Ulisse d’Acqua Dolce

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Ivan mi ha regalato un sacco di libri ed annuari: forse voleva imparassi qualcosa, o forse voleva solo liberare un po’ di spazio in casa, non so… Sta di fatto che prima di uscire mi sono soffermato su un articolo che affrontava le differenze tra Alpinismo e Arrampicata: era chiaramente la trascrizione di un discorso tenuto durante l’annuale incontro del Club Alpino Accademico. Come consuetudine introduceva il concetto di “pace con l’alpe”, la visione moderna che si contrappone alla “lotta con l’alpe” tipica degli anni ante-guerra. Onestamente io non saprei cosa dire, grandi o piccole le montagne continuano a prendermi a calci nelle palle e questa visione “pacifista” fa un po’ troppo boyscout hipster per i miei gusti. Le montagne restano gli invincibili giganti di una moderna odissea: serve astuzia, azzardo e fortuna per ascoltare il canto delle sirene e fare ritorno ad Itaca. Inoltre questa pace “puzza” della superbia compiacente di chi si sottrae al conflitto convinto (a torto) della propria inevitabile vittoria: sembrano politici che inneggiano al trionfo senza mai essere scesi in trincea con la fanteria. Io la furia delle montagne l’ho solo fortunatamente intravvista, ma da quel poco che ho visto vi garantisco che nell’occhio del ciclone o combatti o muori.

L’articolo poi continuava creando un parallelo piuttosto ardito: l’arrampicarore è come un velista di lago, l’alpinista invece solca gli oceani. Credo che i Laghéé ed il vento che cala da Nord sul Lario potrebbero obbiettare piuttosto pesantemente su questa semplificazione. Forse l’autore dimentica come, quando la sorte si fa avversa, anche i giganti possano affogare in un bicchiere d’acqua. Tuttavia il mondo è bello perchè è vario e così, uscendo di casa, ero piuttosto compiaciuto di sentirmi un “Ulisse d’Acqua Dolce”.

Sguero si era già attaccato alla roccia, superando il primo muretto calcaero ben appigliato, giungendo alla grande pancia strapiombante: due grandi fori sferici, simili a due occhi, sovrastavano quel tratto aggettante. Ogni tanto si gira e storpicciando la voce del Gerry mi urla ridendo: “Che Sbuatta!”. Da quando gli ho presentato “Gigi Che Sbatta” questa è diventata la sua gag preferita. Poi, quando gli do corda per rinviare, ricomincia: “AseeeenPark… Che Sbuatta… però è davvero un ragazzo simpatico: mi piace la corda che ci ha consigliato”. Sguero è fatto così: in perenne e dinamico equilibrio tra l’assolutamente serio e l’inevitabilmente ridicolo.

Lo strapiombo però è una faccenda complessa ed iniziamo a lavorarci con impegno. Come una rana si alza in ricongnizione e poi si riabbassa. Pianta due chiodi in una fessura sotto il tettino, ma entrambi sono troppo bassi e troppo poco buoni. Rinvia e si rialza in ricognizione. Potrebbe passare, anzi, in pratica è già passato. Tuttavia da quando Bruna si è fatta male qualcosa è cambiato ed è proprio lui il primo ad ammetterlo: c’è in lui un’attenzione nuova nel proteggere i passaggi. Non gli basta più passare, proteggersi, vuole avere la certezza che il secondo possa fare altrettanto con adeguata sicurezza. “Sai, forse quello che è successo a Bruna è un avvertimento: chissà, forse ci ha salvato la vita”. Dopo innumerevoli e celebri solitarie Sguero, nonostante un impareggiabile esperienza ultra quarantennale, apparentemente riesplora in modo critico la progessione in cordata: che culo!

Si rialza e cerca di piantare un chiodo oltre lo strabiombo, ma il suono a rimbalzo di ogni martellata dichiara cieche tutte le fessure. Inesauribile si alza e si riabbassa ma il risultato è un misero chiodo da strozzare mezzo fuori. “Biriz, mandami su i friend grandi che proviamo con quelli!” Con il quattro in mano si rialza sullo strapiombo e prova ad incastrarlo tutto storto nel fondo cieco di uno dei due occhi: “Poi sistemo tutto.” Si riabbassa, si riposiziona e riparte. Supera lo strapiombo e si alza in piedi sopra gli occhi: “Calma e gesso, c’è ancora tanto da fare! …che sbuuatta!!”.

Fettucce, speroncini e friend: Sguero guadagna lo spigolo e l’ultimo passaggio aggettante. Io, fermo ad una sosta a nat ancora in ombra, inizio a sentire il freddo farsi strada nelle gambe e nelle spalle. Poi, finalmente, dall’alto spunta la testa del Guero: “Sbiriz… che Sbuatta! Molla tutto!”. Allaccio le scarpette: “Vengo!”. Con lentezza approfitto della roccia lavorata per scaldarmi in ampi movimenti. Poi, sotto la pancia, inizio a schiodare ed il freddo passa di colpo. Pim Pum Pam! “No Sguero, non ti prederò più in giro perchè non sai piantare i chiodi: questo mi sta facendo dannare!” Finalmente, dopo una piccola lotta, il Cassin tutto ritorto abbandona la fessura e trova spazio nel mio imbrago. Per togliere il successivo però devo alzarmi.

Mi attacco a due piccole manette e punto il piede sinistro. Mi raddrizzo cercando un appoggio ma il piede destro scompare a casaccio sotto lo strapiombo: “Come accidenti ha fatto a chiodare in questa posizione?!” Devo scaricare parte del peso sulla corda ma ho paura che il friend mi schizzi in faccia prima di pendolare lungo verso sinistra. Così traffico con un cordino ed il chiodo mezzo fuori cercando un compromesso accettabile: poi, con il respiro leggero, mi appendo ed inizio a schiodare il secondo chiodo. La corda di Gigi che Sbatta è davvero buona!

Riparto e raggiungo lo spigolo “Ma che accidenti!?! Strapiomba anche qui?!!” Sguero se la ride ed ora siamo abbastanza vicini anche per chiacchierare. Mi posiziono per il passaggio studiando la solidità degli appigli diponibili prima di avvicinare il barricentro alla verticale strisciando verso l’alto. “STONK!”. La corda fa saltare uno degli spuntoni che avevo scartato appoggiandomi di botto una mattonella in equilibrio sul casco. “Ecco, appunto!”. E’ troppo grosso perchè con la testa riesca a buttarmelo alle spalle senza tirarmelo sulla schiena. Quindi, tenendo in equilibrio il nuovo amico, mi riposiziono, libero una mano e libero la testa. “Accidenti, le comiche!” sbotto mentre Sguero ride.

Da secondo ai sassi ci si abitua alla svelta sebbene siano un pericolo più che concreto: shrapnel che fischiano ed esplodono sordi in mille scheggie. Tuttavia la mia fobia è un altra, un’atavica paura di ritrovarsi appeso ad un massiccio pilastro di quattro o cinque metri che decide di mollarsi verso il basso. Forse un sasso puoi provare ad evitarlo ma una mostruosità del genere come la risolvi? Già, questa è la grande paura che caratterizza il mio modo di arrampicare, il mio scivolare garbato ed attento su un mondo pronto a crollare: probabilmente la paura più utile e funzionale al tipo di arrampicata esplorativa che si fa con il Guero.

Il secondo tiro della via degli “Occhi Ciechi” è un trenta metri tra guglie a sbalzo nel vuoto: aereo e godibilissimo! Giunti sulla sommità si fa sentire all’orizzonte il boato di un temporale incalzante. Ci cambiamo le scarpe abbassandoci lungo un canale. Sul sentiero di ritorno troviamo un grande pilastro monolitico di venticinque metri che si innalza dall’erba: “Dici che ce la facciamo prima che arrivi la pioggia?” “Bhe, non resta che provare!”. Ovviamente il temporale ci investe in pieno quando è il mio turno di salire a recuperare il materiale. Dicono che il calcare sotto la pioggia, prima di diventare viscido e scivoloso, diventi per qualche minuto più ruvido e poroso. Chissà, forse la pioggia rende più evidenti le forme oppure i fulmini hanno la capacità di darti quella scossa in più. Comunque sia mangio il tiro, fortunatamente di roccia assolutamente compatta, e raggiungo rapido in sosta un inzuppato Guerini. “Biriz, non sembra di stare in cima all’Eghen?” Mi sfotte,  io mi guardo intorno e sghignazzo “No di certo, amico mio. Nemmeno lontanamente…”. Arrotoliamo la corda alla meglio, scendiamo a recuperare gli zaini e ci spazziamo il più lontano possibile dalla cresta (…perchè non si sa mai!).

“Mi piace arrampicare con te, Biriz: riesci a trasmettere una grande tranquillità anche quando le cose si fanno difficili”. Fradicio dalla testa ai piedi quasi arrossisco per un simile complimento.

Per via della pioggia siamo in anticipo sulla tabella di marcia e così raggiungiamo Bruna e Mimma a Lecco: un litro di birra a stomaco vuoto non è certo la colazione del campione ma, in qualche modo, i provvidenziali panini al pomodoro di Bruna evitano la sconfitta (anche se uscito dalla doccia sono crollato addormentato sul divano!)

La sera spulcio su internet le foto pubblicate dagli amici: “Hey Bru, sai dove sono stati oggi quelli della scuola con il corso?” L’indifferenza di Bruna è assoluta così come il cippiglio disinteressato con cui attende la mia risposta a quella domanda pretestuosa. “Al Sass Negher! – faccio io – E sai chi è stato ad aprire le prime vie quando la parete non era stata devastata dai fittoni?” Bruna è ormai rassegnata, alza lo sguardo al cielo, sbuffa e lascia la stanza prima di rispondermi divertita dal corridoio: “Ivan Guerini… e chi sennò? Ormai questa è la risposta Jolly!” Eh già…che sbuatta!

Davide “Birillo” Valsecchi

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