Sopraluogo al Coglians

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Alle quattro del mattino sgattaiolo fuori dal letto e mi fiondo in cucina: Bruna dorme, io ingollo un’abbondante colazione e con un sol gesto inforco lo zaino e la porta. Alle cinque sono al rifugio Tolazzi, quota 1350m. La luce già irrompe nella valle mentre a tutta forza risalgo verso la malga Morareto ed il Rifugio Marinelli, quota 2120m.

Alle sette sono finalmente alla base del nevaio e davanti a me scattano quattro camosci che si lanciano come fulmini sulla neve. Infilo il casco e l’imbrago, calzo i ramponi ed impugno la mitica “Grivel”, la picozza da combattimento che ho in dono da Simone.

Passo dopo passo mi alzo sulla neve. Il Coglians è tutto per me e la solitudine sulla montagna è assoluta. Non ero mai stato quassù con la neve e non sapevo bene cosa aspettarmi: oltre ad essere solo, ero immerso e concentrato nella scoperta.

La neve era buona, temevo fosse gelata al mattino e che mollasse all’arrivo del sole: per mia fortuna era compatta ma non dura. Dopo il primo lungo strappo segue un piccolo spiazzo che si allunga nuovamente verso l’alto fino all’attacco dello strappo finale.

L’ultimo tratto mi era stato descritto come molto ripido ed impegnativo, fortunatamente non era così duro come me l’ero immaginato sebbene la pendenza non sia affatto da sottovalutare. Traversando e risalendo in verticale ho puntato diretto alla cima raggiungendo la leggendaria campana che domina i 2780 metri del Coglians.

Alle 8:56 ero in cima, dopo quattro ore esatte e 1430 metri di dislivello: non male per una fuga all’alba!

Seduto sotto la campana mi sono abbuffato di fichi secchi godendomi il magnifico panorama. Le cornici sul lato nord erano ancora davvero considerevoli e potevano trarre pericolosamente in inganno chi non conosca la cima! (attenzione!!)

Lassù in vetta ho voluto dedicare un attimo di raccoglimento e due suoni di campana agli amici, soprattutto alpinisti, che quest’anno sono caduti inseguendo il proprio sogno: “Ogni morte d’uomo mi riduce, perché io faccio parte dell’umanità. E, dunque, non chiedere mai per chi suona la campana. Essa suona per te.”

I ramponi alla lunga mi danno impiccio, così li ho tolti ed ho iniziato la mia discesa inseguendo un crinale di roccia libero dalla neve. Giunto sul canalone sottostante ho iniziato a sciare pattinando allegramente sui mei scarponi lungo un’esclusiva pista di oltre un chilometro.

Finita la neve ho rinfagottato tutto il mio equipaggiamento nello zaino e sono sceso a perdifiato lungo i prati. Alle dieci una veloce telefonata: “Hey Bruna! Sono di ritorno! Facciamo colazione?”

Davide “Birillo” Valsecchi

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