Year: 2013

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Ferrate 2013

Ferrate 2013

Come ogni anno i membri  più esperti della sezione del Cai-Asso si mettono a disposizione di chi vuole avvicinarsi alla montagna organizzando delle escursioni propedeutiche orientate sopratutto alla progressione in ferrata. Diversamente dal passato quest’anno è venuta meno la collaborazione tra la sezione Cai di Asso e quella dei nostri cugini Canzesi: il Cai Canzo ha infatti deciso di organizzarsi in modo indipendente e, onestamente, nessuno di noi ha ben capito perché si sia voluto rompere una tradizione tanto positiva.

Sapete benissimo quanto sia legato ai Corni di Canzo e come mio nonno, Luigi “Smilzega” Paredi, sia stato un membro storico ed fondante della sezione canzese. Questo fa di me una specie di “mezzo-sangue” ed essendo uno dei due Vice Presidenti della compagine assese posso assicurare che da questo lato della Vallategna c’è stata sorpresa, forse disappunto ma soprattutto rammarico per quello che sembra il riaffiorare di logiche degne di “Gusuni e Spazzapulee”, logiche che sembravano felicemente superate.

L’unica cosa che mi rincuora è che entrambi i gruppi contano una quindicina di partecipanti e questo, visto che entrambe le sezioni vantano competenze ed esperienze tecniche di prestigio, significa che il nostro territorio si sta arricchendo di una trentina di aspiranti alpinisti ben preparati. Molto bene, soprattutto perché tra questi vi sono molti giovani  e questo è sicuramente un aspetto positivo.

I nostri cugini Canzesi escono il Sabato ed hanno già affrontato la ferrata della Gamma1 e del Corno Rat. Noi Assesi invece siamo di scena la Domenica: dopo una prima serata teorica, a cui hanno presenziato anche i presidenti delle sezioni di Caslino e Merone, anche noi oggi abbiamo affrontato finalmente un’uscita sul campo.

Con mi grande gioia la prima escursione aveva come meta i Corni di Canzo: essendo molti dei partecipanti alle prime armi abbiamo deciso di “giocare in casa”. La scelta si è dimostrata particolarmente azzeccata perché il tempo avverso ha imposto rapidi e dinamici cambi di programma.

Giunti a piedi a Pianezzo era ormai evidente che il cattivo tempo e la sottile ma fitta pioggerellina avevano reso impraticabile e pericolosa la ferrata del Venticinquennale al Corno Occidentale. Tuttavia, proprio perché eravamo “in casa”, le opzioni a nostra disposizione erano molteplici e tutte da sfruttare.

Dapprima il gruppo ha reso omaggio alla magnifica parete Fasana su cui quest’anno la nostra sezione ha ripetuto le storiche vie “Fasana”, “Criss” ed “Attilio Piacco”. Poi, indossati caschi ed imbraghi, si è effettuata la risalita da nord della spaccatura al Pilastrello, uno degli angoli più suggestivi e “segreti” della montagna.

Per i partecipanti, rigorosamente in sicurezza, è stata l’occasione per sperimentare qualche manovra di corda e la complessità di una salita su roccia in condizioni di bagnato:  ”Quando la roccia la sbrisigha devi starci all’occhio!!”.

Visto che il gruppo si è dimostrato solido e ben motivato, nonostante la pioggerellina battente abbiamo dato l’assalto al Corno Centrale superando il primo tratto attrezzato con catene e la successiva risalita in cresta che corre lungo gli oltre 110 metri di salto nel vuoto della parete Fasana (un tracciato EE). Nonostante la nebbia, il vento e la pioggia tutti i partecipanti, con lodevole entusiasmo, hanno seguito disciplinati le indicazioni dei più esperti raggiungendo la vetta e la croce di cima.

Dopo una suggestiva foto di gruppo abbiamo steso delle corde fisse sulle calate invernali del versante occidentale sperimentando come effettuare una discesa attrezzata in sicurezza. Quel tratto, che ho percorso spesso anche con la neve, è piuttosto esposto e per niente banale in discesa, specie se bagnato. Tuttavia la squadra, ricordo composta da neofiti, non si è affatto lasciata intimorire ed ha affrontato la discesa con spirito e presenza: bravi!

Casco, imbrago, mantellina e zaini ci siamo abbassati fino al rifugio della Società Escursionisti Valmadresi (SEV). Sul prato di Pianezzo si è alzato il vento e le foglie hanno cominciato a volare e danzare regalandoci una degna e suggestiva conclusione alla nostra escursione.

Al rifugio è stata festa vera. Riempite due tavolate ho iniziato a affettare il chilo di pancetta con cui mio papà ha omaggiato il gruppo:tutti calorosamente ringraziano! Giovani e Veterani (con noi c’erano anche pezzi da novanta e guide alpine emerite) hanno trascorso un paio di piacevoli ore chiacchierando di montagna dietro un bicchiere di vino ed un piatto caldo.

Sulla ferrata del venticinquennale ci sono stato innumerevoli volte, con la neve, con il sole, in notturna, con la grandine e qualche volta anche di corsa con le saette all’orizzonte. Sicuramente è stato un peccato non poterla percorrere, tuttavia credo i Corni ed il tempo avverso oggi abbiamo offerto ai neofiti un’esperienza alpinistica decisamente più formante ed istruttiva. Credo che ognuno di loro oggi abbia imparato molto sulla montagna.

Sono davvero soddisfatto della giornata e credo che questo valga per tutti i partecipanti. Faccio i miei compliementi a Franco Bramani, amico e presidente della sezione, e a Renzo Zappa, amico e più volte presidente, per la magnifica giornata a cui hanno saputo dare vita: i nostri “vecchiacci” sono sempre le nostre colonne portanti!! Un grazie anche a tutti quelli che oggi si sono dati da fare per dar una mano 😉

Quindi davvero molto bene: bravi tutti ed alla prossima!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Corno Occidentale: Variante SEM

Corno Occidentale: Variante SEM

La pioggia al mattino era caduta intensa e l’umidità trasudava ovunque in questa giornata d’autunno ai Corni: acqua sul rosso delle foglie, sul prato ingiallito e sulla roccia scura. Poco distante dal crocefisso in legno c’è una grossa roccia sormontata da un alberello spoglio: il punto migliore da cui studiare la parete Sud-ovest del Corno Occidentale. Appollaiato su quello sperone osservavo la nebbia risalire da Valmadrera superando la Colma di Ravella. Non c’era molto da sperare nel tempo.

Me ne stavo lì, in uno dei tanti momenti di solitudine vissuti sui Corni. Davanti a me il Corno Occidentale. Suo fratello, il Corno Centrale, è stato il campo di battaglia degli ultimi mesi, l’inquietante scenario in cui ho accarezzato soddisfazioni travolgenti ed attimi di interminabile paura. Ora la sfida si era spostata ad occidente.

Quel giorno però era diverso. Non dovevamo inseguire le antiche vie storiche, nessuna traccia dimenticata e pericolosamente abbandonata al destino es al tempo. No, oggi dovevamo affrontare una via moderna, una via attrezzata come si deve e disegnata da due amici, due “vecchie volpi” di oltre sessant’anni che, a giusto merito, possiamo considerare i nostri mentori: Renzo e Giorgio, che coppia! Davvero difficile non affezionarsi a loro!

Già, la via è ”Attenti a quei Due” ed è tanto che volevo percorrerla. Se ci fosse stato un occhio di sole tutto sarebbe stato diverso ma a volte con la luce sbagliata ci si può sentire a disagio anche a “casa” propria. La paura si nutre di dubbi, si alimenta di incertezze ed appesantisce come una zavorra: non è mai piacevole arrampicare “pesanti”.

Quando arriva Mattia è allegro e scherziamo insieme guardando la parete e le chiazze d’acqua sulla placca: “Asciugerà” mi dice, ma entrambi sabbiamo che non è vero ed accettiamo la cosa indossando l’imbrago e l’attrezzatura.

Il primo tiro mi inquieta e la cosa è divertente perché, non più tardi della settimana prima, avevo “giocato” in quel tratto di roccia arrampicando da solo ed in libera. L’acqua e l’umido accentuano la percezione d’instabilità che contraddistingue quel tratto friabile alla base della parete. All’improvviso il panico: mani e braccia sono aggrappato ad un grosso masso e la mia mente realizza che non c’è alcuna certezza che quel bisonte sia parte della parete, che non sia semplicemente “appoggiato” e pronto a trascinarmi a valle con sé. Anche i respiri fanno peso, con leggerezza ed urgenza mi sfilo aggrappandomi sulla sinistra a speroni nemmeno troppo rassicuranti. Forse era stata solo una sensazione, un illusione alimentata dalla nebbia e dall’umidità ma arrampicare è quasi sempre una questione di “sensazioni”, siano esse vere o illusorie.

Poco più sopra mi attacco a due mani al rinvio e mi sporgo verso il basso con la punta del piede: ”E’ la giornata giusta per fare un po’ di pulizia”. Basta un leggero tocco ed macigno grande come mezza lavatrice si muove nel vuoto riempiendo di schianti la valle: esplode fermandosi nel ghiaione sottostante. “Ora non c’è più il rischio che qualcuno abbia la cattiva idea di tirarselo addosso!”.

Alla prima sosta dobbiamo rimontare una pancia sporgente per raggiungere finalmente la placca. L’acqua aveva reso fradicio quel punto e guardandolo dubitavo davvero fosse possibile passare. Giorgio e Renzo hanno però scelto il passaggio giusto e, nonostante l’acqua, gli appigli presenti erano tanto buoni da reggere sicuro l’appoggio anche in quel viscidume: finalmente siamo sulla placca!

Quelli che seguono sono due tiri attraverso roccia splendida, forse la migliore incontrata sui Corni. Clessidre, appigli e graspoli di roccia rendevano quel tratto entusiasmante nonostante l’umido e l’acqua. Le incertezze del tratto friabile erano ormai un ricordo: “Che spettacolo! Valeva davvero la pena passare quello schifo per arrivare qui!!”

Il cuore del terzo tiro è una placca verticale solcata da mille minuscole increspature di roccia. Una meraviglia che è probabilmente il simbolo della via. Purtroppo l’acqua ci ha impedito di godere a pieno di quel tratto ed ha imposto una certa decisione per superare il successivo tratto appoggiato, invaso dalla “melma”, ed il piccolo tetto che lo sovrasta. “Peccato, asciutto questo posto deve essere uno spettacolo!”

Rimontiamo fino alla terza sosta ed al “bivio”. Mattia ha infatti aperto una variante che, attraversando sulla destra, attacca la pancia sovrastante che la via originale supera sulla sinistra. Il tiro successivo è infatti un lungo traverso molto godibile che conduce fino alla sosta successiva alla base del diedro obliquo che rimonta la pancia di roccia.

Purtroppo anche qui l’acqua sembrava accanirsi sul punto critico. Mattia prova il passaggio ma i piedi non sembravano voler restar attaccati alla roccia ed è stato costretto a fermarsi. “Ridicolo, questa variante l’ho aperta io e con il trapano in spalla: ridicolo che non riesca a passare!” Mentre tira fiato mi racconta un po’ di quel passaggio: “Ho cercato di mantenere il giusto rapporto tra chiodatura e sicurezza, volevo che nessuno si facesse male ma che il passaggio, che dovrebbe essere un 6b, non fosse snaturato: chi passa se lo deve guadagnare senza tirare.” Poi ridendo ha proseguito “Comunque appena oltre il passaggio ho messo per sicurezza uno spit. Quando sono passato io la prima volta ho infilato al volo un dado in una fessura ma non è stato un gesto banale. Quindi L’ho messo per evitare che qualcuno si metta nei guai: se passa e non ne ha più può almeno  mettersi subito in sicurezza.”

Io ho guardato le macchie d’umido e cercato di tirare l’acqua al mio mulino: ”Guarda Mattia, se il passaggio è troppo bagnato non vale nemmeno la pena rischiarsela. Da qui, sulla sosta, con una doppia dovremmo raggiungere la ferrata ed uscire comodi comodi”. Mattia ha riso come fa sempre: ”Sì con una doppia si esce sulla ferrata da qui. Ora però fammi sicura che passo! “. Dieci minuti dopo lui era alla sosta successiva mentre io cercavo di sfruttare i miei cordini a modi staffa nel tentativo scomposto e maldestro di passare quell’abisso strapiombate!!

Quando ci siamo ritrovati nuovamente insieme alla sosta la nebbia era calata ed uno strepitoso tramonto stava dando magnifica mostra di sé: ”Quelli che stanno sotto la cappa non avranno nemmeno idea di quello che si stanno perdendo sopra la loro testa!”

L’ultimo tiro ci riporta sul sentiero di cresta: era dalla Fasana che non riuscivamo ad uscire insieme da una via ai Corni!! Complimenti a Renzo e Giorgio per la via e a Serena e Mattia per la variante SEM (Serena e Mattia): avete reso un magnifico omaggio alla mostra montagna!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Grigna: First White Out!

Grigna: First White Out!

birilloIl canalino, invaso dalla neve ghiacciata, risale ripido e stretto fiancheggiando un’ immensa voragine, un buio abisso che precipita nelle profondità della montagna. Sulla roccia, in parte nascosta dalla neve, una scritta in verde “W le Grotte”. Tutto fa supporre che sia questo l’inghiottitoio in cui è fatalmente precipitato, lo scorso anno, un giovane monzese dopo essere scivolato dalla Cresta Piancaformia.

La neve, la prima dell’inverno, non è né tanta né poca: è quella classica misura che porta solo rogne. Ramponi e piccozza abbiamo risalito il canale senza legarci ed ora non resta che superare una placca scoperta prima di rimontare sull’ultimo tratto di cresta.

«Stefano, tieni a mente che il mio socio siciliano è la seconda volta che mette i ramponi in vita sua: andiamoci cauti!» Fabrizio ha fatto un po’ di esperienza roccia ma pretendere che possa affrontare in sicurezza, con i ramponi ed in libera, una placca ghiacciata a monte di un interminabile scivolo di neve compatta è forse davvero pretendere troppo da lui.

«Okay, rimontare la placca è questione di un passo. Salto su e vedo come siamo messi sopra.» Mi dice Stefano mentre punta i ramponi sulla roccia e scavalca il passaggio. Risale un’altra decina di metri e poi mi da voce. «Io e te di qui passiamo, ma per Fabrizio è davvero spessa. O lo leghiamo o non conviene rischiare.» Negli zaini abbiamo imbraghi, corde e tutto il necessario per dare battaglia all’inverno ma, fino a quel punto, era bastato passo fermo e buon senso. «Tra l’altro» continua Stefano ridendo «Ora è tutta da vedere come farò io a scendere da qui!».

Fabrizio si mette al riparo in un terrazzino sotto una roccia. «Aspetta Ste! Qui c’è uno spit!» Dallo zaino estraggo un rinvio e la mia fidata 30 metri di statica del 10. Con un barcaiolo attacco il tutto ad un ancoraggio fisso posto appena sopra l’imbocco della grotta e lancio un capo a Stefano al di sopra della placca «Attaccati qui mentre scendi e aspetta che mi tolga che se pendoli mi butti dentro ‘sto buco!» Trattenendomi con la corda getto lo sguardo nel profondo di quell’infernale infinità: è grande abbastanza per infilarci una “smart” e nella sola parte visibile scende verticale ben oltre i trenta metri. «Sì, Sì! Spetta che mi tolgo dalle palle che qui la vedo grama!!»

Stefano, che si è ripreso egregiamente dall’intervento alla spalla di questa primavera, lavora con la punta dei ramponi e con delicatezza riscende la placca raggiungendo me ed il mio, forse un po’ spaesato, socio. Tutti e tre insieme, faccia alla montagna, scendiamo all’indietro il canale di neve cercando di abbassarci fino alla traccia della Normale che risale il canalone nord fino al Brioschi. «Fabrizio! Non mettere i piedi a papera! Pesta dentro le punte dei ramponi, tieni i piedi dritti e fai lavorare il peso. Pianta la becca della picozza ed usala appoggiata come una maniglia!! Muovi solo un appoggio alla volta quanto tutti gli altri sono sicuri! E, accidenti, vedi di non venirmi a basso!!» La neve è lucida e piacevolmente ghiacciata, la pendenza  decisamente impegnativa per un neofita ma, come spesso accade, il buon Fabrizio mi da conferma della fiducia che ripongo in lui: «Bravo Fabrizio! Ora ti tocca offrirmi la birra al Brioschi!!»

La Piancaformia è una bellissima cresta, tremendamente panoramica ed esposta: quando però non è in condizione conviene avere la saggezza e la prudenza di ripiegare sulla sottostante via normale (che, tuttavia, non va assolutamente sottovalutata!!).

Su al Brioschi i “Capanat” ci stupiscono con degli strepitosi gnocchi di zucca (Grandi come sempre!) mentre l’orizzonte è una cortina bianca di nuvole da cui spuntano, come isole, le cime delle montagne circostanti. Fabrizio, quasi un pesce fuor d’acqua, si aggira a piedi nudi per il rifugio mentre con la stufa provo a far asciugare i suoi “scandalosi” scarponi fradici e “ravano” nello zaino in cerca di un paio di calze asciutte: «Amico mio, l’inverno sta arrivando: conviene andare a trovare il Tino ed iniziare a recuperare un po’ d’equipaggiamento decente se hai intenzione di arrivare a primavera con tutte le dita!!»

Davide “Birillo” Valsecchi

Bentornato ai Corni di Canzo

Bentornato ai Corni di Canzo

Da quando sono sceso dall’Etna, tre settimane fa,  sono rimasto a digiuno di montagna e di roccia. Il bisogno di tornare “a casa” si era fatto intenso ma la pigrizia ed il cattivo tempo sembravano avere la meglio. Così oggi, quando il sole ha iniziato a splendere, mi sono infilato in strada ricalcando passi che ben conosco.

I Corni di Canzo, ancora una volta, hanno saputo accogliermi e mostrarmi qualcosa di nuovo. Ognuno di noi ha una propria montagna, un’ ansa di fiume, una discesa preferita o un proprio posto segreto: il mio, fortunatamente, è ancora tutto da scoprire!

Il piano originale era percorrere la ferrata del Venticinquennale e compiere la traversata dei tre corni  ma, alla fine,  mi sono semplicemente dedicato al Corno Occidentale: l’impegno è stato pienamente ripagato!

Giunto all’attacco della ferrata ho aspettato ad indossare l’imbrago, ho appoggiato tutta la mia roba in un angolo ed ho cominciato a girovagare. Ben presto mi sono ritrovato in libera nei posti più strani ma ero in forma e rilassato: quando sono rilassato arrampico bene e quando arrampico bene sono rilassato!

Ho trovato alcuni punti davvero interessanti sul lato Sud, ho percorso il primo tratto della via “Attenti a quei due” fino a raggiungere l’albero ai piedi della placca tagliano poi verso sinistra e riguadagnando il prato.  Sempre da quelle parti ho trovato un vecchio “otto” smarrito ed ammirato la breve ma bellissima fessura verticale che si innalza a breve distanza dalla lapide di Alfredo, anni 18 classe 1943. (Prima o poi attrezzerò quella fessura e gli daremo il tuo nome, Alfredo!)

Indossato l’imbrago ed il caschetto ho attaccato la placca iniziale della ferrata. Poche volte l’ho superata con tanto stile in passato. Me la sono goduta appiglio dopo appiglio fischiettando felice “Kindom Come” dei Manowar (una cosa imbarazzante!!) completamente assorto e distante. Solo quando mi sono voltato due passanti sul sentiero, immobili con il naso all’insù, mi hanno fatto capire quanto “bella” e “morbida” fosse stata la mia salita.

Superata la placca mi sono imbattuto in un ancoraggio del vecchio tracciato, ormai smantellato. Quasi non ricordo come fosse la vecchia ferrata e così, semplicemente sganciando i moschettoni, mi sono messo a percorrere in libera la vecchia traccia. Certo, non è cosa da fare alla leggera, ma è meno difficile di quanto sembra visto che il vecchio tracciato scendeva fino al prato pensile risalendolo.

Non ricordo l’ultima volta che ero stato in quel luogo ormai quasi dimenticato. Ho attraversato il prato spingendomi fino alla sommità delle pareti che avevo osservato poco prima dal basso (ho “idee” su quei camini!!). Il bello di ritrovarmi sul prato è stato poter ammirare nella sua interezza tutto il lungo traverso e la scala della ferrata: solitamente si è troppo “sotto” la roccia per poter ammirare quelle pareti.

DSCF2060Dalla cima del Corno Centrale un paio di escursionisti cominciavano ad osservarmi incuriositi e così, rimontando una breve placca, mi sono riagganciato alla ferrata superando la scala metallica. Ormai ero però “contaminato” dalla voglia di arrampicare e così, invece che proseguire a destra per il secondo tratto di ferrata,  ho deviato a destra addentrandomi attraverso bellissime placche calcaree. Il grado non superava il terzo (credo…) e la roccia era ben appigliata, pulita e ben fornita di piccole clessidre: è stato come nuotare tra placide onde!! Bellissimo!

In questo tratto ho trovato una vecchia lapide che mai in passato avevo notato: Nino Bertola, anni 20 “prematuramente spentosi precipitando dalla sottostante parete” nel 1925. I Corni, i bistrattati Corni, conservano il ricordo di tanti di questi ragazzi appartenenti ad un tempo lontano. Io, come loro, mi aggiro tra queste rocce in cerca di qualcosa, probabilmente della stessa cosa, e quindi non posso che considerarli “amici” sentendo vicina la storia di questi “sconosciuti”.

Il sole era caldo ed io giravo a pieno regime e così, invece di percorrere il sentiero, ho semplicemente continuato a girovagare arrampicando anche sul lato nord.  Ero in cerca di “canali” da percorrere in salita durante quest’inverno che tutti promettono abbondante di neve. Posso dirvi che la ricerca è stata fruttuosa ed in molti casi, sebbene con materiale un po’ datato, ne ho trovati di attrezzati.

Giunto alla croce mi sono tolto un ulteriore sfizio scendendo dalla variante est, la via meno frequentata e alternativa al famoso caminetto dei Corni. Nonostante sia stato in vetta innumerevoli volte non l’avevo mai percorsa: non è affatto male ma visto che ai piedi della via vi sono altri cento metri di strapiombo è facile capire perché sia stata trascurata!

Ancora una volta ho giocato sulla “Cresta Baracca” trovando un paio di chiodi non troppo vecchi a breve distanza dalla lapide di Sandro, classe 1926. Prima o poi ci porto la corda e vediamo cosa ci si può fare.

Mi piacciono i Corni, basta cambiare prospettiva e tutto appare come nuovo e da scoprire: sono la misura giusta per me, una montagna più grande mi amerebbe meno!

Davide “Birillo” Valsecchi

Una serata con Luigino

Una serata con Luigino

Luigino-AiroldiSemplicemente è il mio “eroe” preferito! Ogni volta che ho l’occasione di incontrarlo ed ascoltarlo non posso fare a meno di essere travolto dal suo incredibile modo di essere.  Nella storia dell’alpinismo è un “gigante”, un “colosso”, uno dei protagonisti italiani dell’epoca più eroica dell’alpinismo mondiale.

Pierluigi “Luigino” Airoldi: 42 Spedizioni Extraeuropee, 64 “PRIME” sparse su tutti i continenti, dall’Alaska all’Antartico passando per le regioni più sperdute dell’Afghanistan o del Perù. Ha arrampicato con tutti i grandi dell’epoca, da Cassin a Bonatti e Mauri, ma il suo nome è sempre rimasto avvolto dalla genuina umiltà che lo contraddistingue.

I suoi racconti riescono sempre a lasciarmi stupefatto e, sebbene vi abbia parlato di lui già altre volte, presentarvelo è per me sempre un enorme piacere. Se in vita mia riuscissi a fare un decimo di quello che ha fatto lui potrei dirmi appagato, questo nonostante io sappia quanto sia impossibile fare ciò che lui ha fatto nel modo e con lo spirito con cui lui l’ha fatto.

Incontrarlo significa fare un tuffo in un’altra epoca, in un altro mondo, significa lasciarsi trasportare in un viaggio che rasenta la fiaba o la leggenda. Accompagnati dalla sua simpatia e dalla sua genuinità scompaiono tutti i pregiudizi, le invidie o le diffidenze e ci si lascia condurre “dentro” le sue grandissime avventure.

Luigino ha la capacità di lasciarmi a bocca aperta, stupito e sognante come un bambino! Perdonatemi ma è davvero incredibile: non c’è nessuno che, ai miei occhi, riesca ad essere così stupefacente come quest’allegro ottantenne!

Con infinito piacere vi invito, a nome di tutto il Cai Asso, alla serata organizzata in suo onore che si svolgerà venerdì 25 ottobre 2013 alle ore 21.00 presso la Sala Consiliare del Comune di Asso.

Non perdete l’occasione! Vi aspetto numerosi!

Davide “Birillo” Valsecchi

L’inverno sta arrivando!

L’inverno sta arrivando!

La prima neve ha subito agitato gli animi: qualcuno ha iniziato a lucidare le piccozze da ghiaccio, qualcuno sta preparando le pelli di foca, qualcun altro controlla le ciaspole e lo snowboard. L’inverno sta arrivando, il fermento di chi lo ha a lungo aspettato si sente nell’aria e, a modo mio, anche io mi sento inquieto.

Il mio equipaggiamento invernale è però davvero demolito: scarponi, sci, tavola, arva, non è rimasto quasi nulla di buono e l’idea di comprare tutto ex novo non mi alletta davvero. Non è solo questione di soldi, si tratta di dare un giusto senso alle cose. Molto mie amici sono provetti sciatori o snowboarder:  comprendo, e forse invidio, la gioia con cui vengono ripagati dalla loro passione. Io uso gli sci da quando avevo otto anni e la tavola da quando ne avevo ventidue, non sono certo un campione ma quello che serve, quando serve, lo so fare come si deve. Ma non provo la loro stessa attrazione.

Voi forse non ci crederete (nonostante l’abbia forse ripetuto un milione di volte) ma una delle salite più belle compiute in vita mia è stata una “semplice” invernale in solitaria sulla cima del Corno Occidentale ai Corni di Canzo. Un’esperienza che non è stata né estrema né straordinaria sebbene sia stata una delle esperienze più intense di sempre.

L’inverno è meraviglioso ed al contempo terribile, un viaggio in cui vorrei immergermi e non qualcosa su cui vorrei scivolare, non qualcosa su cui vorrei scorrere galleggiando sulla superficie. No, non ho intenzione di sborsare centinaia di euro per qualche gita domenicale: voglio di più, davvero di più!

Chiacchierando con degli amici su Internet sono saltate fuori le foto che vedete qui. Risalgono al 2009, quando ero in Ladakh, sul confine tra India e Cina: essendo arrivati laggiù alla fine di Aprile avevamo incontrato gli ultimi scampoli di inverno (himalayano).

La nostra attrezzatura non era adatta a quelle condizioni ed il mio socio non aveva praticamente alcuna esperienza di montagna. Nonostante questo, sfruttando la stessa “tecnologia” in uso nella metà del secolo scorso, ce la siamo cavata lo stesso campeggiando a 4000metri tra la neve fresca. Voi non potete immaginare con quanta nostalgia ricordi la condensa ghiacciata sull’interno della tenda prima di iniziare a scavare per uscire!!

Non è questione di chiodi da ghiaccio, di pendenze o di serpentine strette: è l’inverno, il grande freddo, la frontiera bianca. Non è nemmeno la cima o la salita: è il valico, la migrazione, l’attraversamento del passo.

Tre o quattro giorni, una o due tende, due o cinque persone e tutto l’equipaggiamento necessario: dove puoi ancora trovare il grande inverno, Birillo? Senza che il grande freddo ti inghiotta qual è la via attraverso le nostre alpi che varrebbe la pena percorre in questo modo? Cerca, Birillo! Cerca!

“Se fare un trekking invernale con la tenda in Himalaya è una cosa figa, qui da noi ti prendono per pirla. Ma la differenza vera qual è?” E’ stata la mia domanda a questi miei amici. Uno di loro, il più “ruggente”, mi ha semplicemente risposto: “…è che forse un po’ pirla tu lo sei davvero…”. Già, anche questo è vero: ma non è stato sufficiente a convincermi.

Ripenso ai soldati delle due grandi guerre, chiusi nelle trincee in alta quota, stretti tra il gelo ed il nemico. Ripenso alle popolazioni del passato, alle migrazioni tra le montagne ed ai loro viaggi infiniti nell’ignoto bianco. Il fascino del “passo” in inverno è nella nostra cultura, nella nostra storia e forse anche nel nostro DNA di gente di montagna: il confine, la linea oltre cui non ci si dovrebbe spingere se non si è pronti a scoprire.

All’improvviso l’inquietudine lascia spazio ad una strana euforia e ad una grande serenità. Tutto quello che resta da fare ora è scegliere il prossimo “passo” e la squadra con cui affrontarlo: l’inverno sta arrivando, chi viene ad accoglierlo?

Davide “Birillo” Valsecchi

E la Direttissima fu!

E la Direttissima fu!

Eugenio FasanaIn realtà il confronto tra Andreoletti e Fasana inizia sui Corni di Canzo: nel 1908 Andreoletti apre con Carlo Prochownik, suo abituale compagno di cordata, una via lungo la parete sud-ovest del Corno Occidentale. Fasana risponde l’anno seguente con un suo itinerario lungo la parete sud. Poi il duello si sposta sulle rocce della Grignetta: in marzo Fasana traccia in solitaria la via che percorre il camino ovest del Corno del Nibbio Settentrionale, mentre in ottobre la cordata Adreoletti-Prochownik scala il camino nord del Torrione Clerici.

Nel 1910, la cordata Adreoletti-Prochownik è ancora protagonista in Grigna quando apre due vie nuove alla Torre Cecilia, una alla Torre Rosalba e una nel repulsivo camino nord-ovest della Piramide Casati.Dal canto suo Fasana fin da gennaio mette le cose in chiaro aprendo in solitaria un nuovo percorso sulla parete est del Torrione Palma. Dopo di che si concede un diversivo e con Edoardo De Enrici apre una via lungo la strapiombante parete nord-est del Corno Centrale di Canzo, parete che diventerà nota come Parete Fasana.

Nel 1911 Andreoletti lascia momentaneamente Prochownik per legarsi insieme a Berto Fanton, esploratore delle Dolomiti del Cadore. Andreoletti parla a Fanton della “sua” Grigna e dei suoi progetti: Fanton raggiunge Andreoletti a Milano ed insieme vincono per la prima volta la Torre del Cinquantenario e la Guglia Angelina, battezzata così in onore della mamma di Andreoletti. Fasana replica tracciando un itinerario sulla parete est del Maniaghi Centrale ed una breve via sul Torrione Palma. Inoltre dedica tempo all’esplorazione del versante meridionale della Grignetta per trovare un collegamento diretto fra i Piani dei Resinelli e il rifugio Rosalba.

Nell’Ottobre del 1911 Eugenio, insieme con Luigi Binaghi e Giuseppe Maccagno, riesce a individuare un percorso che dai Resinelli raggiunge il Colle Valsecchi sulla Cresta Segantini. Non è una grande impresa dal punto di vista alpinistico, ma è la realizzazione di un itinerario che presto diverrà uno dei più importanti e frequentati della montagna. Nel 1923, infatti, la sezione CAI di Milano attrezza l’itinerario con catene nei punti più esposti e piazzando una scala metallica per superare un salto verticale: nasce così la Direttissima!

Tratto da : Grigne Assassine di Marco Ferrazza.

Come sempre: domo arigatò, Fasana Sensei!!

Davide “Birillo” Valsecchi

eugenio fasana

eugenio fasana

Only the Brave

Only the Brave

Solo i coraggiosi… il più delle volte gli stupidi. Attraversiamo la strada e calchiamo la spiaggia deserta. Il vento di scirocco, direttamente dall’Africa, soffia caldo ed intenso dal mare. Tutto questo significa solo una cosa: ONDE!

La prima bordata è una specie di sveglia, rotoliamo tra sabbia e spuma. Poi è battaglia, battaglia dura e fantastica!! Questo è il mare che piace a me: un’inarrestabile forza viva!!

Davide “birillo” Valsecchi

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