosa silente, quasi in attesa: io affondo fino al ginocchio godendo di ogni passo.

Mi avvicino all’attacco con cautela cercando di capirne le condizioni. Quando gli arrivo sotto affondo nella neve che ha già scaricato, riparo a sinistra sotto lo sperone di roccia ed inizio a vestirmi.  Casco, ramponi, imbrago, piccozza: “Sei da solo, prima mettiti tutto e poi andiamo a vedere se si passa…”.

Il canale mi piace, quello che doveva muoversi sembra averlo già fatto e ciò che resta è a tratti soffice e a tratti ghiacciato: “Oky, andiamo”. Piccozza nella destra e con la sinistra, quando serve,  scavo in cerca di appigli sotto la neve (una seconda picca non sarebbe stata male). I ramponi si fanno indispensabili lavorando con le punte dove è troppo dura e compatta per gradinare.

Un passo alla volta, senza fretta. Lavoro con calma, in silenzio, lasciando che siano solo i pensieri ad agire. Quando rimonto il caminetto un ultimo breve tratto di neve mi separa dalla croce: attorno a me solo il vuoto, il lago e le altre grandi montagne. Non c’è nulla lassù, solo io ed una sconfinata quiete che sembra espandersi in ogni direzione fino all’orizzonte. “Ciao Corni, sono tornato! Sono ancora qui!”

Probabilmente esistono montagne più belle ma scendendo  in equilibrio lungo la cresta la mia mi appare stupenda. Arrivo fin sopra la spaccatura del “Passo della Vacca”. Sotto la neve, da qualche parte, c’è un anello con cui calarsi ma i fianchi del canale sono ancora carichi. Volevo provare a risalire dritto lungo il fianco di destra, dove la pendenza aumenta, ma  non credo la neve sia assestata o abbastanza solida da reggere:”Se solo facesse più freddo…”

Lassù non c’è posto per la tristezza o i rimpianti, lassù tutto ti assorbe e ti sostiene: il problema infatti e non andare in basso, o per lo meno non andarci troppo in fretta. Scatto qualche foto e torno sui miei passi fino all’uscita del Caminetto. Qui i “Vecchi” hanno piazzato un magnifico spit ad anello a cui mi assicuro con la Daisy Chain: stendo in doppia la mia statica da 30 metri ed inizio a calarmi.

Finiti i 15 metri della mia breve doppia (sarebbe buona cosa avere una corda da 60 e fare due doppie) mi tocca arrangiarmi in libera con piccozza e ramponi. “Con calma birillo, scendere scendiamo, l’importante è non scendere troppo in fretta…” Sghignazzo da solo lavorando con la punta della piccozza mentre tasto la roccia e la neve.

Sono partito da Oneda alle sette e mezza, alle nove e venti  ero in cima al Corno Occidentale ed alle dieci meno dieci di nuovo sotto l’attacco del Caminetto. Ora il tempo  faccia quello che vuole, la mia parte io l’ho fatta.

Curioso verso il Corno Centrale ma la normale da Ovest è tutta slavinata, la neve è smossa ed è rovinata a valle lungo il pratone precipitando nel vuoto oltre il sentiero sottostante: la gente spesso risale da Fo senza fare caso a quanto davvero quel breve tratto possa essere pericoloso. Se voglio andare in cima lassù dovrò provare dal lato Est anche se probabilmente da quella parte la neve sarà già stata mangiata dal sole.

Comunque sia non oggi, forse domani o magari il prossimo inverno. Chi può dirlo? Veramente importa? No, lassù tutto acquisisce un senso e perde di importanza. Questo è il vero grande segreto. Eccovi alcune foto di un mondo magnifico.

Davide “Birillo” Valsecchi

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