PitOnTour 01: ValmaStreetBlock

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Presentarsi ad una competizione di bouldering urbano con una collezione di 110 differenti chiodi d’arrampicata può sembrare un’idea piuttosto bislacca, specie il primo aprile! Si è portati a credere che la maggior parte dei “sassisti” probabilmente non abbia mai piantato un chiodo ed abbia un’esperienza limitata nell’arrampicata in ambiente o nell’alpinismo in generale. Certo, questo probabilmente è vero, ma non dobbiamo dimenticare che ciò che più spesso ci attrae è soprattutto ciò che ancora non conosciamo. Quello che spesso viene interpretato come “mancanza di interesse” è spesso semplicemente “mancanza di contatto”. Spesso le opportunità inattese sono la scintilla di una passione ancora da scoprire: lo stesso è accaduto per i giovani sassisti!

Grazie all’aiuto di mio fratello Keko, di TeoBrex e Josef, abbiamo montato il nostro “albero dei chiodi” fin dal mattino presto. La nostra piccola installazione, accanto a stand più grandi e blasonati, appariva come una curiosa eccezione ancor prima di comprendere che si trattasse di chiodi. Tre pali di legno per formare una “tenda indiana” coperta di “stachetti” appesi: qualcosa che mi ricorda gli accampamenti degli indiani d’america o i pesci lasciati essiccare al sole nel profondo e vichingo nord Europa.

Montata l’installazione non restava che attendere: complice il sole d’Aprile mi sono sdraiato sull’erba del campo a poca distanza dai miei chiodi. Mi sono messo comodo, avvolpacchiato nel caldo abbraccio della primavera e delle mie montagne. Mi sono limitato ad osservare ciò che accadeva.

I giovani boulderisti, con il loro slang, il loro abbigliamento macchiato di magnesite e il crash-pad sulle spalle, si avvicinavano incuriositi e spavaldi a quello strano trespolo abbandonato a se stesso. Osservavano i chiodi, affascinati dai più strani e piccoli, discutendo tra loro: qualcuno aveva visto quelli del padre, qualcun altro aveva provato (fallendo miseramente) anche a costruirseli al lavoro; la maggior parte non aveva mai avuto l’occasione di averne qualcuno tra le mani, tutti erano stupiti e sorpresi dal loro caratteristico tintinnio.   

Oltre ai giovani anche gli “anziani”, figure storiche dell’alpinismo classico sull’Isola Senza Nome, si sono avvicinati al trespolo. Per loro, che non hanno nessuna titubanza giovanile, scattavo in piedi andando ad ascoltare meglio. Tutti quei chiodi moderni, tra loro tanto diversi, rievocavano nella loro memoria ricordi di tempi eroici: “Segna giù il mio numero: chiamami! Una sera vieni a trovarmi e ti mostro tutti i miei vecchi chiodi ed i cunei che ho tenuto da parte.”  Anche questo è parte del progetto RockHound.

Dopo la gara i boulderisti erano esausti ed entusiasti della giornata, per loro iniziava la festa mentre i più forti si preparavano alla finalissima. I giudici di gara, dopo aver trascorso il pomeriggio tra i blocchi, finalmente si concedevano una birretta ed una chiacchiera all’angolo dei chiodi di cui tanto avevano sentito parlare. Già, perché la maggior parte dei giudici era composta da alpinisti, arrampicatori, istruttori e ravanatori hard-core. Curiosamente il trespolo è diventato una specie di falò attorno a cui stringersi per raccontare le proprie esperienze e preferenze sui chiodi. Angolari, universali, spaziando dalle pareti di casa, al Bianco, alle Dolomiti e a tutto l’arco alpino (e non solo!).

Entro sera avevo bevuto un fiume di birra, ma ad inebriarmi erano  stati soprattutto i racconti e gli incontri di quella giornata. L’esperimento “Albero dei Chiodi” si è dimostrato un successo: alcuni aspetti possono essere migliorati, ma ha centrato tutti gli obiettivi sperati.  

Voglio quindi ringraziare gli amici, tutti giovanissimi, che hanno realizzato la terza edizione del ValmaStreetBlock (con oltre 270 iscritti!!) e che hanno concesso spazio alle mie strambe idee. Gionata Ruberto, Mario Isacchi, Rubén Valsecchi, Luca Brivio, Davide Castelnuovo, Andrea Rusconi e Alberto Valli e tutti gli oltre cinquanta volontari: grazie!

Nel cuore della Valle Madre, sotto lo sguardo della roccia dell’Isola, prende vita il “PitOnTour”, una strana avventura ancora tutta da scrivere ed esplorare. Ora non mi resta che infilare un centinaio di chiodi nello zaino, fissare i pali come un paio di sci, e scoprire fin dove mi condurrà questo nuovo viaggio, scoprire con quali montagne ascolterò i prossimi racconti attorno all’albero dei chiodi.

Davide “Birillo” Valsecchi

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