Diario da Caprante #01

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“Chi difende tutti difende se stesso, chi pensa solo a se stesso si distrugge.” Niky passa a prendermi in macchina. Parcheggiamo sul tornante, apro il cancello, accendiamo il GPS: iniziamo… Niky non arrampica – forse orami neppure io – ma è sempre stato un fidato e leale compagno nelle mie ricerche. In questo strano 2020 è stato uno dei pochissimi “Tassi del Moregallo” con cui ho fatto attività, ma nonostante questo in tutto ci saremmo visti al massimo cinque volte. Sembra incredibile, ma ora più vogliamo bene a qualcuno meno riusciamo a stargli vicino. Siamo una flotta di navi dispersa tra le onde in tempesta, dobbiamo evitare le collisioni e resistere finchè il mare non si placa. “Noi samurai siamo come il vento che passa veloce sulla terra, ma la terra rimane e appartiene ai contadini.” Guardo i prati tra gli ulivi di Caprante, tra qualche mese le nanerottole abiteranno qui e potranno correre libere. Sarà la baia in cui cercare riparo, il porto sicuro da dove dare vita a nuove rotte: un’isola nei territori isolati dell’Isola senza Nome.

C’è ancora molto lavoro da fare, ma oggi siamo di pattuglia, oggi si esplora. Il sentiero che scende al “Liscione”, la spiaggia dove il fiume Caprante sfocia nel lago, il ponte accanto al Ristorante Juancito, è ormai ben visibile e battuto. Ricordo quando i volontari di Valbrona, ormai una decina di anni fa, hanno iniziato a sistemarlo (vedi Link ). Vi è però un’altro sentiero, ancora molto “selvatico”, che permette di scendere al lago e che ho scoperto da poco. Quest’estate avevo già fatto un rapido sopralluogo, incuriosito da una cartello in legno che, davanti al “Roccolo”, indica “Garavine”. La traccia un tempo doveva essere ben battuta: in passato, probabilmente, era una delle poche vie d’accesso a Valbrona salendo dal lago. Le altre due sono appunto Riva Liscione e Ceppo Palazzolo. Ora invece è in abbandono e poco visibile, ostacolata in molti punti da numerose piante cadute. Alcune di queste piante cadute sono state tagliate – qualcuno ha provato a sistemarlo – tuttavia il passaggio è ancora in alcuni tratti difficoltoso. In estate l’avevo percorso tutto fino al lago, giungendo alla sponde nel punto in cui sulla provinciale si incrocia una scala in sasso con uno sgangherato corrimano in ferro. Ci tornavo quindi con Niki, ed il suo nuovissimo GPS, volevo iniziare a fare qualche rilevazione. La particolarità di tutta la zona è data dai “due piani” che la contraddistinguono.

Dal Liscione si innalza infatti una “scogliera” – alta oltre 50 metri – che rimonta obliqua il pendio risalendo verso Oneda. La muraglia risale dai 200 metri del lago fino ai 647 metri del “Sass de la Cassina”, grossomodo alla curva della prima stanga lungo la strada privata per Oneda. Questo muro trasversale separa la parte sovrastante, dove si trova Caprante e tutte le cascine, da quella sottostante per lo più selvaggia e completamente disabitata. La provinciale Lecco-Bellagio, obiettivamente sconsigliabile a piedi, segna il confine “a valle” di questa zona che nonostante tutto mi è ancora in buona parte sconosciuta. I punti deboli di questi muraglia, a tratti decisamente impressionante, permettono – spesso non senza difficoltà – di scendere da un piano a quello sottostante. Per il momento ne ho individuati tre, percorribili a piedi, ma con prudenza li descriverò più avanti (magari dopo avere approfondito le mie ricerche ed i vari toponimi).

Per ora, crocevia di questa nostra esplorazione, è una faggio su cui è stato scritto a vernice rossa “Oneda – Lago – Caprante”. Dopo aver tracciato il sentiero a lago, aggiungendo qualche ometto lungo la via, è stata la curiosità a vincere sugli obiettivi della giornata: “Niky, ti va di cercare un passaggio verso il Nautilus?”.

Beppe e Carla gestiscono il Rapanui da anni: il loro locale sulla spiaggia, ai piedi della Nord del Moregallo, è inevitabilmente una seconda casa per me (…ed anche per le nane!). Il mio rammarico è sempre stato non poterci andare a piedi da Valmadrera. Per via delle cave e della galleria oggi è possibile solo salendo e scendendo – andata e ritorno – dalla cima del Moregallo. Prima o poi troverò una linea che collega “Passo400” alla “Torre Manzoni”, dubito però che sarà mai un itinerario da frequentare assiduamente (specie senza corda e chiodi!).

Da Caprante invece mi pare già più fattibile e le opzioni sono due: la prima è alzarsi fino alla prima stanga di Oneda, scendere nelle viscere del Moregallo per riemergerne sul sentiero del 50°Osa o sul vecchio sentiero di manutenzione delle linee telefoniche. Nella mia testa, salve qualche buco da colmare, la traccia c’è quasi tutta anche se non sarà comunque una passeggiata in senso stretto: è una linea tutta da verificare. La seconda è una linea forse più docile ma tutta da scoprire: un itinerario a mezza costa che si allunghi verso il Nautilus rimanendo sopra la strada provinciale, e sotto la muraglia della Cassina, fino alla spiaggia della nuova cava. Da lì attraverso le grate della galleria del Melgone. Tutta quella zona è stata interessata dagli smottamenti che hanno portato alla chiusura della strada il mese scorso, tuttavia alcuni vecchi “Bolli Rossi” – ritrovati quasi sbiaditi su sassi e piante, suggeriscono che qualcosa di simile un tempo esistesse. Così, come archeologi della sentieristica, io e Niky ci siamo messi all’inseguimento dell’invisibile. I primi ritrovamenti sono incoraggianti, per entrambi gli itinerari.

La zona si è rivelata impervia ma anche incredibilmente affascinante: la muraglia della Cassina, in tempi geologici antichi, è in molti tratti crollata dando vita a vallate di strutture rocciose che, con grande mia gioia, ricordano le mitiche “roccie degli elfi” sui fianchi meridionali del Moregallo dove vivo ora. Una “torre nel Bosco” è apparsa imprevista e colossale come una visione carica promesse e calcare ruvido, mentre una mastodontica “stele liscia” ci ha squadrato silenziosa dall’alto in basso!! (che voglia di arrampicare di nuovo!!)

Dove non vince la roccia è la vegetazione ad avere la meglio. Completamente immerso in un labirinto di rovi avevo lasciato Niky a fare la guardia alle mie spalle. Cercavo un passaggio verso la valletta successiva quando un fracasso di sassi ha iniziato a cadere: ero stato troppo silenzioso e, davanti a me, avevo sorpreso una coppia di cinghiali che ora si era lanciati in una fuga disordinata. Il Verro Nero puntava verso l’alto cercando di darmi il giro fuggendo alle mie spalle, dietro di lui una grossa femmina dal manto grigio marrore. Entrambi scalciavano sassi sulla sdrucciolevole terra argillosa. Io al riparo dietro una pianta li osservavo divertito: “Niky!! Niky!! Fatti sentire o ti arrivano addosso!” Niky, sull’altro lato del roveto, mi risponde tranquillo e tanto basta perchè la romantica coppia cambi nuovamente direzione puntanto verso l’alto. Tutta la zona è intensamente popolata da mufloni e cinghiali: questo è solo il più ravvicinato degli incontri odierni. Visto che i rovi paiono insuperabili senza un paio di forbici (che come un pivello ho dimenticato in attrezzeria) abbandoniamo la rotta verso il Nautilus per alzarci verso le pareti della Cassina.

Nella parte più alta della muraglia vi è una storica falesia di arrampicata sportiva che credo risalga agli 90. Una 50ina di monotiri ammucchiati su due settori (Vedi Link). Più recentemente ne è stata realizzata una seconda, sulla quale non trovato documentazione, salvo forse un trafiletto su ResegoneOnLine e vecchi link rotti risalenti al 2017. Ero stato in questa seconda zona circa 10 anni fa, accompagnato da una ragazza forse inconsapevole di cosa significasse “accompagnarmi al lago” (poveretta! Che avventura le feci fare quel giorno!!). All’epoca c’erano solo qualche spit e dei barattoli di “chimico” nascosti dietro alcune rocce, il resto era una buia e misteriosa parete coperta dalla vegetazione. Ora tutta la zona è stata stravolta e per certi versi brutalizzata: io capisco la quantità di lavoro, impegno e dedizione necessaria per realizzare qualcosa di simile, però il risultato – estraniandosi dagli obiettivi dell’arrampicata sportiva – è sconsolate. La parete – che strapiomba in un grande tetto a pancia – è ora coperta da oltre un centinaio di piastrine, ad ognuna delle quali penzola un rinvio. Le piante – che facendo ombra alla parete ritardano l’asciugatura della roccia – sono state abbattute, gettate nella valle sottostante o riutilizzate per creare terrazzi artificiali. Corde fisse, come ghirlande, penzolano ovunque dando l’impressione di essere in un cantiere incompiuto. Il materiale di disgaggio è abbandonato ed ammucchiato nella valle sottostante. Certo, alcune ferite saranno sanate dalla natura, con il tempo, altre invece rimarranno indelebili.

Io ho fama di essere un “talebano no-spit” ma oggi mi guarderò bene tanto dall’esprimere giudizi troppo critici quanto dal dare qui indicazioni su come raggiungere la falesia. La quantità di cartelli “proprietà privata – divieto d’accesso” disseminati sulle piante circostanti suggeriscono che i malumori sono già iniziati: probabilmente neppure i proprietari della baite e dei terreni circostanti hanno gradito un approccio tanto invasivo all’arrampicata. Io mi limito a sperare, ad attendere un equilibrio che ancora non c’è. Ma chissà, anche io, tracciando sentieri nel bosco, difetto forse del giusto equilibrio e mi macchio dello stesso peccato? Forse l’equilibrio soltanto non basta, bisogna spingersi oltre il semplice bilanciamento di forze e volontà contrapposte: quello di cui abbiamo bisogno non è statica equità, ma “armonia”, nel senso più ampio possibile.

Con Niky abbiamo poi percorso in discesa tutta la cresta della muraglia passando dalla nuova e spartana croce, realizzata con tubi innocenti ed una vecchia campana che probabilmente nasconde una storia da cercare.

Mentre scrivo questo mio primo capitolo del Diario Esplorativo di Caprante le notizie dal mondo si accalcano, o forse si assembrano. Nei prossimi giorni ci attende il LockDown di Natale mentre dalla Gran Bretagna giungono inquietanti voci di “mutazioni” del virus. La Normalità, o quella che un tempo trovavamo tale, appare sempre più lontana. La speranza per questo Natale è che responsabilità, intelligenza e cooperazione ci donino finalmente l’armonia necessaria per uscire da questo problema. Nel frattempo tanti auguri, ma non tenetevi stretti.

Davide “Birillo” Valsecchi

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