A piedi nudi sul Granito

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Bruna, Keko e Birillo. Nei due giorni precedenti avevo arrampicato ed ero un po’ stanco, volevo quindi riposare ma anche coinvolgere mio fratello e Bruna in un giretto al sole non troppo impegnativo. Così, con un intuizione del momento, abbiamo deciso di salire su per la Cresta di Cranno verso il Sasso della Prera. Lungo il sentiero ci siamo imbattuti in un grosso masso di serpentino, uno dei tanti tipi di roccia non autoctona giunta sulle nostre montagne sotto forma di sassi erratici. Io e Mio fratello lo scorso anno avevamo condotto un piccolo censimento di questi numerosi, soprattutto di granito, su cui è possibile esercitarsi in complessi movimenti di arrampicata bouldering.

Sul sasso, in modo quasi impercettibile ad un occhi non attento, c’erano piccoli segni bianchi di magnesite. Si capiva che qualcuno aveva “provato” il passaggio ma era stato attento a non sporcare troppo la roccia. Tutto sommato, visto che ho una mezza idea di chi può essere stato, ero contento che la sua esplorazione si fosse spinta fin qui e che quelle delicate traccie fossero testimonianza della sua passione ma anche della sua attenzione: così mi piace!

Il pezzo forte, quello più conosciuto, è il “Sass de la Prea” un grosso masso erratico di granito che, trasportato dal ghiacciaio, si posato a precipizio sopra Canzo. Uno dei punti più panoramici in cui osservare la valle e la cerchia di montagne che la circonda. Salire sul sasso dal versante nord non è molto complicato ed una volta in cima si può godere di una magnifico terrazzo grantico. La nostra combricola si è subito insediata sulla cima del sasso godendo del caldo abbraccio del sole e dalla magnifica “sensazione di spazio” che quel panorama riesce a trasmettere. “Visto? Non serve andare fino in Val di Mello per prendere il sole a piedi nudi sul granito!  Sembriamo quelli fighi dei video in Arizona!” Il granito, a differenza del calcare, riesce a farti sentire come in spiaggia.

Dopo un po’, a piedi nudi, ho iniziato a muovere qualche passo in aderenza sfruttando una delle pochissime scanalature che corrono attraverso la placca sul versante Sud del masso. Non avevo intenzione di arrampicare ma, forse per sfizio, avevo comunque infilato le scarpette nello zaino: ora la tentazione si faceva pressante. Se sul lato Nord salire è semplice ma sui versanti a Sud la questione cambia di parecchio,  sopratutto perchè alla base la roccia forma una grossa ed alta pancia aggettante davvero difficile da superare. Inoltre, una volta rimontato il “tettino” iniziale si deve risalire in aderenza per quattro o cinque metri prima di poter scendere sull’altro lato. In passato avevo già provato a tentare il passaggio ma senza alcun successo: non c’era nulla a cui attaccarsi per tirarsi su oltre la pancia. Tuttavia qualche anno è passato e qualche trucco ho iniziato ad impararlo.

Attaccando la pancia di lato ho trovato un piccolo ma solido appoggio per il piede destro. Certo, si deve alzare la gamba oltre il bacino ma era già un buon inizio. Più in alto una presa per la mano sinistra, scomoda da pinzare al contrario, ma interessante. Il vero problema era trovare qualcosa per la mano destra, qualcosa che permettesse di spingersi oltre lo strapiombo caricando il peso sul piede destro. Accarezzo la roccia ma la mano scorre su un’inafferrabile ruvido. Poi trovo una cosa piccola, qualcosa che anni fa non avrei mai considerato: un picco cristallo sporgente.

Quanto tempo fa Josef mi raccontò della sua via “Celeste Nostalgia”, un vione tutt’ora irripetuto in Val di mello, di come un fosse stato un singolo cristallo in quel mare di roccia liscia ad “ispirare” il movimento con cui ha superato il passaggio chiave del tiro chiave. Se non avessi sentito la sua storia forse non avrei dato la stessa attenzione al “mio” cristallo.

sasso di prera

Grande come un grosso capezzolo potevo afferralo solo con la punta delle dita cercando di posizionare in medio in modo da trazionare il più possibile. Il braccio sinistro disteso sopra la testa, il piede destro alto oltre il bacino mentre il piede sinistro, per effetto della trazione della mano destra, si stacca da terra penzolando libero nel vuoto. Un movimento che gusto centimetro per centimetro mentre sposto tutto il mio barricentro sempre un po’ più avanti, più in alto, traslando il peso sulla verticale del piede destro. L’appoggio ed il piede reggono: ho imbrogliato il tetto facendomi piccolo piccolo e scivolandogli attraverso.

Sono in una posizione di assoluto equilibrio, ma se molla il piede le mani non potranno far nulla per tenermi. Sono in equilibrio ma “chiuso”, respiro ed inizio ad espirare “aprendo”. Devo caricare la gamba, distenderla senza che il peso sfugga sul piede o che il movimento faccia sbandierare il corpo. Mi distendo e, terminato il respiro, mi richiudo: le mani appoggiate di palmo verso il basso fanno aderenza mentre riposiziono i piedi. Finalmente mi ridistendo e, mani e piedi appoggiati alla roccia, risalgo in aderenza la facile placca. Evviva!

Bruna e Keko ridevano divertiti dalla cima del sasso. Adoro arrampicare in aderenza ma i miei 83kg non mi lasciano molto margine di errore nel superare gli strapiombi. Se fossi caduto avrei sbattuto il musone prima di ribaltare al suolo: la giornata avrebbe avuto un pessimo epilogo.

“Hey Kekko! Se ti presto le scarpette e ti faccio sicura vorresti provare?” Kekko accetta, scende dal sasso e si fa spiegare il passo. Mio fratello non arrampica molto ma suona, ormai quasi come professionista, la chitarra Jazz. Questo fa sì che abbia una straordinaria presa nelle dita che già in passato è riuscita a soprendermi e stupirmi. Inoltre ha poco più che vent’anni, è molto più alto e pesa meno di sessantacinque chili.

Gli mostro come posizionarsi e lascio che parta. Il mio era stato un movimento delicato, lento e controllato, conquistato duramente centimetro per centimetro. Quello di mio fratello è stato una piccola esplosione: trazionando sul cristallo e spingendo con il piede si è “catapultato” oltre lo strapiombo atterrando in placca. Ero davvero stupito ma altrettanto lo era mio fratello: non ha mai arrampicato in aderenza sul granito e, superato lo strapiombo, non riusciva a capire come fosse possibile proseguire oltre. Per un istante ha cercato quasi di sedersi per poi scoprire, passo dopo passo, con una certa titubanda, come i piedi in aderenza riuscissero a sostenerlo: “Non ho idea di quale legge fisica mi faccia star su: ma è una figata!”

Ed eccoci qui: a due passi dietro casa, nel cuore del regno del Calcare, a scoprire le magie del Granito.  Ci siamo davvero divertiti!

Davide “Birillo” Valsecchi

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