La grande paura

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Domenica i Corni sono diventati il triste teatro di un fatale incidente di montagna. Era poco dopo l’una quando è suonato il mio telefono, a chiamarmi era un amico, un giornalista di una testata locale: «Birillo: incidente in parete ai Corni. Sai qualcosa?» In realtà io non sapevo nulla, volevo salire ai Corni nel pomeriggio per scattare qualche foto ma alla fine avevo deciso di restare a casa. “Incidente in parete ai Corni” quella frase mi aveva gelato il sangue.

Ho appeso con il giornalista e chiamato qualche amico del soccorso alpino: «No Birillo, sono in Grigna. Non so niente dei Corni.» Lo ringrazio ma l’agitazione continua a montare. Nella mia mente immaginavo una cordata appesa sulla Fasana, un caos di corde ed ancoraggi strattonati, alpinisti appesi e futuri incerti.  Il telefono bippa, il mio amico giornalista mi aggiorna via SMS: «Male male male. Eli in recupero». Non sapevo cosa pensare, senza una squadra numerosa potevano effettuare un recupero sulle pareti dei Corni? Era caduto al primo tiro ed il compagno lo aveva calato? Oppure avevano stappato tutto ed erano inesorabilmente a terra?

Ero tentato di salire a vedere di persona ma ci avrei comunque impiegato un’ora e non avrei potuto essere di alcun aiuto. Era inutile. Sconfortato non mi restava che attendere. Preso dalla foga ho scritto a tutti quelli che in questo periodo frequentano alpinisticamente i Corni e che mi hanno contattato per avere informazioni: «Hey Bagai, dove siete? Chi c’è ai Corni?». Ovviamente non risponde nessuno, è domenica pomeriggio, non c’è modo che leggano il messaggio fino a sera. Non stavo facevo altro che aumentare l’elenco di domande a cui non avevo risposta.

«Pensa Birillo, pensa: siamo aumentati ma non siamo tanti ad arrampicare ai Corni. Forse è successo in ferrata, forse qualcuno è volato sulla Venticinquennale ed ora lo stanno tirando giù. E’ più probabile sia sulla ferrata». Mentalmente stavo cercando di manovrare e manipolare i miei timori. Se era sulla ferrata poteva essersi fatto parecchio male ma se non aveva fatto casini con le longe poteva non essere troppo grave. «Sì, deve per forza essere in ferrata». L’angoscia che qualcuno avesse potuto fare il botto arrampicando allentava la presa ma non mi dava comunque respiro.

Il telefono suona di nuovo: «Birillo. Purtroppo si parla di un morto. Sembra sia un escursionista che sulla cresta, dopo aver fatto la ferrata, è caduto per un centinaio di metri da un posto che si chiama il Passo della Vacca». Ascolto la telefonata e descrivo al mio amico giornalista il passaggio, lo stretto intaglio sulla cresta del Corno Occidentale in corrispondenza della grande spaccatura che chiamiamo il camino Gandin. Lo saluto e lo ringrazio, non c’era molto da aggiungere.

Mi sono seduto in silenzio cercando di mettere ordine tra le emozioni contrastanti che si agitavano in me. Fin da quando ho cominciato a descrivere le vie dei Corni ripercorse con Mattia questa è sempre stata la mia grande paura. I Corni sono un mondo un po’ a parte, sono una realtà peculiare, con caratteristiche proprie che rendono quelle pareti più ostiche di quanto una montagna simile porterebbe a credere.

L’idea che qualcuno imitandoci, o peggio ancora in competizione, possa pagare per un rischio sbagliato mi inquieta profondamente. Le mie montagne non devono essere il posto in cui farsi male, o peggio ancora morire: qualcosa di simile annichilirebbe in un istante tutta la ricerca e tutti gli sforzi fatti. Travolgerebbe ogni cosa: non so quale potrebbe essere la mia reazione, conosco solo la grande paura che ho provato domenica. Non deve accadere, dobbiamo fare in modo che non accada ed è in questa direzione che voglio impegnarmi.

Allo stesso modo la tragedia di domenica deve essere di insegnamento, di monito tanto per gli alpinisti quanto per escursionisti e gitanti. I Corni non sono la Grigna, non sono la “montagna assassina” che tutti temono, ma la loro natura è meno docile di quanto si voglia credere e le sue creste, per quanto bellissime, vanno affrontate con tutta l’attenzione e la riverenza che un simile luogo impone.

Sono davvero dispiaciuto per lo sfortunato che domenica è caduto tragicamente, per il tormento che hanno vissuto e che probabilmente ancora vivono gli amici che erano con lui, per i familiare che ne piangono la perdita. A loro va tutto il mio cordoglio.

A tutti gli altri voglio invece lasciare le tre regole dell’alpinismo secondo Georges Livanos:

  1. Arrivare in cima
  2. Tornare a casa in buono stato
  3. Tutto il resto non mi interessa

In queste semplici regole è racchiusa una grande verità.

Un pensiero va anche a Ettore Della Noce: forte alpinista e valente fotogrago di origine Canzese che Sabato ha perso la vita  in Valtellina.

Davide “Birillo” Valsecchi

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