Non giriamoci intorno: a tutti tocca morire prima o poi. Spesso il modo in cui abbiamo vissuto determina gli ultimi attimi della nostra vita. C’è chi muore tra le braccia di chi lo ama e chi viene giustiziato dalle mani di chi lo odia. Quando non è per sorte avversa è il frutto delle proprie scelte.
La tecnologia moderna ci ha permesso di vedere un dittatore ferito e trasportato prigioniero sul cofano di un fuoristrada, ce lo ha mostrato sanguinante ed urlante poco prima dell’attimo finale. Non ho provato nè pena nè gioia, non c’è orrore nel vedere un vecchio di 69 anni raccogliere i frutti dell’operato di una vita intera.
Quegli infiniti attimi di terrore che i suoi carnefici gli hanno inflitto sono molto più di quanto egli abbia mai concesso alle sue innumerevoli vittime. Resta da sperare che supplicando per la propria vita abbia finalmente compreso l’assurdità delle sue passate gesta.
Quello che è certo è che con il dittatore muoiono i suoi segreti, gli orrori e gli inganni di oltre trent’anni di storia. Comunque sia non c’è giustizia in questo mondo.
Ciò che però ancora mi stupisce è l’ingordigia, la fame di potere e l’orgoglio di questi individui. Perchè non desistere? Perchè non fare un passo indietro? Possiedono oltre l’immaginabile ed ancora bramano. Perchè morire in una buca supplicando pietà quando avrebbe potuto semplicemente liberare il suo popolo e passare sereno gli ultimi anni della propia vita scappando con i soldi? Perchè non sono in grado di capire quando fermarsi? Quale folle idea inseguono?
“Come sono effimere le cose del mondo”, incredibile che simili parole provengano da chi ha fatto dell’effimero la propria religione. Inqualificabile come al solito.
Ma non voglio dire la mia in merito a questo o ai rapporti che avuto l’Italia con Gheddafi. Lascio che a pronunciarsi, a stracciarsi le vesti, sia qualcun’altro. Vi riporto qui solo un articolo pubblicato su Famiglia Cristiana, lettura per me un po’ inconsueta, scritto da Alberto Bobbio. Mi piace il suo uso del latino:
[Articolo Originale] Da uno che ha baciato l’anello al dittatore di Tripoli in vita non potevamo aspettarci che un glorificazione in morte: “Sic transit gloria mundi”. Silvio Berlusconi non ci ha nemmeno pensato un attimo e la sua frase ha fatto immediatamente il giro del mondo. Ma lui è abituato così. Parla “apertis verbis”, insomma chiaro e franco, come nella recente occasione del nome del suo nuovo partito. E lo fa “coram populo”, senza chiedersi “cui prodest?”, senza assolutamente riflettere, almeno una volta, “cum grano salis”.
Certo “de gustibus non disputandum est”. Eppure sarebbe meglio farlo: “Sapiens ut loquatur multo prius consideret” (un sapiente prima di parlare deve molto pensare). Ma non sembra la regola del nostro Presidente. Forse, dopo quel baciamano, era naturale associare gloria a Gheddafi: “Promissio boni viri est obligatio”. (Le promesse delle persone per bene sono un impegno che va mantenuto). Anche con una fulminea dichiarazione “post mortem”.
Il Cavaliere parla “pro domo sua”, “sic et sempliciter”, anzi “ridendo dicere verum”, “sine ira et studio”, neppure “una tantum”. E non lo fa “obtorto collo”, ma, “mirabile visu” (cosa incredibile a dirsi), insomma “more solito”, “ex abrupto” (all’improvviso) “ex abundantia cordis” (dal profondo del cuore).
Cosa c’è stato tra lui e Gheddafi? Forse un “do ut des”? Se fosse vero sarebbe stato meglio una “damnatio memoriae” piuttosto che esercitarsi nel “carpe diem”, nel cogliere l’attimo di una dichiarazione “ad hoc” sicuramente ed esageratamente “ad abundantiam”. Tutto questo “absit iniuria verbo”, sia detto senza offesa.