Grigne: tre Birrette ed un Prosecco

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«Andiamo a farci un giro in Grigna?» La proposta di Josef era allettante. Si cammina e non si arrampica: pensavo di cavarmela facile ma mi sbagliavo. Josef voleva curiosare attorno al Sasso Cavallo perchè c’era stato solo una volta, ma di corsa, e non aveva avuto il tempo di studiarne le vie d’arrampicata: forse doveva bastare questo per farmi scattare un campanello d’allarme!

«Perchè hai fatto la val Cassina di corsa?» la mia domanda era davvero ingenua, la risposta invece preoccupante. Josef infatti aveva partecipato alla prima edizione del Trofeo Scaccabarozzi, la celebre e storica SkyMarathon delle Grigne, piazzandosi al dodicesimo posto assoluto di quella massacrante gara di corsa. Un risultato strepitoso (e spaventoso!) dato che quell’edizione era valevole per la Coppa del Mondo!

Così eccomi lì, a cercar di trovare gambe e fiato per stargli dietro: Rongio, Cassina, Bietti (Birra), Guzzi, Piancaformia, Brioschi (Birra), Scudi, Giardino, Scarettone, Rosalba (Birra), Pertusio, Manavello, Rongio, Bar Dina (Prosecco). 39292 passi, 26,70Km e 12 ore sotto il sole. Pensavo ci volesse meno …bagai, son davvero grandi le Grigne!!

La mattina, a Mandello, abbiamo fatto colazione al Bar del distributore di benzina, quello prima del ponte della ferrovia davanti alla Moto Guzzi. Appeso al muro c’era un poster di Mario Panzeri, il terzo italiano ad aver raggiunto tutte le quattordici vette più alte del mondo senza usare bombole di ossigeno (Messner, Mondinelli e Panzeri: che trio!). La sera alle nove, nuovamente a Rongio, è stato inaspettatamente proprio il sorriso di Mario Panzeri ad accoglierci entrando, come da tradizione, al Bar da Dina: anche questi incontri fanno parte delle Grigne!

Ma andiamo con ordine, rimettiamo insieme i pezzi e vediamo un po’ quello che si è riuscito a scoprire. Rongio, sul versante meridionale della Val Méria, è il punto di partenza di diversi itinerari che portano tanto alla Grigna quanto alla Grignetta. Superato il Ponte di Ferro si può salire alla Gardata, sul lato dello Zucco di Pissavacca, oppure puntare al Rifugio Elisa o alla Val Cassina, tra il Sasso Cavallo ed il Sasso dei Carbonari. In ogni caso per tutti i percorsi è tappa obbligatoria la Ferrera, la celebre grotta citata anche da Leonardo da Vinci alla fine del 1500: “… ma la maggiore è quella di Mandello, la quale à nella sua basa una busa di verso il lago, la quale va sotto 200 scalini e qui d’gni tempo è diaccio e vento”.

La Ferrera spesso prende anche il nome di Grotta dell’Acqua Bianca o Grotta del Rame, non saprei darvi certezza di quale sia corretto. Quello che è certo, così come testimonia il buon Leonardo ben 500 anni fa, è che il sentiero per arrivarci è un’interminabile biscia a scalini di sasso, tanto affascinante la prima volta quanto noiosa le successive. Quando vi renderete conto della penuria d’acqua tra le Grigne inizierete ad affezionarvi in modo intimo alla straordinaria fontana dalla Ferrara ed al suo salvifico getto continuo d’acqua gelida!

«Ci facciamo un giro dentro?» Ho preso la frontale dallo zaino e, divertito, ho invitato Josef a seguirmi. «Io non capisco cosa ci troviate!? Tutto buio, umido …fangoso!» Con qualche protesta mi ha comunque seguito nella grande sala principale. Curiosamente la maggior parte degli alpinisti che conosco entra controvoglia e con una certa inquietudine nelle grotte. La Ferrera, tuttavia, è una grotta che con adeguata prudenza può essere facilmente visitata anche da chi non ha esperienza speleo.

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Il fascino orrido dello Scarettone e la Val Male catturano lo sguardo mentre risalendo si inizia ad intravvedere il rosa dei muri del Rifugo Rosalba ai piedi della Cresta Segantini. Poi, finalmente, siamo ai piedi del Sasso Cavallo. «Davvero grande, nevvero?» In parete c’è una cordata al secondo tiro di “Cavallo Pazzo”: Josef ed io, come due turisti con il naso all’insù, ci sediamo su un sasso piatto affondando i denti nei panini che ci ha preparato Bruna. Dieci tiri per quattrocento metri di via tra diedri e fessure fisiche con passaggi che oscillano costanti sul 6b/6c. A quei due toccano una decina d’ore di battaglia sotto un sole cocente e, se non si danno una spiccia, forse anche di più!

Io, piacevolmente, oggi devo solo curiosare restando comodamente a terra. Josef invece cerca interessato la via “Oppio” tra le increspature della roccia. «Nino Oppio è uno di quei grandi che purtroppo spesso vengono trascurati». La sua via, tracciata con Oreste Dell’Era tra il 14 ed il 18 agosto 1938, è un pezzo di storia sul sasso Cavallo. Un grande costretto a rubare al lavoro il tempo per arrampicare: “…guarda le date delle mie più belle ascensioni: vedrai che cadono tutte di domenica oppure intorno a Ferragosto.” Già, ma nonostante questo parliamo di 98 ore in parete, 4 bivacchi, 220 chiodi normali di cui 20 lasciati in via: qualcosa che difficilmente trova pari nell’attuale contemporaneità! Giganti, erano davvero dei giganti!

Finito lo spuntino rimontiamo il canale della Cassina risalendo fino alla bocchetta. Al bivio la soluzione più diretta sarebbe la ferratina dei Carbonari ma il caldo, e la sete, iniziano a farsi sentire. Così, confidando nella promessa di una birra fresca, ci abbassiamo fino al Bietti-Buzzi.

Ormai è la sete a condurci. A “rebattone di sole” ci infiliamo su per il rovente sentiero Guzzi puntando verso la cresta di Piancaformia: risalgo veneggiando nei rari ma provvidenziali aliti di vento che rinfrescano la calura. Raggiunta la cresta ci appare il grande bacino nord della Grigna, il “Circo del Moncodeno”, quell’immenso “pentolone buco” che è il bacino carsico del Bregai.

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Risaliamo la cresta ma rinunciamo all’integrale deviando verso il sentiero del Ganda: ci sono troppi escursionisti sul sentiero e sarebbe sciocco, per vanagloria, centrarne qualcuno con qualche sasso dall’alto nel week-end di Ferragosto. Così, con senso civico modello, ci mischiamo alle signorine che ansimando risalgono in fuseaux verso la vetta. In fondo anche questo è parte del folclore della Grigna: alpinisti distratti che guardano il culo alle tipe mentre la “Guerriera”, gelosa ed offesa, cerca di centrarli in fronte a sassate… Le leggende hanno sempre un fondamento!

Al Brioschi la seconda birra è piacevolmente alla spina! Alex, il capanat, è piacevolmente di nuovo in piedi ed in forma dopo l’incidente dello scorso inverno (Grande Alex!) e ci godiamo due chiacchiere sulla panchina d’ingresso con Claudio. Il rifugio, come è prevedibile in questa stagione, è un via vai di gente ma nessuno sembra intenzionato a rovinare la piacevole atmosfera della vetta e del “Rifugio più amato dagli italiani”. Si sta davvero bene lassù.

Poi i Comolli sono inghiottiti dalla foschia che lentamente sale ad avvolgere il versante est. Ci rimettiamo in marcia abbassandoci al bivacco Merlini e proseguendo verso lo Zucco dei Chignoli, gli scudi di Tremare ed il sentiero della Traversata Alta. Si discende una serie di belle balze di rocciose attrezzate con delle catene (Attenzione, è un itinerario tutt’altro che banale e decisamente esposto in discesa) prima di un ultimo tratto friabile e delicato che porta al Buco di Grigna.

«Accidenti che folla!» «Già, prima uno mi ha dato una spallata passando … sembra di stare giù in centro…guarda che ressa!» Dal Buco di Grigna alla Bocchetta di Giardino sono duecento metri di dislivello in uno degli ambiti più solitari ed affascinanti tra le due Grigne. Due camosci ci osservavano incuriositi, stupiti che in quell’ora ormai tarda ci fossero ancora viandanti ad invadere i loro spazi privati. Il posto è bellissimo ma la fatica (e la sete) iniziano nuovamente a farsi sentire.

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Il sentiero dello Scarrettone, complice forse anche la stanchezza, è più lungo ed impegnativo di quanto ricordassi: ormai protetto a catene lungo quasi tutta la sua lunghezza affronta una serie infinita di roccette e canaletti tutt’altro che trascurabili. Le profondità dell’abisso sottostante ribadiscono la natura intensa e battagliera della Grignetta: non c’è troppo da menarsi via su quel sentiero!

Quando arriviamo al Rosalba abbiamo ancora un paio d’ore di luce prima del tramonto. Ci infiliamo nel rifugio concedendoci la terza birretta della giornata: Io e Josef ci divertiamo bonariamente a prendere in giro il giovane Luca, il figlio diciassettenne del rifugista. «No no, quella roccia lì non ha un nome e neppure una via. Non è niente …è roba che vien su ma che non conta. Se quelli forti non ci hanno mai aperto niente vuol dire che non ne vale la pena… roba inutile…» Immaginatevi in quale guaio si sia cacciato il giovinetto rispondendo con queste parole ad una domanda di Josef su un’evidente fessura obliqua di cento metri! Ero talmente divertito che ho persino cercato di soccorrerlo! Beata gioventù, se non vi date una svegliata non avrete mai un Nino Oppio tra i vostri coscritti!

Nella luce calda del tramonto il lungo traverso verso la cima del Pertusio è assolutamente affascinante: ripidi prati verdi e roccia bianca a sbalzo sui riflessi azzurri del lago sottostante. I camosci giocano e si rincorrono divertiti, ormai incuranti della nostra silenziosa presenza. Anche io mi diverto ad inseguire il sentiero invaso dall’erba alta: davvero bella quella parte della Grignetta.

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Superiamo il bosco di betulle e l’ultima rampa che porta al Baitello del Manavello. Le difficoltà sono ormai finite e maciniamo veloci la strada che ancora ci separa dall’abitato di Rongio. La fontanella nella piazzetta è una specie di oasi mandata dalla provvidenza. Finalmente possiamo goderci grandi sorsate d’acqua ed alleviare il sole sulla pelle: «Sulle Grigne si patisce la sete!» I lampioni sono accesi accesi, ci infiliamo delle maglie asciutte ed entriamo da Dina per confermare la teoria: «Prosecco e patatine: brindiamo al nostro giretto in Grigna!»

Davide “Birillo” Valsecchi

Ps: Le prima via storica sul Sasso Cavallo è di Gino Carugati e Giorgio Ripamonti, il 25 settembre 1910. La Oppio del 38 dovrebbe essere la terza dopo quella di Cassin nel 33.

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