Compresse Di Solitudine Espansa

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“Talvolta mi accade di aver paura, ma è quella paura che significa prudenza. E’ un campanello d’allarme, la coscienza che fa valutare le dificoltà, quando lassù si è totalmente soli, quando non si parla con alcuno tranne con se stessi; quando si pensa ad alta voce ed il suono che esce non dà fastidio.” (Renato Casarotto)

A volte, seduto in cucina, Bruna scoppia a ridere e mi prende in giro: “Con quante persone stai parlando da solo? Con chi stai discutendo?”. Io solitamente precipito dai miei pensieri alla realtà, lascio viaggi, dialoghi e sogni per ritrovarmi con lei seduto sulla seggiola. Povera Bruna: cenare con me spesso deve essere un’avventura solitaria.

Capita anche che, senza che me ne renda conto, i miei pensieri si trasformino in gesti e che, quasi estraniato dalla realtà, mi ritrovi a muovere le mani attraverso roccia immaginaria cercando appigli invisibili. Tuttavia, a quanto mi dicono, la parte più divertente è quando nel mezzo di una lotta, tanto mortale quanto immaginaria, di scatto volto il viso fulminando con lo sguardo avversari fantasma. “Che occhi! Con chi stai litigando questa volta?” Sogghigna Bruna mentre inquieto mi agito tra i corridoi della casa.

“Quanti siete laddentro?” la domanda mi diverte sempre e la risposta, blasfema e spavalda, è quasi sempre la stessa: “Siamo una Legione!”. Il riferimento all’episodio bibblico è voluto: trovo interessante osservare come nella tradizione i demoni, per quanto siano dannati e condannati, abbiano l’innata e straordinaria facoltà di riconoscere senza incertezze il divino. Capacità in cui, al contrario, gli ottusi esseri umani trovano spesso insormontabili difficoltà. Ma in fondo la loro punizione è poi questa: riconoscere Dio senza poterlo raggiungere. A loro modo sono intermediari incastrati tra due mondi…

Così, quando io ed i miei demoni organizziamo una festa nella mia testa, Bruna, Kekko e tutti gli altri se la ridono bonariamente alle mie spalle, ormai consapevoli di come Birillo abbia bisogno dei suoi momenti di solitudine per continuare a funzionare correttamente. Birillo ha bisogno di spazio e di tempo perchè la sua legione si azzittisca lasciando la parola alla sua vera voce. Anche il buon Enzo, nei lunghi mesi di viaggio insieme, aveva capito che ogni tanto doveva lasciarmi per conto mio, farsi da parte. Non so, forse è una forma di meditazione …oppure una specie di malattia… dal mio punto di vista comunque fa poca differenza: questo sono io.

Bruna per il mio compleanno è andata da “GigiCheSbatta-Adventure-Shop” e mi ha regalato un JetBoiler, un mini fornello da bivacco: “…mettiti gli scarponi e và: hai bisogno di essere libero come tu sai fare”. Sono fortunato: a volte “bergamo” sa essere una sonora badilata sui denti, altre volte invece è benzina per il mio motore.

L’altro giorno è però successa una cosa davvero curiosa. Venerdì avevo organizzato una piccola festa per il mio compleanno, il quarantesimo,  ma le cose sono andate decisamente in modo diverso dal previsto. Mattia aveva infatti perentoriamente deciso che Sabato saremmo tornati al Pizzo d’Eghen a recuperare i nostri chiodi.

La storia del Pizzo è ormai trita e ritrita, noiosa come un inferno congelato. Per chi non la conoscesse ancora la posso riassumere brevemente. Abbiamo fatto il Camino Cassin, giunti all’uscita la troposfera è andata in ebollizione: “Tra tutti i fenomeni meteorologici, l’esplosione della convezione profonda resta forse il più affascinante in assoluto: connubio perfetto di eleganza, potenza e imprevedibilità.” Colpiti in pieno dalla tempesta perfetta siamo sopravvissuti solo perchè, letteralmente, ci siamo scavati la fossa.

Mattia all’epoca aveva un bambino di un anno ed io stavo per sposarmi. Tra i fulmini, in quell’oscurità verticale, avevo accettato, come già era accaduto in passato, di essere spacciato. Anzi, come il Dottor Stranamore ero riuscito persino a godermi quella cavalcata atomica: forse è anche per questo che la montagna, in una alba di sole, ci ha restituito alla vita.

Per quanto mi riguarda il Pizzo è un gigante con cui ho fatto a testate per tutte le dodici riprese, era il favorito, i giudici gli hanno dato la vittoria ai punti ed io, tolti i guantoni e sceso dal ring, sono tornato dalla mia “Adriana”. Non c’è bisogno di farne una saga a puntate, se non per fare cassetta…

Per Mattia però è diverso. Ci sono volte in cui la sua determinazione diventa ferocia. Armato di 160 metri di statica voleva tornare a riprendersi i suoi chiodi, la fettuccia in clessidra che ho abbandonato nel traverso in cui sono volato sotto la pioggia. Armato del set da rilievo speleo voleva misurare e catalogare il cuore del grande camino: “Facciamo il rilievo e lo mettiamo a catasto come Ricci/Valsecchi”. Mattia è fatto così. Voleva tornare al Pizzo già un anno fa, nel tentativo di dissuaderlo gli avevo detto di no, ma lui caparbiamente era tornato comunque lassù completamente da solo: nella solitudine del Pizzo si era calato dentro l’orrido camino. Solo la fine dei suoi 101 metri di corda l’aveva costretto a fermarsi. “Nel camino rimbombano grida d’ira!! Volevo portare due corde da 60 ma sia perché ottimista, sia perché ero già carico come un mulo, avevo optato per una trenta!!” aveva scritto quella volta.

“Mi piace l’idea di tornare lassù, rivedere con calma la cima del Pizzo. Ti aiuto a portare su il materiale ma non ho intenzione di calarmi nel vuoto. L’ho promesso a Bruna e non ho interesse a sfidare il Pizzo o ad essergli irrispettoso.” Questa era stata la mia proposta a Mattia, una proposta che oltre a spostare la festa di compleanno per i miei 40 anni prevedeva una levataccia alle 4 e mezza del mattino oltre ad un sacco di incertezze. “Non mi calo ma porto comunque l’equipaggiamento speleo: voglio avere con me quello che serve per darti una mano nel caso ti trovassi nei guai”. Per quanto mi infastidisse l’idea di ritrovarmi costretto a manovrare jumar e discensori con il culo a sbalzo su mille metri di vuoto, sapevo di dover essere pronto a fare quello che andava fatto. “Se mi ritrovo in difficoltà piuttosto che chiedere aiuto a te mi metto in opposizione nel camino, scendo fino alla base, faccio lo zoccolo e poi me ne torno a casa”. L’aveva detto scherzando, ma l’aveva detto. In una squadra, quando la determinazione vacilla e gli obbiettivi cominciano a divergere, emergono prepotenti gli individualismi. Dinamiche che avevo già visto in atto e che avevano stritolato sotto i miei occhi buona parte degli equipaggi di “Cima” che non avevo saputo governare.

Così, fedele alla lealtà che contraddistingue il Nostromo, ho preparato lo zaino, ordinando con attenzione tutto ciò che poteva essermi utile o indispensabile per gestire “Imprevisti e Probabilità”. Poteva essere una semplice passeggia, oppure una guerra …una guerra in cui ero stato trascinato mio malgrado.

Bruna si era data un gran da fare a preparare una cenetta romantica, aveva comprato il pesce da fare alla griglia, il succo di sambuco ed il prosecco per stordirci di vino bianco bevendo tazze enormi di “hugo”. Ma io avevo solo cinque ore di sonno a disposizione ed i miei pensieri vagavano già tra i ricordi, tra i mughi, le rocce, gli strapiombi, lungo le vecchie e malmesse corde fisse abbandonate sul Pizzo.

Avevo voglia di rivedere la cima di quella montagna, di scattare qualche foto, ritrovarmi “da amico” in quel luogo che ci era stato tanto ostile. Ma non provavo la libertà che speravo, anzi, mi sentivo oppresso da un peso che superava di gran lunga la parete o la tempesta. Avrei dovuto festeggiare ma dovevo trattenere le incertezze, impedire che arrivassero a Bruna. Ma l’inutilità dei miei sforzi si rifletteva nella sua ansia altrettanto sottaciuta. I miei pensieri, dannazione, fanno rumore e si agitano nello spazio riempiendo le stanze, spingendo sui muri. La nostra cenetta romantica galleggiava come una zattera in un oceano in tempesta.

Il giorno prima era già stato in Grigna: ero andato a zonzo da solo, esplorando senza meta i versanti nord a ridosso della Parete Fasana e del Pizzo della Pieve. Nè io nè Bruna avevamo avuto incertezze, entrambi sapevamo che “da solo” posso spingermi con sicurezza anche oltre la “frontiera”. Che “solo” posso liberarmi dai demoni e vivere le difficoltà della montagna nel modo giusto. Josef una volta ha detto che sono una specie di Macchiavelli, uno che per quanto azzardi ha sempre un piano di riserva. Non so se fosse un complimento, tuttavia mi sono sentito con soddisfazione come “BatMan” quando me lo ha detto.

«Io sono Batman. Ogni sera vado a proteggere le persone mettendomi a picchiare altre persone come loro. E ogni pomeriggio riporto i dettagli in un taccuino nero A4 a spirale, come se fosse una procedura e non pazzia pura e semplice. Uso quello stile cinico e duro che Alfred ama leggere. L’importante è renderlo interessante. Alfred insiste perchè prenda nota di tutto. Nessuno ha mai fatto quello che sto facendo. Forse non succederà mai più. È importante prendere nota delle cose. Io sono Batman. » ( – Batman – )

Nora è una gattina che vive con noi da ormai quattro o cinque anni: è entrata nella nostra casa quando aveva pochi giorni di vita, era coperta di vermi e stava per morire. Quando Bruna me l’ha mostrata la prima volta, una creaturina in agonia in una scatola per scarpe, decisi che le avrei dato un nome e che le avrei impedito di morire: non era un atto di carità, ma di volontà. La mia volontà.

Ci sono volute tre lunghe ed intense settimane di battaglia ma quella gatta, nera con grandi occhi gialli, è ancora nel mondo dei vivi. Adora Bruna ma vive un rapporto di amore ed odio con me: è una vera stronza per quanto saltuariamente adorabile. Al contrario degli altri due gatti non dorme mai con noi: è altezzosa ed orgogliosa, trova sempre un luogo all’interno della casa dove riposare indisturbata. Poco importa se è sui miei vestiti sporchi o su uno dei miei zaini intrisi di sudore: se potesse rispondervi vi direbbe che mi detesta (come la maggior parte delle femmine che mi amano).

Quella sera però si è appoggiata sul mio cuscino, sdraiandosi sulle mie mani: immobile e sdegnosa aveva comunque deciso starmi vicino. Per un po’ l’ho osservata nella penombra, mentre ascoltavo il vento scuotere gli alberi e spingere sulle finestre. I miei demoni erano in silenzio, azzittiti da un unico pensiero assordante. Attendevo sulla cima del Pizzo, sdraiato tra le rocce della vetta, aspettavo che Mattia riemergesse dalla corda fissa che scendeva verso il basso. Quante ore avevo aspettato lassù? Due? Tre? Forse di più. Avevo atteso, ascoltando i rumori oltre il vuoto della parete. Avevo infilato la maglietta a maniche lunghe, il giacchetto azzurro anti vento. Ero rimasto immobile, aspettando. Avevo mantenuto la mia promessa, non mi ero calato, eppure anche io ero in parete, una parete che non potevo scalare nè ridiscendere. Nell’avvicinamento alla vetta avevo usato le fisse marce con lo zaino pesante, avevo usato la mia statica da trenta metri per i passaggi più esposti. Avevo raggiunto la cima del Pizzo ed ora solo dovevo aspettare, solo. Trionfante Mattia sarebbe uscito riemerso dal Camino, felice di aver recuperato i suoi chiodi, la fettuccia, orgoglioso di aver superato la montagna e le incertezze del giovane e pavido Birillo. Già, sarebbe riemerso raccontando di meraviglie che non avrei mai potuto vedere. Già, forse.

Ma io vedo il futuro, ogni futuro. La fettuccia grigia, quella che riposa in una clessidra al vento e a cui devo la vita, lontano dalla parete avrebbe smesso di essere “leggenda” e sarebbe diventata solo un cimelio dimenticato in un cassetto. La misteriosa ed inarrivabile grotta di Cassin, sezionata e misurata con fare da geometra, sarebbe diventata una nota grigia in un catasto speleo. Il Pizzo avrebbe potuto ucciderci, aveva la forza e la volontà per piegarci. Aveva combattuto con noi, contro di noi, aveva vinto ma non aveva infierito, concedendoci in premio la gloria di avere vissuto.

CentoSessanta metri di statica e quegli stramaledetti spit delle vie sportive: senza quegli artifici niente di tutto questo sarebbe affrontato con tanta leggerezza. Stavamo tradendolo, il vento soffiava contro le finestre mentre sentivo la sua rabbia correre nella stanza. Stavamo per perdere l’orgoglio, la dignità, il rispetto. Questa volta ci averebbe punito, ci avrebbe ucciso. Non ci avrebbe concesso la gloria di una tempesta, gli sarebbe bastato un mugo viscido, oppure cedevole, forse un sasso o un ciuffo d’erba. Forse, in un ultimo gesto magnanimo, ci avrebbe intrappolato della grotta o scagliato giù dalla parete anzichè in qualche canale o rigola laterale. Forse, con crudeltà, ci avrebbe lasciato andare incolumi, tronfi ed inorgogliti, avrebbe sussurrato ad altra roccia di prendersi altrove la propria vendetta: la pena per i traditori è il tradimento.

Solo il giorno prima era sull’orlo della parete Fasana, tra le nuvole e le stelle alpine. Mi ero sentito tanto libero, tanto felice. Forse era il momento di pagare per tale privilegio. Ma era curioso, quello era il mio compleanno. Tutti volevano fare festa ed invece avrebbero dovuto attendere il mio ritorno dalla montagna. “Birillo, fin dove sei disposto a spingerti per mantenere fede alla tua lealtà? Fin dove sono pronti i tuoi compagni a dare prova della propria?”

Mi sono alzato, ho lasciato Bruna, i gatti ed il tepore del letto. Dal terrazzo ho guardato il profilo oscuro del Resegone. Una ventina di minuti e la mia sveglia avrebbe suonato: la campanella di un match senza senso, perso a priori. Avevo scelta? Avevo un briciolo di egoismo a cui aggrapparmi?

Ero di nuovo in Africa, su un pontile di legno proteso verso l’oceano Indiano. “Mi hanno fatto una proposta: ci fermiamo definitivamente qui sull’Isola? E’ la nostra occasione!” Enzo Santambrogio, con quel ghigno degno di un duello del Caravaggio, mi aveva lanciato la sua ultima tentazione. Freddo, caldo, fame, cazzotti e sassate, himalaya e giungla: avevamo affrontato insieme ogni stramaledetta difficoltà lungo il nostro roccambolesco cammino. Guardandoci le spalle avevamo fatto tanta strada insieme. Ma io sapevo la risposta a quella domanda e sapevo come questa avrebbe cambiato ogni cosa: “No, io torno a casa”. Una frase semplice, un elastico teso che si spezza. Eravamo quasi inseparabili, ci sono voluti quattro lunghi anni per provare ad riavvicinarsi. Scelte semplici, eppure tanto dolorose.

[Ore 4:47 AM] “Il vento qui non mi lascia dormire, ha soffiato tutta notte sui miei dubbi. Non è una buona idea ed il mio istinto protesta. Mi spiace ma non mi fido: sei troppo cocciuto e troppe persone sono in ansia. Oggi non vengo. Non fa per me. Tu non essere avventato”. Amore e GSM: nell’epoca moderna un SMS ha il potere di una lettera d’amore, di una dichiarazione di guerra. Nero su bianco volano le parole a cui non si vuole dare ascolto. Un “bip” diventa il rumore di una corda che si spezza.

Sono tornato nel letto ed ho abbracciato Bruna: “Credo di essermi preso la giornata libera: non vado da nessuna parte oggi”. Bruna ha avuto una reazione assolutamente imprevista: si è stretta a me ed ha cominciato a diventare calda, ha cominciato a sudare come se all’improvviso tutta la tensione avesse trovato finalmente la propria strada verso l’esterno. L’ho tenuta stretta mentre il vento, forse nelle luci dell’alba, si era improvvisamente acquietato. Nora, camminandomi altezzosa sulla testa, è scesa dal letto andando a trovarsi un posto comodo sul divano in salotto. Solo un pensiero aleggiava ancora nella stanza ma era qualcosa al di là della mia volontà: “non essere avventato”.

Ci sono volute ore ma ho ricostruito i pezzi della storia, raccolto indizi e voci. Mattia, furioso, ha accarezzato l’idea di andare ancora una volta da solo. Poi, fortunatamente, ha fatto scelte diverse. Ha chiamato TeoBrex e si è unito ad Ivan, Josef e Veronica che salivano ai Piani di Artavaggio per aprire nuove vie. Un finale piacevolmente ironico: anche io ero stato invitato a quell’uscita ma avevo declinato proprio per fare da spalla a Mattia sul Pizzo. Ma per uno come me è bello, anche da fuori, vedere che quanto siano solidi i legami che ho contribuito a creare.

fantastici quattro
Joseph Prina, Mattia Ricci, Ivan Guerini, Matteo Bressan

Codardo, eroico, vivo una vita intrisa di controsensi. Il mio quarantesimo compleanno, lontano dalle luci della festa e dal sorriso degli amici, non poteva forse che essere in questo modo: mi sono circondato di alpinisti straordinariamente forti ma ora, tutto quello che sento di desiderare, è andare da solo.

Davide “Birillo” Valsecchi

L’alpinismo è un’attività sfiancante. Uno sale, sale, sale sempre più in alto, e non raggiunge mai la destinazione. Forse è questo l’aspetto più affascinante. Si è costantemente alla ricerca di qualcosa che non sarà mai raggiunto. – Hermann Buhl –

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