La cresta dei Corni

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«Nella casa della formica, la rugiada è un’inondazione» Il sole è sorto solo da una ventina di minuti ma il versante Nord del Corno Occidentale è ancora completamente in ombra. Oltre la cresta si vede brillare il sole attraverso la neve che il vento innalza nel vuoto. Già, la neve, finalmente è arrivata e per la sua effimera natura resterà sulle rocce dei Corni solo per qualche giorno, rendendo la sua presenza un tesoro prezioso da cogliere al volo.

Sono il primo, ho battuto la traccia fin qui e davanti a me la neve appare intatta, vergine. Uno strato di crosta ricopre l’inconsistente e spessa polvere bianca che ricopre ogni cosa. Non è neve “buona”, non è in grado di reggere peso o sostenere il lavoro dei ramponi o della piccozza. Non è neve “sicura”, è bastato un giorno di sole dopo la nevicata perchè i canali slavinassero verso il basso. Questa è la neve dei Corni, non ghiaccia, non consolida, appare per qualche istante e poi scompare dando vita ad un infinità di piccoli inverni all’interno di una singola stagione.

Ogni passo va ponderato e sprofonda ricoprendoti di neve mentre avanzi nel bianco. Metto mano alla picozza ma per quanto la affondi non regge, uso la punta sulle rocce, la incastro dove tiene: nulla più.

Per raggiungere la cresta si sfila sotto tre canali. Quello più a sinistra è molto verticale, ospita due piante lungo il suo sviluppo, spesso è usato dal soccorso alpino per le esercitazioni invernali di calata. La neve al suo interno è già slavinata ed ammassata sul fondo: solo rocce ed erba schiacciata appaiono tra le striature di bianco. Il secondo canale è molto più stretto e molto meno marcato, corre a destra di una cresta di spuntoni rocciosi. Verticale e “duro” mostra già i primi segni di cedimento e le prime piccole slavine. (Ahimè, è passato solo un giorno!). Il terzo canale è più appoggiato, colmo di neve e porta diritto all’uscita della ferrata. Potrei salire da lì ma il sole ed il vento mi chiamano sulla cresta, sulla linea di confine tra luce ed ombra.

Attraverso verso destra, superando i due grossi alberi che portano al tratto strapiombante. Vorrei puntare diritto attraverso spazi verticali ma mi riprometto di tracciare come si deve, di scegliere una buona linea che non tragga in inganno quelli che proveranno a seguirmi. Nel giro di qualche metro oltre le piante l’esposizione aumenta e sotto di me si apre un ragguardevole vuoto.

Raggiungo l’imbocco del “sentiero delle capre” che porta alla base del secondo tratto della ferrata. Finalmente sono sulla cresta, supero un primo muretto e davanti a me si mostra finalmente la linea di luce ed ombra che la neve ed il vento hanno tracciato sul Corno Occidentale. Affondo con le braccia ed i piedi cercando appigli solidi: non è una progressione su neve ma un arrampicata su roccia innevata.

Raggiungo l’uscita della ferrata e piego verso sinistra, superando la strettoia tra due sassi e tornando nell’ombra della piccola cresta attigua. Ancora un muretto e sono nuovamente sulla cresta principale avvicinandomi al punto più esposto, il Passo della Vacca.

Da un lato ci sono oltre cento metri di vuoto che, precipitando lungo il Camino Gandin, portano alla grande cengia Sud del Corno. Sull’altro lato si al di sopra della volta di una grotta passante che attraversa da nord a sud tutto il corno e che è il tratto finale di un canale che risale dalla base. il passo è una grande “V” che su un ponte di roccia dove il vento accumula la neve coprendo le rocce nei modi più artistici.

Passo della Vacca Invernale

Ci si sporge sulla roccia dapprima verso sinistra, quindi verso il vuoto della val Ravella, e poi ci si infila in discesa in uno stretto diedro che scende a destra verso il canale. Il diedro è stretto ed il lato sinistro è una lunga lastra rocciosa che spesso si copre di ghiaccio. Faccia alla roccia mi abbasso incastrandomi in opposizione tra le due pareti. Infilo alla cieca le mani sotto la neve cercando con le dita prese sulla roccia. Piano piano, con un po’ di mestiere, mi abbasso fino al piccolo terrazzo. Poi, saldo su un lato della “V”, mi apro cercando appigli sul lato apposto: per un istante sono sospeso nel vuoto, il sole in faccia, il buio alle spalle.

Piano piano avanzo sull’altro versante cercando nella neve instabile appoggi sicuri per i piedi. Di nuovo all’ombra mi alzo verticale incunendomi nel successivo stretto diedro che si forma tra il crinale ed una grande roccia. Finalmente torno alla luce, di nuovo sulla cresta non mi rimane che raggiungere la croce.

Dalla cima del Corno Occidentale osservo quello centrale fantasticando sui suoi canali che, ahimè, non vanno mai in condizione. «Nella casa della formica, la rugiada è un’inondazione» Domani, o al più tardi il giorno dopo, la neve scomparirà da queste rocce e la cresta, per quanto mai banale, tornerà ad essere quella che tutti conoscono e spesso sottovalutano. «La farfalla non conta gli anni, ma gli istanti: per questo il suo breve tempo le basta» Questo è il senso della neve dei Corni.

Mi abbasso verso il caminetto osservando la singola traccia di passi che risale: non sono l’unico ad aver colto il miraggio della neve vergine ai Corni. Siamo in pochi, ma decisamente fedeli.

Davide “Birillo” Valsecchi

A conferma di quanto sia importante cogliere l’attimo sabato mattina, con lo scarto di mezzora tra noi, io ero sulla Cresta (vergine), Ivano sul Caminetto (vergine) e Luca sulla Ferrata (vergine).

Considerazioni: conosco la cresta quasi a memoria e l’ho percorsa più volte completamente vergine ed in solitaria. La considero una delle più belle salite che abbia avuto l’opportunità di fare. Le difficoltà sono oggettive ed in buona misura legate all’esposizione ed alla condizione della neve. Quello che posso dirvi, senza mancare di rispetto, è che il Couloir Zucchi sul Grignone non ha pompato nemmeno la metà dell’adrenalina e della soddisfazione che scatenano in me la Cresta.

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