Kora del Moregallo

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“Hey capo dove andiamo questo sabato?” Nicola, da quando Bruna è di nuovo incinta, è diventato la mia guardia del corpo e mi accompagna ormai da mesi a “batter passi” in montagna. Io e lui andiamo d’accordo e Bruna è più tranquilla perchè, quando sono con lui, evito di infilarmi volontariamente nei guai. “Senti Niky, ti andrebbe di fare un giro al Moregallo? Niente di complicato, ma sento il bisogno di fare due passi lassù”.

Negli ultimi dieci giorni la naturale solitudine del Moregallo è stata scossa dall’inquietudine. Ora che è tornata la quiete, ora che è di nuovo silenzio, volevo salirci per riflettere con calma: lo scorso Lunedì, a metà Ottobre, un ragazzo nativo di Trieste si è avventurato sul versante Orientale, purtroppo senza fare più ritorno. Quando sono iniziate le ricerche non ho potuto ignorare la cosa. I tecnici del Soccorso Alpino del Triangolo Lariano, impegnati in quelle zone tanto impervie e difficili, sono miei amici, spesso da decenni. Conosco quei luoghi ed parte i parte dei suoi segreti come pochi altri: negli anni ho raccolto foto, rilievi ed informazioni che era prioritario condividere con i soccorsi. Esplorando le scelte di una persona finisci per conoscerla: più cose scoprivo su questo ragazzo, più sentivo crescere l’affinità nei suoi confronti. Per questo, nonostante io sia un “civile”, ho avuto la possibilità di collaborare nell’imponente attività di ricerca – probabilmente senza precedenti sul Moregallo – condotta dal Soccorso Alpino, dai Vigili del Fuoco e dalla Guardia di Finanza. Certamente non è questo il momento o lo spazio per scendere nei dettagli, ma non posso che provare rispetto per questo ragazzo ed il suo romantico proposito di realizzare una nuova linea di salita in quel versante quasi inesplorato. Allo stesso modo non posso che esprimere stima e gratitudine a tutti i tecnici che hanno permesso di ritrovare questo ragazzo, di ricostruire, per quanto possibile, la difficile e tragica salita che con coraggio aveva intrapreso. Una storia importante, che andrà compresa e ricordata. Ma, come ho già detto, non è questo il momento o il luogo.

«Il mare non fa mai doni, se non duri colpi, e, qualche volta, un’occasione di sentirsi forti. Ora io non so molto del mare, ma so che qui è così. E quanto importi nella vita, non già di esser forti, ma di sentirsi forti, di essersi misurati almeno una volta, di essersi trovati almeno una volta nella condizione umana più antica, soli davanti alla pietra cieca e sorda, senza altri aiuti che le proprie mani e la propria testa.» Primo Levi – Carne dell’orso

Nel 2015, nel canalone che si innalza tra le due gallerie, è stata ritrovata una lapide infissa sulla base della parete che si impenna sul versante sud di quell inquietante canale. La lapide commemora due ventenni, uno originario di Trieste ed uno di Udine, che il 23 Settembre del 1931 persero la vita tentando la salita di quella parete che, a distanza di quasi 90 anni, resta tutt’oggi inviolata. Per la maggior parte degli “indigeni” il Moregallo è una montagna che “non piace”, tuttavia credo che i Friulani provino un’istintiva ed irresistibile attrazione per quelle pareti inviolate, spesso buie e coperte di vegetazione, che precipitano nell’azzurro del lago. Forse non è un caso che l’alpinismo del territorio lecchese, blasonato oggi nel mondo, abbia avuto origine soprattutto grazie all’intraprendenza ed allo slancio verso l’ignoto di un giovane ragazzo friulano. Un ragazzo di nome Riccardo che si era trasferito qui giovanissimo, proprio in cerca di lavoro.

Il Moregallo, nei suoi 1200 metri di altitudine, è una montagna forse piccola ma labirintica, selvaggia e ribelle nei suoi mille metri pieni di prominenza sul livello del lago. La sua natura cambia, senza mai addolcirsi troppo, nei suoi tre versanti. Quello a Sud è soleggiato, il bosco lambisce torri, pilastri, guglie e creste che raramente si innalzano oltre i cinquanta metri ma che sono quasi sempre verticali quando non strapiombanti. Questo versante è quello relativamente più antropizzato, l’unico dei tre che offre numerosi sentieri d’accesso adatti anche agli escursionisti. E’ qui che si innalza la famosa Cresta GG.OSA, aerea linea di roccia su cui si sviluppa l’omonima e celebre via d’arrampicata. Il lato Nord è invece caratterizzato dalla buia Valle Inferno che, con le sue forre, si abbatte verso il lago. Un luogo in cui i sentieri sono scarsi, quasi mai segnati. Una valle frequentata per lo più da esperti di Canyoning e che concede poco o nessuno spazio all’escursionismo. Il Versante Orientale è invece la “frontiera”, probabilmente uno dei luoghi più misteriosi, sconosciuti ed ostili sia del Triangolo Lariano sia del Lecchese. Uno spazio che si estende per oltre quattro chilometri di costa innalzandosi per mille metri, uno spazio ampissimo che offre un solo ed unico sentiero ufficiale in grado di raggiungere la vetta dal lago: il 50°OSA. Oltre a questo sentiero solo due tracciati – storici, impervi, dimenticati e pericolosi – solcano il versante: il Sentiero del Costone ed il Sentiero della Teleferica. Il resto è un labirinto di canali e grandi pareti circondate da prati verticali ed affioramenti rocciosi. La Parete Nord, la Parete del Tempo Perduto, il Corno di Braga, lo Scoglio dei Giardini di Maggio: strutture imponenti, spesso tenebrose, su cui sono state tracciate temibili e temute vie d’arrampicata. Ma nonostante l’esplorazione ci sono ancora pareti, spesso impressionanti, che non hanno nè un nome nè vie. Pareti che richiedono significativo sforzo alpinistico solo per per poterne raggiungere la base. Esistono cenge e terrazzi in cui nessuno ha mai messo piede, e forse nessuno giungerà mai. Questo è il versante in cui il ragazzo di Trieste ha tentato la sua salita.

«Non importa quanto stretta sia la porta, quanto impietosa sia la vita. Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima.» Invictus – William Ernest Henley.

Il Moregallo inizia appena oltre il mio cancello di casa. Nei miei ricordi si affollano gli istanti di intensa ed incerta solitudine vissuti in quegli sconfinati spazi verticali. Spazi in cui alpinismo ed arrampicata perdono importanza, spazi in cui tutto si riduce ad un cuore che respira in un labirinto verde a strapiombo sull’azzurro del lago. Oggi, oggi che sono diventato padre, non ho più la forza mentale o la volontà necessaria per sostenere da solo tali difficoltà o incertezze. Una strana commozione, quasi  nostalgica, permea il ricordo, fuori dal tempo, di quegli istanti di vita lassù. Ora io non ho critiche per questo ragazzo, il senno di poi non ha mai affrontato il Moregallo con la sua stessa determinazione. Il senno di poi non è mai giunto dove è giunto lui solo. Avrei voluto conoscerlo, dargli qualche dritta, ascoltare la sua storia al suo ritorno. Avremmo potuto essere amici.

«Kora è una parola della lingua tibetana che significa “circumambulazione” o “rivoluzione”. Per Kora si intende il pellegrinaggio meditativo nelle tradizioni del Buddhismo tibetano e del Bön. Il praticante esegue un Kora facendo una circumambulazione intorno a un sito o un oggetto sacro»

Ci sono cose in cui non sono affatto bravo. Nonostante l’età ed i lutti non sono in grado di gestire, nemmeno con le parole, il grande mistero che attende tutti noi. Funerali, commemorazioni, condoglianze: niente di tutto questo mi riesce bene. Tuttavia credo ci sia qualcosa di profondamente umano nel rito, spesso personale, con cui dobbiamo sforzarci di lasciar andare i caduti. Così, accompagnato da Nicola, sono sceso in spiaggia ed ho infilato in tasca un piccolo ciotolo prima di salire lungo il 50° Osa. Il Moregallo ha infatti un’ultima caratteristica che lo rende una montagna speciale: i suoi versanti sono selvaggi, spesso brutali, mentre la sua cima, erbosa e piana, è un luogo permeato da un’irreale senso di pace. Quando il cielo grigio d’autunno si confonde con il silenzio solitario, con il vento del lago, si possono osservare le Grigne, l’arco alpino svizzero, la grande parete Est del Monte Rosa, il lontano Monviso. Ci si può sdraiare sull’erba e lasciare che tutti gli affanni umani, che vibrano nella sottostante pianura che porta a Milano, scompaiano in una quiete immobile e trascendente. Lassù, sul limite degli alberi, vicino alla piccola madonnina che sorveglia la valle, ho portato dalla spiaggia quel piccolo ciotolo: compensazione per quella “cima” che è tristemente mancata.

Questo è quello che posso raccontarvi sul Moregallo. So che Matteo, questo è il nome del ragazzo di Trieste, provava ammirazione per un grande alpinista del passato. Credo sia giusto chiudere questo piccolo racconto, che forse inevitabilmente è diventato una commemorazione, proprio con una frase di questo incredibile esploratore. «L’alpinismo è un’attività sfiancante. Uno sale, sale, sale sempre più in alto, e non raggiunge mai la destinazione. Forse è questo l’aspetto più affascinante. Si è costantemente alla ricerca di qualcosa che non sarà mai raggiunto.» (Hermann Buhl).

Davide “Birillo” Valsecchi

Matteo Sponza.
Trieste: 17 Ottobre 1987  – Moregallo: 14 Ottobre 2019


Kora del Moregallo: Salita lungo il Sentiero (EE) 50°OSA. Breve deviazione sotto la Parete del Corno di Braga. Cima risalento lungo la cresta Nord. Discesa lungo la Cresta Sud Est, lungo il “Sentiero Elvezio”, sentiero dedicato alla memoria di Elvezio Dell’Oro, pioniere dell’alpinismo locale, caduto sulla Torre Trieste nell’agosto del 1958.

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