Il versante Est del Moregallo è uno dei territori più selvaggi, impervi e misteriosi dell’Isola Senza Nome. Dal Crinale del Sasso Preguda, sopra la frazione di Parè, si estende lungo il lago verso nord per sette chilometri, fino alle moregge della valle Inferno. Dai duecento metri delle sponde del lago si innalza massiccio fino a toccare i milleduecento metri di quota. Un imponente gigante di sette chilometri di estensione per oltre mille metri di altezza, uno spazio enorme che, ad oggi, conta un unico sentiero ufficiale: il Cinquantesimo Osa. Una traccia recuperata negli anni ‘80 che sfila verso nord sotto l’imponente parete Est. Nel cuore del versante Est, tra i suoi “ripidissimi prati innervati da costole rocciose e canali interrotti da balze verticali”, non ci sono bolli in minio rosso, paline o indicazioni. No, in quel mondo verticale e vertiginoso il tempo sembra essersi congelato e chiunque decida di avventurarsi da quelle parti deve essere pronto ad affrontare un’esperienza travolgente, intensa e terribilmente impegnativa.
Con l’aiuto del “Guerra” ho ripercorso una di delle vecchie e quasi perdute tracce realizzate dai “vecchi” che in passato si spingevano sulla montagna. Qui voglio raccontarvi la nostra salita, tuttavia voglio essere chiaro: il mio non è un invito, anzi, se possibile spero di scoraggiarvi dal fare altrettanto. Per quasi un anno mi sono documentato, ho studiato le foto ed osservato con il binocolo il Moregallo dal San Martino. Non voglio invitarvi a salire, voglio solo riordinare le informazioni che ho fin qui raccolto. I pochi che hanno ripercorso quest’antica traccia hanno valutato la difficoltà complessiva dell’itinerario come T5+ (notare il più)
T5 Itinerario alpino impegnativo
Percorso: spesso senza traccia e con problemi di individuazione (boschi con rare tracce, zone aperte con orografia articolata senza tracce) Terreno: impegnativo con tratti accidentati esposti (es: pendii scivolosi, forre, canaletti rocciosi, placche inclinate, creste con brevi risalti) Singoli passi d’arrampicata fino al II grado. Requisiti: ottime capacità d’orientamento e di progressione senza traccia, sicurezza nella valutazione del terreno, buone conoscenze dell’ambiente alpino e conoscenze di base dell’impiego di piccozza e corda
Dopo un caffè al RapaNui ci siamo messi in marcia sfilando lungo il lago verso la vecchia galleria, quella dove solitamente conduciamo le esercitazioni speleo. La traccia inizialmente sembra molto battuta perchè porta fino agli armi di calata speleo, poi si perde nell’erba verticale. Il tratto iniziale, tra il paglione che sovrasta la cava, è subito impegnativo ed esposto. Bisogna navigare d’intuito cercando di alzarsi fino al crinale roccioso. Spesso in passato mi sono chiesto come fosse possibile superare quel tratto roccioso: finalmente ho scoperto, con grande sorpresa, quale fosse il trucco. I “vecchi”, con un lavoro enorme, hanno realizzato un muro a secco che argina il canale creando una scala di sassi che rimonta il tratto di canale altrimenti repulsivo. “In tutto il territorio lecchese questa è una delle cose più incredibili che abbia visto realizzate in montagna!” Guerra, in piedi su quei gradini rocciosi, era felice di mostrarmi quell’insospettabile segreto del versante Est.
Superate le scale la traccia torna a farsi flebile ed è necessario orientarsi con grande attenzione lungo i canali erbosi che risalgono sfilando le verticali costole rocciose. Incredibilmente la roccia che affiora dai prati è di una bellezza straordinaria: clessidre, lame, increspature di calcare. Tentato da tanta bellezza ho risalito una di queste costole rocciose arrampicando in dulfer tra le lame che magicamente si susseguivano perfette lungo tutta la lunghezza. Che ironia: un luogo straordinario dove fare boulder, ma anche dove cadere da un sasso significa precipitare per centinaia di metri!
Essendo in due avevamo la possibilità di studiare meglio il territorio circostante e, curiosando un po’ fuori dalle linee più evidenti, abbiamo trovato un paio di casotte nascoste dalla vegetazione ma ancora perfettamente conservate. Il tratto successivo perde leggermente di verticalità dando l’illusoria sensazione che sia diventato “facile”. In realtà il versante si abbatte leggermente (restando comunque esposto) e si possono seguire le piante che risalgono verso destra. Qui si raggiunge un’altro dei passaggi più impegnativi della salita: il grande traverso. Per quasi cento metri si taglia in orizzontale sul paglione un ripido prato che una decina di metri verso il basso muore all’improvviso nel vuoto. Un passaggio davvero delicato perchè il vuoto sottostante è soffocante ed il paglione sotto i piedi trasmette sensazioni agghiaccianti: con l’erba leggermente umida quel posto può essere una vera trappola.
Un viaggio, un viaggio incredibile attraverso mille metri densi di difficoltà sempre differenti. La sensazione dominante, quando finalmente si esce, è di non riuscire a contenere tutto quello che si è visto. Un’esperienza troppo ampia per essere assimilata completamente. Anche ora, mentre vi scrivo, sperimento nel ricordo questa difficoltà: non ci sono altre montagne o salite che mi abbiano fatto lo stesso effetto.
Tuttavia, ed anche Guerra è della mia idea, sebbene sia un posto assolutamente terrificante possiede al contempo una bellezza primordiale ed indomita come raramente mi sia capitato di incontrare. Un viaggio, gente, un vero viaggio!
Davide “Birillo” Valsecchi
Un ringraziamento speciale al “Guerra”: oltre ad avermi scortato in questo viaggio condivide la mia stessa passione per questa straordinaria montagna. Mos!