«Per mi en di pirla»

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scalando_impossibileRecensione di Cludio Cima del 1974 per la pubblicazione del libro “7° grado – Scalando l’impossibile” di Reinhold Messner:  

Ci siamo. E’ uscito il libro, che qualora si volessero seguire le idee omicide dell’autore, garantirebbero un biglietto di andata per l’inferno (gli alpinisti sono cattivi, e altro non meritano, ve lo dico io). Che anche Reinhold sia cattivo e soprattutto lucidamente irresponsabile (mi ricorda il capitano di quella nave che spinge il vascello nell’abisso del Maelstorm, dal racconto di Edgard Allan Poe), è fuori di dubbio.

Pertanto su con le orecchie, o voi che vi accingete a leggerlo: non mettetevi in adorazioni davanti a lui, non lasciatevi travolgere dal pathos epico che lo pervade, nè tantomeno abbandonatevi a pensare ingenuamente che l’alpinismo messneriano sia alla portata di tutti! L’alpinismo di Reinhold è, per definizione, impossibile e lui, del resto, così lo qualifica. Se è impossibile, è evidentemente al di fuori della nostra portata; ergo le sue ascensioni sono riservate a lui e a pochi epigoni: gli Dei.

Ma potremmo definire Reinhold un “californiano” perchè laggiù i locali spingono le loro arrampicate al limite. C’è, però, una differenza: Reinhold non fa uso di droghe (rabbrividisco all’idea di lui imbottito di mescalina…). La sua ideologia superomistica è pericolosa, molto di più di quella degli innocui e sognanti arrampicatori della Yosimaiti (si legge così). E’ pericolosa perchè si rifà all’aspetto più inquietante di una ben definita ideologia borghese: non vi è alcuna differenza fra il significato delle sue teorie e quelle di Rudatis & C.

Non c’è nulla da stupirsi, pertanto, se egli trova ammiratori e seguaci fra i giovani alpinisti ambiziosi e capaci, che rifuggono dalle angosce della città per realizzarsi in montagna: costoro alla base della parete lasciano i chiodi in sovrappiù, e salendo trasfigurano la loro personalità, compiendo sempre delle imprese dal dubbio significato storico. Chi è Messner? E’ il loro “Vorbild”, il loro idolo, il portavoce delle loro ansie e delle loro ideologie reazionarie (il mio esempio, semmai dovessi averne uno, sarebbe invece Livanos, il cui alpinismo pacato e responsabile gli permette sempre di tornare a casa).

Ma il libro di raccontini, in cui sono illustrate le scalate più significative dell’Eroe (egli lo è più di Preuss e Comici messi assieme), è preceduto da una serie di citazioni eloquenti su cosa si intenda per SESTO GRADO. Parlano Steiner, Rudatis, Preuss, e anche uno di quei giovani che emulano Reinhold, tale Werner Munter: “Sesto (significa) eccezionale difficoltà”. “Bisogna preservare l’èlite..” fa ancora eco lo Steiner, che consacra le imprese di Messner come prestazioni superiori all’umano. Messner infatti va oltre il VI+. Piuttosto però che lui, per creare continuamente spazio e valutazione alle sue imprese, contragga le altre vie popolari, io sono pronto a caldeggiare la creazione, ad uso di questi ultràs, del VII, dell’ VIII grado etc. Così nell’VIII grado troveranno posto le imprese di Reinhold, del compianto Cozzolino, degli americani, dei francesi e anche dei Boemi.

Come le leggi newtoniane sono state superate dalle implicazioni di Riemann e di Eistein, così la limitazione proposta da Welzenbach e da Solledere è stata da tempo oltrepassata: tutt’al più possiamo riconoscere a Messner questo, prima che le sue idee agghiaccianti (vi ricordate lo spietato calcolatore HAL, in “2001/Odissea nello Spazio”?) prendano piede. E’ importante capire che oggi, più di ieri, in alpinismo non ci vogliono idee e regolamentazioni etiche generalizzanti e preimposte. Il nodo da risolvere in alpinismo, non è certo l’uso o l’abuso dei chiodi e degli altri ferri, ma bensì il significato dell’andarci sulle montagne, e sopratutto il rapporto uomo (lavoratore e alpinista) e società.

Sappiamo che l’arroganza con cui Messner propaganda le sue imprese lo ha fatto diventare celebre: ha già fatto molte vittime, aggiungiamo noi. Ed è un monito, quello che rivolgiano a tutti gli alpinisti specie se giovani e necessariamente ambiziosi… Cozzolino, Renato Reali, Angelo Ursella: per loro, purtroppo, questo monito non serve più. Sappiamo bene che le imprese di Reihnold possono suscitare negli animi di certi giovani così vulnerabili sentimenti di ammirazione e di invidia pari a quelli suscitati dai resoconti di un consumato Don Giovanni…

In conclusione: ogni alpinista deve osservare una propria etica, più o meno valida, e in tal caso criticabile. In montagna ci vada per propria soddisfazione, e tenti di portare a casa la pelle senza lasciarla in giro per non aver voluto usare qualche mezzo di sicurezza. I chiodi lasciati eventualmente in sovrappiù prima o poi saranno tolti, e del resto le montagne sono ben più salde di noi. L’operazione Messneriana è inasprita da una violenza di regime, tesa a voler plasmare a propria immagine e somiglianza l’andare in montagna delle masse: tale pretesa deve, lo ripeto, essere apertamente combattuta.

Infine, una parola sui rapporti tra Messner e Rudatis e Varale: è noto che essi hanno scritto congiuntamente un libro (uscito due anni fa fra i tipi di Longanesi), in cui sono illustrate le loro teorie sulla sportività dell’alpinismo. Questo simpatico terzetto è stato certamente patrocinatore dell’opera di “bonifica” sulle principali vie del Civetta, operata l’anno scorso (ne abbiamo già riferito in un precedente numero). Il responsabile finanziario è stato, oltre al Rudatis, Ernarni Faè e l’executive manager l’Accademico Carlo Andrich… Tale operazione criminale ha sortito vari commenti: stupisce che Lucien Devies si sia schierato a favore degli schiodatori. Il commento lapidario di Giuseppe Alippi “Det”, sconosciuta guida di Mandello, ma a ragione uno dei più forti arrampicatori italiani, è stato “Per mi en di pirla”.

La nostra recensione ha chiaramente lo scopo di mettere in guardia il lettore che magari sprovveduto o troppo incline a facili entusiami: per finire noi ci sentiamo di consigliare l’acquisto del volumetto, ma a scopo difensivo, proprio come se si acquistasse un arma. Ma attenzione, Per sparare, in caso di offesa, non bisogna rivolgere la pistola contro se stessi… L’alpinismo non è, nè deve essere, una roulette russa.

Claudio Cima
Pubblicato sul numero 43 di “Rassegna Alpina 2” nel settembre 1974.



Questo pezzo, riemerso da una rivista che ha più di quarant’anni, è assolutamente una bomba: mentre lo leggevo ero incredulo ed allo stesso tempo continuavo a rotolare rapito nella sua lettura. Mi sentivo come un bambino che alla finestra osserva i vicini litigare: ride ogni volta che si tirano un piatto ma davvero non riesce più  a capire chi abbia ragione.

Questo articolo, esplicito e diretto come mai ci aspetteremo, ci mostra gli aspetti più intensi di quel momento storico in cui il SestoGrado, inteso come limite massimo di difficoltà, stava per esplodere aprendo la scala verso l’alto così come lo conosciamo noi. Un passaggio tutt’altro che pacifico come quest’articolo (finalmente) ci mostra.

Lungi da me l’aprire bocca su una cosa simile, qui c’è da rimanere stritolati negli ingranaggi dei “massimi sistemi”. Posso solo cercare si esplorare il momento storico in cui prende forma questo scritto, che altro non è che una risposta all’altra “campana” espressa da Messner nel suo libro, leggendario ed ormai quasi introvabile. Di certo posso osservare un linguaggio ed una determinazione nel confronto che difficilmente troveremmo nelle adulclorate e plastificate pubblicazioni di oggi: di certo non gliele manda a dire!

Reinhold Messner all’epoca ha 30 anni, ha salito solo i suoi due primi 8000 ma l’apice dei suoi straordinari exploit in arrampicata (alcuni ancora oggi ragguardevoli, irripetuti e compiuti prima dell’avvento delle scarpette!) è ormai passato, purtroppo pochi anni prima ha perso il fratello e le dita dei piedi sul Nanga Parbat. In altri libri successivi sarà proprio lui ad ammettere che comprensibilmente non avrebbe più potuto arrampicare a quel livello. Tuttavia il suo sforzo per infrangere il sesto grado, la limitazione concettuale della scala di difficoltà, continua ed influenza molti dei grandi alpinisti contemporanei che si formeranno ispirandosi alle sue idee di quel periodo.

Di contro Claudio Cima è solo di qualche anno più anziano, 34 anni, ed è un forte alpinista ed arrampicatore (uno dei maggiori conoscitori delle Dolomiti) oltre che un insegnante ed un giornalista. Una figura assolutamente autorevole dell’epoca. Io avevo avuto modo di conoscerne indirettamente la fama perchè ha aperto la via “Gary Hemming al Pizzo Boga” (https://www.cima-asso.it/2016/04/gary-hemming/).

Confesso che riesce a strapparmi un sorriso quando cita “2001/Odissea nello spazio”: per loro un futuro lontano trent’anni e che per noi, oggi nel 2016, è solo un buffo passato. Quando poi cita il “Det”, beniamino e mostro sacro del Sasso Cavallo, vien giù tutto il teatro per un finale con il botto: “Per mi en di pirla”.

Rileggere queste vecchie riviste che mi sono state donate, “rileggere il passato nel suo presente”, è davvero un’esperienza strana: devi arrangiarti a capire la storia, non semplicemente accettare che te la raccontino sotto forma di lezioncina. Spero quindi che questo articolo, indipendentemente dalle vostre idee, possa avervi affascinato ed incuriosito almeno quanto ha ha fatto con me.

Davide “Birillo” Valsecchi

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