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Pornografia Domestica

Pornografia Domestica

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La zia Cesy mi chiama al telefono: “Davide! Davide! Guarda su Rai Storia che c’è un vecchio che parla di montagna!” Accendo la televisione ed inizio a ridere “Zia, quello non è un vecchio: è Bruno Detassis!” La zia dall’altro capo ribatte: ”Mi sembra uno forte. Dai, dai, torno a vedere. Ciao!”. Il “Custode del Brenta”: un vecchio che parla di montagna.

Una volta Ivan Guerini mi ha raccontato del suo primo incontro con Detassis. La cosa divertente è che anche lui, come la zia Cesy, non aveva idea di chi fosse quel vecchio che parlava di montagna al rifugio Brentei. Si era avvicinato per fare qualche dubbiosa domanda sul loro scarso materiale ma Ivan, che nel 1979 era molto giovane, non aveva capito chi fosse. Il giorno successivo avevano risalito in  3 ore e mezza i 900 i metri del Diedro Aste al Crozzon di Brenta. Detassis durante la salita li aveva tenuti d’occhio con il canocchiale. Al ritorno non solo si era presentato ma si era persino complimentato con loro: ”Non ho mia visto nessuno arrampicare così velocemente”.

In modo quasi inaspettato dallo schermo scompare la pipa di Detassis e compare un giovanissimo Reinhold Messner. Racconta della sua giovinezza nella Val di Funes, dell’arrampicata libera, del superamento del VI° grado. Mi torna alla mente una frase di Gianni Mandelli “Ai Corni le vie sono tutte di quinto perchè all’epoca il sesto lo faceva solo Messner”. Prima di parlare di Bull, del fratello e del Nanga Parbat racconta del rapporto con quelle montagne delle sua gioventù: ”All’epoca quelle montagne erano le più grandi che avessi mai visto: sapevo tutto di loro, conoscevo ogni sasso. Non avevamo bisogno d’altro. Solo dopo, quando abbiamo avuto il bisogno di confrontarci con gli altri, abbiamo comprato una macchina per spostarci e siamo andati altrove”.

Come dare torto a Messner? Ma non tutti comprendono il fascino delle montagne di casa, la loro natura selvatica ed al contempo domestica. Quando la Zia Cesy mi ha telefonato stavo sistemando alcune foto scattate nella mia esplorazione del Versante Sud del Moregallo. In modo sistematico sto risalendo le valli ed i canali cercando di scoprire cosa si cela lontano dai sentieri battuti. Solitamente imbocco il sentiero “Paolo ed Eliana” e devio poi verso l’alto.

Paolo ed Eliana, il Cerro Torre e Detassis, Guerini e Messner. Il mondo e la storia sembrano girarmi intorno mentre tra i rovi e le ossa di Muflone esploro la mia curiosità. Davvero strano il mondo in cui mi sono ritrovato. A volte è buffo, a volte spaventoso, a volte l’unico che mi interessi.

Vi mostro quelle foto, ma fate attenzione. Sotto alcuni aspetti questa è inaspettata pornografia alpinistica!

Davide “Birillo” Valsecchi

NB: Il Moregallo, salvo rari e specifici casi, è da considerarsi una “zona no spit”. Non fatevi pizzicare con il trapano a far danni alle mie foto 😉

(Questo sopra è un video. Cliccaci sopra per vedere tutte le foto)

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Il Sentiero Illuminato dalla Luna

Il Sentiero Illuminato dalla Luna

crestina_osaInfilo la giacca rossa, quella che appartiene a mio fratello e che ormai è piena di buchi. Metto a tracolla la fettuccia che mi ha regalato Ivan, quella con cui ho fatto sosta su un mugo mentre la notte mi precipitava addosso in uno scintillio di lampi. Sotto indosso un vecchio gilet in cordura, lo stesso che avevo in India, quando ho rischiato di congelarmi le dita cazzeggiando a seimila metri come un gitante milanese ai Piani dei Resinelli. Abiti, oggetti, errori: i ricordi, come le ciccatrici, sono qualcosa che ci si porta addosso.

Attorno a me è notte, la nebbia si è abbassata ed avvolge il fondo valle. La luna e le stelle d’inverno iniziano finalmente ad emergere. Da qualche parte, laggiù nel buio delle luci cittadine, c’è Bruna avvolpacchiata sul divano, avvolta in una calda coperta mentre mi aspetta. Io sono qui: tra le ombre di queste guglie di roccia. Ci sono solo due gradi ed il sudore inizia a raffreddarsi sulla schiena. Abbasso il respiro ed alzo il bavero.

I guanti senza dita cominciano a muoversi sulla roccia. La frontale, attaccata al casco, cerca di illuminare gli appoggi per i piedi ma, dal bacino in giù, la notte sembra anche più buia. Le dita fremono scosse del freddo, sembra che il gelo si faccia più intenso quando l’appiglio è piccolo ed il vuoto grande.

Addomestico la mia mente. «E’ solo la crestina Osa. L’hai ripetuta non più di due settimane fa.» Provo a scuotermi. Ma una vocina compiaciuta sibila divertita «Davvero Birillo? Sai che può bastare…anzi, sarebbe ironico se fosse proprio lei a bastare. Che pessima figura se il tuo viaggio finisse qui, silenzioso e scomposto tra i rami e le foglie di questi scuri canali dietro casa.» Mi guardo intorno per un istante, il cuore si fa pesante. Tutto è tenebra e silenzio. «Sei uno speleo, è come essere in grotta: perchè ti preoccupi?» Ma le dita protestano, i piedi scivolano, la luce sbanda. «…non sei fatto per queste cose. Te ne rendi conto? Sei patetico nella tua ostinata debolezza! Le tue ambizioni superano il tuo talento. Quanto ancora vuoi soffrire inutilmente?» Addomestico la mente, lascio che il vuoto si faccia strada dentro di me. Infagottato nel mio equipaggiamento sono solo un reduce, solo un soldatino spaventato che viene scaricato nuovamente al fronte. Provi gioia? No, forse solo consapevole rassegnazione. Mi metto nei guai da solo, faccio ciò che serve per uscirne: non c’è gloria in tutto questo.

«Ma ancora hai dubbi? Dopo tutto quello che hai fatto ancora dubiti?» Il ricordo, caldo, di una voce  amica si fa strada nel vuoto: quasi divertita non sembra capacitarsi delle mie perenni incertezze. Sì, forse è vero, forse non sono un leone ma solo un cane con la cresta: probabilmente avrò paura per tutta la mia vita. Siamo ombre, scivoliamo tra i vivi ed i morti, fuggitivi smarriti in cerca di una via d’uscita attraverso prigioni di roccia.

Poi la luce della luna irrompe tra le nuvole, le tenebre e gli abissi sembrano anche più intensi, più profondi, ma la roccia attorno si fa brillante, emerge pallida e viva in ogni direzione, oltre le valli, oltre le creste, le guglie e le ombre. Il tempo, quasi immobile, si ferma: mi fondo nel vuoto che mi circonda, riempio ogni cosa fin oltre ogni orizzonte. Nei riflessi della luna sono ovunque ed in nessun luogo, sono oltre la luce, oltre la notte. Quanti sono gli attimi di intenso terrore che portiamo ruvidi sulla pelle per tutta la vita? E quanti sono i invece i momenti di assoluta ed inarrestabile bellezza che riescono a penetrare nell’anima, oltre i sensi, restandovi per sempre?

Guardati intorno: hai ancora freddo Birillo? Hai ancora paura? Guardati intorno, amico mio: non sei un sopravvissuto, questo è vivere. Guardati ora, stramaledetto bugiardo, un cane con la cresta non potrebbe mai sorridere come un leone.

Davide “Birillo” Valsecchi

“Guai se in montagna non si provasse il senso della paura. Significherebbe essere incoscienti e non potersi più procurare la gioia sublime di saperla vincere” (Walter Bonatti)

Animedale: Via Chiappa

Animedale: Via Chiappa

b3Racconti dei Badgers: relazione di Alberto “Brambo”. Era un po’ che con Maurizio “Mav” Cairoli si pensava al Medale, ma per vari motivi non ero ancora riuscito a metterci piedi e mani. Così di ritorno da una bella uscita insieme decidiamo che questa domenica era la volta buona. Ci troviamo al solito parcheggio e vedo con piacere che la compagnia è numerosa e piacevole: sono dei nostri Andrea Carcano. , Marzio Molteni, il mio socio Lorenzo Migliavacca e con altra meta Claudia Prina e Andrea Azzola (destinazione via Asen Park sempre in Antimedale).

Veloce caffettino a Lecco e via, in un attimo siamo al parcheggio e 20 minuti dopo all’attacco (molto affollato) della via. Mentre Claudia e Andrea (Azzola) si dirigono verso il loro attacco ci prepariamo e dopo una lunga attesa partiamo. Prima cordata a tre con Mav a tirare me e Lorenzo, subito dietro Andrea e Marzio in alternata. Primo tiro facile, Mav parte subito veloce proteggendo a friends e cordini e in un attimo siamo tutti in sosta. Il tempo di fiatare e ammirare il panorama già splendido su Lecco e la Brianza e ripartiamo: secondo tiro brevissimo con lame e buchi presenti in abbondanza. La roccia è davvero splendida e grazie al sole limpido l’arrampicata si fa davvero divertente!

Il terzi tiro mi fa subito capire cosa è un V grado in Antimedale: le protezioni si allungano e cercarle non è del tutto scontato, ma per fortuna (ed esperienza) Mav senza troppe difficoltà supera un diedrino e scompare sino alla sosta. Parte Lorenzo , io lo seguo a distanza e guadagnamo non senza fatica la quarta sosta: ora la ruggine e’ tolta ma ci aspettano i due tiri piu’ complessi.

Il quarto tiro è cortissimo (sono presenti altre soste intermedie al terzo). Un bellissimo traverso su placca strapiombante dove l’unica difficolta’ e’ l’uscita su di uno spigolo esposto con una bella manigliona nascosta dallo stesso a togliere d’impiccio ed e’ di nuovo sosta.

Quinto tiro (tiro chiave): Mav parte deciso verso sinistra, poi sale diritto in un diedrino corto quanto strapiombante e soprattutto sprotetto. Si muove di forza ma al tempo stesso con delicatezza, rinvia in un chiodo nascosto sopra il diedro e riscompare. Poco dopo e’ in sosta. Risaliamo anche io e Lorenzo e in questo tratto mi accorgo di fare più fatica confronto al granito! Non demordo e all’uscita del diedro afferro la fettuccia (lasciata dal previdente Mav…) e mi tiro su con tutta la forza, sposto i piedi e lancio il braccio sinistro ad afferrare una bella presa. Sono fuori! 10 metri di placca e fessure e sono in sosta.

b7Ora la parete e’ davvero strapiombante e stare in sosta appeso nel vuoto mi da una bella scarica di adrenalina: osservo sotto di me Andrea che da primo parte per salire seguendo una linea piu’ verticale. Decido di aspettare a partire. Sembra un po’ in difficoltà, mi chiede dove passare e io gli indico alla sua destra delle fessure profonde ma anche distanti. Lui parte invece molto sicuro, supera una placca molto delicata e davvero difficile e in un attimo è in sosta. Bravo Andrea!

L’ultimo tiro è un breve traverso a sinistra di IV grado molto ammanigliato e dunque ormai facile che ci porta tutti in un attimo all’uscita. Spuntino, foto di rito e si riparte per la discesa, dove incrociamo Claudia e Andrea di ritorno dalla loro via. Bravi ragazzi! Bella via e splendida giornata insieme!
Alla prossima

Alberto “Brambo” Brambilla

Vietato Vietare

Vietato Vietare

a9I racconti dei Badgers: relazione di Andrea. Mentre Davide e Mav erano intenti a salire la Crestina OSA al Moregallo, io e il buon veterano Marzio abbiamo scelto di intraprendere una via allo El Schenun in Val Masino. Percorrendo la strada che porta al parcheggio della via ci accorgiamo subito come l’autunno si sia fatto strada un po’ dappertutto, non solo per i colori del paesaggio ma soprattutto per il freddo; infatti in giro per la Val di Mello e la Val Masino neanche l’ombra di un arrampicatore.

Verso le 9.30 siamo al parcheggio sotto allo Schenun. Io e Marzio siamo i primi, quindi con tutta calma ci prepariamo e iniziamo a percorrere il lungo avvicinamento che porta all’attacco della via. Il primo tiro tocca al sottoscritto così mi armo di coraggio e parto. Tiro ingaggiante, data la presenza di alcuni tratti di aderenza, che termina con una sosta dopo un boschetto di alberi. Il secondo tiro spetta al mio socio che con abile destrezza e agilità arriva alla sosta. Nel raggiungerlo mi imbatto prima in una ghianda e poi in un vecchio chiodo (e vuoi non farle due foto da mostrare al Capitano?).

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Nel frattempo ci accorgiamo di non essere più soli su quella fredda roccia, quattro persone sono sotto di noi all’attacco della Coda del Dinosauro, continuano a guardare in su. Siamo alla seconda sosta , Marzio mi passa qualche rinvio che gli era avanzato, e si parte per il terzo tiro. Già alla partenza sono nei guai, davanti a me c’è un passagino un po’ ostico, ma una volta superato quello si va via in scioltezza fino alla sosta. Il Veterano, che l’ha già fatta un sacco di volte, ha sbagliato a fare i conti e il tiro chiave della via spetta a lui. Il quarto tiro inizia con un traverso che finisce su una cengia erbosa, da lì si prosegue arrampicando su un tratto verticale che richiede una certa dimestichezza con l’aderenza: per questo viene soprannominato Veterano, anche se ha osato azzerare.

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Il quinto e ultimo tiro rimonta un piccolo tettino per poi proseguire senza difficoltà fino alla sosta. Recuperato Marzio facciamo un paio di “foto di rito”, dopodiché decidiamo di scendere in doppia dalla Coda del Dinosauro (la discesa da qui è molto più tranquilla che dal versante che abbiamo percorso salendo). Facciamo la prima calata, contando di accoppiarne due, invece dobbiamo fermarci alla sosta sottostante poiché una delle due coppie che avevamo lasciato all’attacco della via è già arrivata al penultimo tiro. Solita fortuna…. tra l’altro è il tiro dove c’è il passaggio chiave della via. Aspettiamo che il primo sia in sosta per calarci alla successiva liberando così la via al suo secondo. Una volta in sosta vediamo che l’altra coppia è intenta a percorrere il terzo, aspettiamo che salga il primo (sempre per non incasinare la via a chi sale) ma questo non arriva; quindi scendo fino alla cengia sopra di lui.

Questa è la situazione: io fermo sulla cengia, il primo bloccato poco più sotto “incavolato” perché non riusciva a fare quel passaggino e il suo secondo (una donna sulla cinquantina abbondante) che gli urlava dietro perché non riusciva a passare. A quel punto mi hanno lasciato calare fino alla sosta; la signora mi ha spiegato che il suo compagno di cordata era da poco tempo che aveva iniziato a tirare da primo quindi era un po’ nel pallone. Sceso Marzio lasciamo le due corde nell’anello di calata, in modo da creare una corda fissa, il primo, in difficoltà, attaccandosi alle nostre, riesce a tirarsi fuori ed arrivare in sosta. Da quella sosta non abbiamo avuto più problemi.

Una volta arrivati a terra decidiamo di percorrere i due tiri sulla sinistra. Come sempre il primo tiro spetta a me, arrivo in sosta senza troppi problemi. In totale ho usato due rinvii di cui uno su una pianta (come insegna il Capitano). Recupero Marzio e tento di fare anche il secondo tiro da primo, non passa molto tempo che scendo in sosta perché non riesco a salire. Lo tenta Marzio, riesce a passare ed arrivare in sosta; da li scendiamo e chiudiamo la giornata. Ripercorriamo il lungo avvicinamento e una volta alla macchina ci rifocilliamo e ci prepariamo a tornare a casa. Di ritorno passando da Valmadrera ci fermiamo alla Badgers’ caverna dove ci aspettano Birillo, Mav e Maurizio di ritorno dalla crestina: ci accolgono con birra e biscotti.

Grazie Marzio per avermi sostenuto e incitato su quella bellissima via.
Ciao Bagai.

Andrea Carcano

Vietato Vietare Val Masino 15/11/15.
Marzio e Andrea: BadgersTeam

La Placca dell’Idiota

La Placca dell’Idiota

DSCF8942La mia curiosità si era accesa quando, arrampicando sulla dell’Oro al Corno Rat, avevo visto due grossi muretti a secco cingere entrambi i versanti della valle. I muri apparivano grandi ed estesi, quasi una fortificazione: ma cosa difendevano? Se i “vecchi” si erano dati da fare per costruire una cosa simile un motivo c’era di sicuro. Sotto il muro apparivano altrettanto evidenti una serie di rocce strapiombanti che precipitavano nel fondo della valle,  tuttavia la vegetazione non lasciava intravedere molto.

La mia ipotesi è che quel muro, tanto lungo e tanto grande, servisse a proteggere il pascolo affinchè le bestie non precipitassero sulla roccia sottostante. Per giustificare la costruzione di un’opera simile il “salto” doveva essere ragguardevole. Quindi, in quel tratto di bosco, c’erano delle pareti di roccia, probabilmente dimenticate, quasi sicuramente alpinisticamente vergini. “Bhe, andiamo a vedere!”. Ho preso lo zianetto ed in solitaria mi sono lanciato nella ricerca.

Conosco abbastanza i sentieri di Valmadrera ma, essendo qui da poco, non ho ancora nella testa una proiezione tridimensionale della zona completa ed accurata. Questo mi rende difficile non tanto orientarmi quanto trovare scorciatoie. Non mi è toccato far altro che approcciare la via più diretta. Imboccato il sentiero “Paolo ed Eliana” ho tagliato su dritto per dritto seguendo il fiume in secca della Valle di Sant’Antonio.

DSCF8866La prima inaspettata scoperta è stato il rudere di una grande casa in una piccola radura: avvicianandomi ho scoperto che metà della costruzione era in granito!  Tutta la valle è infatti “affollata” di sassi che, come dovreste sapere, non sono affatto indigeni ma provengono dalle valli a Nord del lago ed hanno viaggiato fin qui in groppa ai Ghiacciai. Le colonne della Chiesa di Valmadrera sono in granito ed il grande masso da cui sono state estratte è ancora ben visibile nel bosco. Tuttavia non mi aspettavo di trovare una costruzione meno “prestigiosa” costruita in gran parte con tale prezioso (da noi) materiale.

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Poco più in alto ho trovato una vecchia tubatura orami in disuso e poco oltre, finalmente, la mia tanto agognata roccia. Alzandomi tra la vegetazione ho finalmente compreso meglio tutta la faccenda. La valle si chiude infatti in una serie di grandi cascate verticali che a tratti sembrano formare un orrido. Su entrambi i versanti sono stati costruiti grandi muri che cingono il bosco separandolo dallo strapiombio sottostante. Con lo sgardo verso la sorgente del fiume si può vedere come sulla destra il muro compia un lungo percorso sovrastando strutture rocciose meno strapiombanti ma comunque alte e verticali. Tra queste La Placca dell’Idiota ed il Camino degli Stupidi!  

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La Placca si innalza compatta, ma non completamente verticale, per una trentina di metri (forse anche qualcosina in più). Sulla destra forma un diedro intervallato da qualche piccola pianta. Sulla Sinistra invece lo spigolo sembra solido e ben lavorato.Una vera pacchia! Sulla placca dell’Idiota possono essere infatti tracciate per lo meno tre vie: la più semplice all’interno del diedro, una pià complicata sullo spigolo ed una tutta da scoprire nel centro della placca vera e propria. Difficoltà che oscillano sul IV° grado con punte forse di V° inferiore in placca: tutte da scoprire e proteggere in modo Trad.

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Non essendo completamente verticale c’è la possibilità di fermarsi e lavorare con calma, tuttavia l’esposizione dopo i primi metri (che ho esplorato in libera) inizia a farsi sentire man mano ci si alza oltre gli alberi. In uscita alcune piante oltre il muretto possono offrire supporto per una sosta tutta da migliorare.

Sulla sinistra di questa placca se ne trova una seconda, più piccola e arginata sulla destra da un diedro camino, una fenditura abbastanza ampia da infilarvi una gamba o un braccio nella salita. Anche in questo caso la placca non è completamente verticale sebbene non si possa considerare appoggiata. L’uscita della placca è una cengia erbosa delicata ma apparentemente praticabile.

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Risalendo nel bosco sono arrivato all’uscita e dall’alto la placca ha un’aspetto tutt’altro che banale. C’è da lavorarci parecchio per capire come proteggere un passaggio simile fuori dal diedro. “La Placca dell’Idiota” e Il Camino degli Stupidi: per gli amanti del trapano e della magnesite un “problema” probabilmente insignificante, quasi ridiciolo. Tuttavia, intesa come area “no spit zone” quei due “relativamente” brevi tratti di roccia sono davvero qualcosa di prezioso e ragguardevole!

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Costeggando il Muro sono arrivato al cuore della valle, a ridosso delle grandi cascate (ora in secca). Il paesaggio circostante è magnifico ed il colpo d’occhio sul Moregallo o sul Corno Orientale è davvero appagante. La mia piccola gita mi ha concesso due ultimi regali prima di riconsegnarmi a sentieri più battuti. Il primo è stato un grosso sasso in granito da rimontare in aderenza: un tratto breve, non pericoloso, ma sicuramente divertente!

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Il secondo regalo è stata invece “La cascata dei Cretini”, un bellissimo tiro in cascata assolutamente da provare. La roccia è inevitabilmente umida e levigata dal passaggio dell’acqua, tuttavia sotto le foglie si nascondono belle lame compatte a cui aggrapparsi. Qualche pianta sui lati ed un bell’albero in uscita su cui fare sosta. Un tirello di IV° con probabile sorpresa, una primizia da sperimentare.

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Ci sono molte altre zone in cui vorrei “giocare”, spesso più evidenti ed attraenti, ma altrettanto spesso sono troppo vicine ai sentieri battuti o troppo “esposte” perchè possano essere affrontate con ludica serenità (come ad esempio tutta la parte sommitale verso Est del Corno Rat).

Qualcuno potrà obbiettare che questa roccia è “niente”, tuttavia per noi che siamo “nessuno” è di certo una magnifica scoperta!

Davide “Birillo” Valsecchi

Fin dove sono salito non ho visto chiodi (ne mi aspettavo di trovarne). Chiederò agli amici di Valmadrera informazioni sulla valle e sui suoi muri. E’ abbastanza scontato che questa ora è una “zona no spit” 😉

Tassi in Placca

Tassi in Placca

I ragazzi volevano arrampicare sul Granito ed erano già parecchie settimane che battevano il tamburo sulla cosa. Io però non ho un gran esperienza su quel tipo di roccia. In vita mia ricordo di aver fatto solo tre vie: il Risveglio di Kundalini, Luna Nascente ed una cresta di mille metri che in Pakistan sale fino ai 5100 metri di Cima-Asso. Così, vista la mia ignoranza, ho lasciato fossero i Badgers a decidere “come e dove”: devo confessare, con una certa soddisfazione, che sono stati davvero bravi!

Dove siamo stati? Non ve lo dico. Quello che posso dirvi è che esiste una bellissima falesia di granito nero, esposta tutto il giorno al sole, che a due passi dal paese offre godibili vie di cinque o sei tiri. Non voglio dirvi dove perchè, sebbene fosse Domenica, sulla roccia c’erano solo le nostre tre cordate: era tutto per noi!

Le nostre squadre erano le seguenti: Mav e Brambo, il gruppo di punta; Birillo e TeoBrex, alla sua seconda esperienza in una via multitiro; Andrea, Fabio e Cesare, anche quest’ultimi alle loro prime esperienze.

Partiamo tutti insieme dividendoci dopo la semplice placca del primo tiro. Mav punta verso le vie di sinistra mentre io mi allungo verso quelle di destra. Una placca semplice per prendere confidenza con i piedi,  poi un muretto appigliato ed un delicato passo in traverso. Teo si muove bene ed anche il chiassoso trio di Andrea mi segue a ruota. Mav, sull’altro lato, supera un passaggio aggettante e scompare oltre lo spigolo.

Il granito è la roccia più diffusa al mondo, fatta eccezione dell’Isola Senza Nome dove è considerata merce rara e preziosa. Lo stile d’arrampicata è totalmente differente da quello sul calcare. Il granito è molto più compatto (leggisi non ti rimangono in mano i pezzi!) ed i piedi hanno sempre la possibilità di usufruire di un ottimo grip. Di contro gli appigli per le mani sono molto meno generosi e spesso si gioca d’equilibrio in una tecnica chiamata “aderenza”. Una piccola magia che permette di focalizzare il peso del proprio baricentro rimanendo in equilibrio senza “niente in mano”.

Un’ altra caratteristica del granito sono le fessure, spesso verticali, che possono diventare veri e proprio binari. Il tiro successivo ne è stato un esempio. Una bella fussura aperta saliva verticale permettendo di afferrarne i bordi oppure di incastrarvi a pugno le mani al suo interno. I piedi, in spinta, sostengono ed inalzano il baricentro. Una progressione che richiede un po’ di resistenza ma che è sempre di gran soddisfazione.

Le fessure possono anche essere orizzontali oppure oblique, il loro bordo può essere sfruttato per posizionare la punta dei piedi affrontando traversi apparentemente impossibili in cui le mani, spietamente vuote, possono solo appoggiarsi (oppure opporsi) alla roccia senza mia poterla afferrare.

Il granito insegna sopratutto l’equilibrio dinamico. Ci sono movimenti che non possono essere fermati a metà, che non solo devono essere conclusi rapidamente ma che devono avere ritmo con il passo successivo. Sul calcare, per quanto mi riguarda, è importante avere la padronanza del movimento e la capacità di arrestarlo in in ogni istante. Questo perchè la roccia è molto più cedevole e si deve poter fare “retromarcia” se soppraggiunge una fragilità imprevista.

Non tutti condividono questo punto di vista, quelli molto forti riescono ad essere “dinamici” ma “ponderati” anche sul calcare ignoto. Alcuni passaggi fatti da Joseph sulla Torre Tonda in apertura hanno dato strabiliante prova di un come uno stile evoluto possa essere sicuro e dinamico allo stesso tempo (anzi, reso sicuro proprio dalla sua componente dinamica). Consapevole di queste riflessioni ho continuato a giocare con il baricentro superando il traverso ed i successivi rialzi.

Teo era è concentrato di entusiasmo ed anche Andrea, nonostante qualche incertezza dovuta sopratutto alla poca esperienza, ha condotto la sua cordata di neofiti fino alla sosta finale dopo sei lunghezze.

Un’ altra caratteristica del granito è il modo differente con cui si protegge la progressione. Le clessidre sono molto rare, la roccia è sempre molto compatta e non offre molte vulneraviltà per i chiodi. Di contro le fessure sono nette, compatte e solide permettendo l’uso dei Friend come spesso il calcare non concede. Tuttavia nel granito sembra non esserci vie di mezzo: o piazzi qualcosa di solido o non piazzi nulla!

Ovviamente utilizzando i fix ed il trapano tutto cambia, si possono tracciare linee su passaggi di roccia che diversamente sarebbero improteggibili ed apparentemente assurdi. Lo Spit cambia le regole in campo, a volte aiuta ma altrettanto spesso inganna delineando linee fuorvianti se non addirittura illogiche.

«“Le aciughe si trasformarono in sabbia”, questo è il nome della via che avevo tracciato con Savonito prima che spittassero.» Mi aveva detto Ivan Guerini al telefono il giorno prima.«Prova a vedere se la trovi, gli spit salgono dritto per dritto ma se guardi bene c’è una linea logica da seguire.» Io e Teo eravamo di nuovo alla base della parete e fermamente intenzionati a curiosare ancora un po’ in giro.

Superata la prima placca ne affronto una seconda. La linea degli spit rimonta dritta nel granito nudo ma, ad un metro sulla sinistra, un piccolo diedro mi offre prese e protezione. Certo, è sporco di foglie e terra, ma lavorandoci un poco posso avvantaggiarmi delle piccole prese al suo interno e persino lavorare di opposizione. Il problema, per assurdo, diventa usare gli spit: per rinviare infatti devo espormi in piccoli traversi spesso senza senso.

Supero una spaccatura fiorita di mille cristalli e rimonto una piccola placca appoggiata raggiungendo le radici di un grosso albero rovesciato. Faccio sosta e recupero Teo: anche lui sembra affascinato dall’approccio alternativo.

La lunghezza successiva prevedeva tre spit in fila su una placca nuda ed altrimenti improteggibile. Provo a rimontare ma la difficoltà ed il fascino mi bloccano: “Cazzo, se non ci fossero quegli spit non andrei MAI da quella parte!” Così, con sbarazzina simpatia, abbandono la via e mi infilo in un diedro pieno di foglie ed erba risalendo in diagonale verso destra. La mia malasana idea era fare un traverso di trenta metri inseguendo il diedro fino a raggiungere la sosta della via fatta in precedenza. Delle godibili maniglie al centro del diedro sembravano avvallare la mia idea.

Tuttavia non avevo con me i friend (… e quindi nemmeno i chiodi) e tutto quello che potevo usare erano solo una coppia di nat piccoli ed una robusta fornitura di fettuccie. Una striminzita pianticella, un cespuglio di mezzo metro in realtà, diviene la mia prima protezione. Rimonto un bel muretto ed una piccola arborea sorella nana diviene la mia seconda protezione. Ormai Teo è lontano ed io sono ormai a quindici metri nell’ignoto. Seguendo il diedrino obliquo rimonto un altro metro e finalmente vedo la sosta dell’altra via. Il diedro è finito, davanti a me ho un muretto verticale di un metro da rimontare prima di fare altri quattro metri di placca in traverso. Allungo la mano sinistra e riesco a prendere una bella presa in alto che libero dalla terra.

Il piano è semplice, dovrei tirare sulla sinistra, puntare i piedi sul muretto, saltarci in piedi, riposizionarmi e chiudere almeno due metri di traverso prima di poter ragionevolmente tirare il fiato. Il problema è che sotto il traverso la roccia è preoccupantemente verticale. Posso proteggere quel passaggio solo alla base e solo con una fettuccia su un’arbusto che scricchiola in modo preoccupante. Potrei arretrare, ed arrampicare in discesa calandomi nel boschetto sottostante per poi uscirne a destra. Tuttavia per Teo quella manovra sarebbe un vero casino e non potrei proteggerlo.

Mentre sono indeciso se tornare indietro o tentare il passo, arriva alla sosta Cesare: la sua cordata si stava infatti calando in doppia dall’alto. Mi guarda incuriosito e poi mi chiede dubbioso: “Hey, ma davvero vuoi provarci?” Qualcosa dovevo pur inventarmi: “bhe, facciamo così, lanciami la corda che ti avanza e fissala con un barcaiolo: se mi dice male e piombo di sotto, con una corda davanti ed una dietro posso limitare il pendolo” Già, venti metri di corda in obliquo alle spalle e cinque in orizzontale davanti: pomeriggio divertente, nevvero?

Con la corda nella mano destra tiro la presa di sinistra e salto in piedi al muretto, respiro e mi distendo in placca cercando di controbilanciare il baricentro mettendo in tensione la fissa. Equilibrio, respiro, dentro con i due passi in dinamica che mi separano da un avvallamento sicuro: BASE! Fiuuuuu!!!

Andrea dall’alto impreca perchè Cesare non ha ancora dato il “libera” alla doppia e questo gli risponde divertito “Andrea! Aspetta che Birillo fa i numeri da Circo!!” Mi allongio in sosta e chiamo Teo. Guardo il passaggio e mi sento in colpa: dannazione è la seconda volta che arrampica! Lo metto in piastrina ed inizio a recuperarlo. Lui avanza tranquillo nel diedro e ride ogni volta che stacca una fettuccia dalle piante: beata incoscienza! Al passaggio chiave gli spiego come fare a bilanciarsi sulla fissa e come mettere il peso per evitare di pendolare quattro metri sotto la sosta.

Si concentra, si alza e passa mentre come una furia lo recupero senza strattonarlo. “Okay Teo, Bravissimo! Ora recupera anche la corda fissa!” Lui tira la fissa ma questa resta bloccata: quella stramaledetta radice non era sufficiente per proteggermi ma abbastanza per bloccare la corda!

Dannazione non viene. “Vabbè Teo, vieni qui. Torno io a liberarla!” Teo invece insiste si riabbassa puntando i piedi, libera la corda dalla radice e si rialza. “Accidenti! Bravo Teo! Ora vieni qui che mi vien male a guardarti!”

Un facile tiro in placca e finalmente siamo di nuovo sulla cima della parete, dove inizia il sentiero che attraverso il bosco permette di ridiscendere. Sdraiati al sole ridiamo divertiti al pensiero di come tutto il paese sottostante mi abbia visto “pericolare” fuori via in cerca di amichevoli alberelli: “Birillo, non ti portiamo più se non fai il bravo!” Hai capito?! Ora mi lasciano a casa!

Teo, sebbene senza esperienza, si è dimostrato un ottimo compagno di cordata: nelle rogne è emersa chiaramente visibile la sua formazione “speleo”. A fine giornata avevamo in tasca ben 9 tiri di cui uno ignorante, insensato ma Full Trad (senza adeguato materiale) nell’ignoto che attende dietro l’angolo. Mav e Brambo si confermano la coppia più in forma dei Badgers ed anche Andrea merita giusti compliementi per il modo in cui ha condotto la sua cordata a tre. Bravi tutti!

Tassi in placca! Ve lo do io il Granito!

Davide “Birillo” Valsecchi

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Rocca di Baiedo, Solitudine

Rocca di Baiedo, Solitudine

Nella primavera del 1974 Don Agostino Butturini propone ad alcuni ragazzi di seconda e terza media di partecipare al Corso di Alpinismo “Attilio Piacco” del CAI di Valmadrera. L’esperienza si rivela positiva, e le prime salite piacciono a tal punto che molti di loro vogliono andare avanti. Don Agostino intuisce così che l’arrampicata può essere un valido strumento di crescita per ragazzi di quell’età; il fatto poi di essere a Lecco, una delle capitali dell’alpinismo italiano, rende le cose più facili.

Grignetta, Medale, Nibbio, Sasso Remenno; vie di terzo e quarto grado con qualche puntata sul quinto per i più bravi. C’era solo il Don a “tirare” da primo, e così bisognava fare i turni, stabiliti in settimana durante l’intervallo delle lezioni in Collegio. Nel corso di queste prime esperienze, “il Don” matura un’idea che lancia su un campo di calcio durante la ricreazione: vuole formare un gruppo alpinistico che raduni dei giovani con la passione per la montagna, che per lui diventa così un mezzo per crescere con gli altri, imparare a conoscersi ed accettarsi, ed apprezzare la natura; non un fine per imporsi o competere.

Nel 1975 nasce il Gruppo Condor ispirato al grande rapace andino sinonimo di libertà, di grandi spazi, di montagne. L’attività principale del gruppo è rivolta all’arrampicata, proporzionando il livello delle imprese domenicali alla giovanissima età dei protagonisti. Nel corso degli anni comunque anche alcuni giovani Condor riusciranno ad esprimersi ad alto livello sulle Alpi: le aspirazioni al proprio miglioramento tecnico non venivano represse; si cercava solo di contenere l’eccessivo spirito competitivo.

Contemporaneamente alle ripetizioni degli itinerari classici in Grignetta ed in Medale,  Don Agostino individua un terreno di gioco del tutto inedito, dove trasmettere ai suoi ragazzi il gusto per la ricerca. A pochi chilometri da Lecco, in Valsassina, un complesso di piccole strutture rocciose ai lati della strada provinciale diventa quindi una vera e propria palestra “personalizzata”, dove i giovani Condor si fanno le ossa con le manovre di corda ed i trucchi del mestiere in un ambiente sicuro, aprendo insieme al Don, sempre rigorosamente dal basso, una lunghissima serie di vie nuove. Le pareti della Gran Placca, del Sasso di Introbio e della vicina Rocca di Baiedo, oltre al sovrastante Zucco dell’Angelone diventano ben presto una zona apprezzatissima anche da altri scalatori.

Anche il periodo in cui si collocano la nascita e le prime vicende verticali del Gruppo Condor è particolare: nei primi anni ’70 si assiste al radicale rinnovamento nella mentalità alpinistica, che genera una fase assai vivace e molto stimolante che coinvolge ed appassiona i giovani Condor (e lo stesso Don Agostino). Una specie di “sessantotto” dell’alpinismo dove vengono messi in discussione gli stereotipi dell’alpinismo classico. Per ognuno dei Condor quindi è successo più o meno così: “il Don” ha buttato l’esca, indicando una strada possibile, quindi ad un certo punto si è fatto da parte ad osservare, prendendo nel frattempo per mano qualcun altro più piccolo.

Questa è una piccola Biografia del “Don” pubblicata qualche anno fa sulla rivista del Cai “LoScarpone”.

Quanto ha influito la filosofia dei Condor sulla formazione dei Badgers? Io credo che senza l’esempio di Don Agostino il nostro scalcinato gruppo di squinternati non sarebbe lo stesso, forse non si sarebbe nemmeno nato. Oggi non ci si confronta più con gli stereotipi degll’alpinismo classico, piuttosto si cerca di porre freno alla stupidità, gretta, egoica ed opportunista, dell’alpinismo moderno. La filosofia di Don Agostino, nonostante abbia ormai oltre quarant’anni, profuma ancora di speranza, di amicizia, di libertà!

Il tasso, Badger in inglese, è un animale schivo e selvatico che vive in comunità familiari scavando la propria tana sotto terra. Lemmy, la nostra mascotte, abita l’angusta grotta alle spalle del pilastrello dei Corni: non ha il fascino del Condor Andino ma possiede tutta l’arcigna determinazione che il nostro piccolo gruppo ha ereditato dalle sue origini Speleo.

Venerdì Bruna ed io siamo saliti alla Rocca di Baiedo per ripetere “Solitudine” una delle più famose vie tracciate da Don Agostino con i Condor. Eccovi il racconto della prima salita così come è stato pubblicato sul “giornalino” dei Condor nel 1978:

“CONDOR E’ BELLO
Dopo la Via della Solitudine. Paolo, Danilo, Michele, Giovanni e Don in cerca di avventure. Domenica in Albis; tempo incerto! La Rocca di Baiedo si alza dai prati come un corpulento castello del quattrocento. Non è mai stata scalata e si capisce perchè… Roccia e giungla si sposano insieme e si distendono in alto in una enorme placca di 80 metri. La gamba non va bene ma non voglio deludere i ragazzi. Il camino iniziale è già stato da me attrezzato in precedenza, ma oggi è una buccia di banana. I quattro in basso si raccontano facezie e io mi sto dannando… spero solo che guardino il ‘mezzo barcaiolo’ assicurandomi a dovere. Traverso nella foresta e mi ricordo di aver promesso a Microbo questa salita… ma da qui ora non si scende più. Spero che Microbo mi capisca. La placca, finalmente”!Dopo pochi metri mi accorgo di essere solo… La solitudine del primo di cordata su un terreno vergine. Ebbrezza nel toccare questa bianca roccia incontaminata e rabbia perché nessuno ti ‘segue’ in questo tuo gioco pericolo. Dopo 35 metri annuncio il sesto grado e Paolo scatta come un cobra. Era ora. Porco cane, piove! Sotto di me c’è aria di rinuncia, mi sposto più a sinistra e pianto un cuneo alto. Beh! In caso di volo faccio un pendolo di quindici metri anziché una verticale di venti.Solitudine! A tu per tu con una roccia glabra e sorda. Per loro, sotto è scontato che passi, ma tu, Don, sei proprio sicuro? Non è incantevole la poltrona e quel disco di Rubinstein? Che ci stai a fare qui? E’ andata. Danilo e Michele si affilano le unghie, Paolo e Giovanni mi raggiungono! E adesso? Prendo una fessura, ma sul più bello, mi muore davanti a quaranta metri di roccia inchiodabile. Passo a sinistra con un semituffo in rovi antichi come i patriarchi e dopo una larga fessura in Dulfer eccomi di nuovo sul ‘liscio’: devo passare di li. E’ un traverso delicatissimo di dieci metri, mentre sento i ragazzi che ridono e parlottano di tutt’altro… Ora mi son fatto l’abitudine ad essere solo. E’ tutto facile, dopo. L’ultimo tiro, una rampa d’erba la faccio condurre ai miei due secondi. Io mi slego e arrivo in cima…
Nessuno! Mi vengono incontro dopo due minuti. Ci stringiamo la mano felici. Mi siedo stanco e loro due, allegri, se ne vanno a parlar fitto dieci metri più avanti.
– Dai! Venite qui.
– Certo, subito.
E’ proprio la “Via della Solitudine”, Don!
Non riesco mai ad abituarmi… Che sia ora che cominci?
– Ehi, Don. Guarda che zaino mi porto!
Non sono più solo. Era solo la nostalgia di un pomeriggio di primavera.”
Don Agostino Butturini

La roccia della Rocca di Baiedo è bellissima, generosa di appigli e di clessidre a cui assicurasi. A tratti però si trasfoma diventando una placca compatta che richiede di essere letta e compresa. Non l’avevo mai fatta e scoprila con Bruna, mia moglie, è stato un inaspettato ed appagante piacere.

La nostra giornata si è conclusa nel migliore dei modi. A casa nostra, la tana dei Badgers, si è tenuta la consueta “TassoConsulta“: la riunione del nostro gruppo, il mensile pretesto per far festa tutti insieme. Presenti all’appello ben tredici tassi su venti, oltre ad una quantità industriale di birra! Molto Bene!

Davide “Birillo” Valsecchi

«Inizia la TassoConsulta: chi ha il casco vota!»

Ragazzo Debole

Ragazzo Debole

L’altra settimana Ivan Guerini e Joseph Prima mi hanno letteralmente asfaltato. Hanno aperto ben tre nuove vie ai Corni ed io non sono minimamente riuscito a stargli dietro: zero, una prestazione assolutamente imbarazzante. Certo, non è pensabile confrontarsi loro, sono davvero davvero due straordinari fuori classe: Ivan è stato il primo italiano a superare in arrampicata libera il VII grado e Joseph basta osservarlo sulla roccia “nuda” per capire quale alieno sia. Partire in svantaggio per me non è un problema ma una frase di Joseph si è incuneata nella mente: «Birillo, eri forte il doppio quando abbiamo fatto la Panzeri lo scorso anno. Che è successo?»

Già, che è successo. All’epoca ero molto più allenato ed attivo mentre ora, dopo il Pizzo D’Eghen a Luglio, ho arrampicato davvero pochissimo. Forse allora ero anche più rilassato, ora invece sono tanti i pensieri che distraggono. Così ho cominciato a ragionare: io sono, ero e resterò una straordinaria schiappa, l’unica talento che possiedo è una scriteriata determinazione ed una schizzofrenica volontà. Sulla Panzeri o sul Pizzo d’Eghen ero pronto a dare battaglia tra le fiamme attingendo ad energie e risorse insospettate che ora mi sembrano assolutamente precluse.

Così, alla soglia dei 40, ho imparato qualcosa sulla mia arma segreta che ancora non avevo compreso:
la volontà non basta senza la giusta motivazione, il giusto scopo.

Non posso allenarmi, alzare il grado o fare quello che fanno tutti per migliorare, per padroneggiare il gesto. Non funziono così. A me non interessa il “come”, a me interessa il “perchè”. Per due anni ho arrampicato ai Corni perchè volevo raggiungere posti che mi sembravano inarrivabili, perchè volevo osservare le mie montagne da un punto di vista concesso solo a pochi. Fanculo il grado, la difficoltà e tutto il resto: la mia non era arrampicata, era avventura!

La sola cosa sensata da fare era ricominciare, ricominciare dalle basi. E le basi da queste parti hanno due nomi: Fasana e Dell’Oro. Ho alzato lo sguardo dalla finestra ed ho visto quello che avevo sotto il naso ormai da mesi: il Corno Rat. Può sembrarvi ridicolo ma non avevo mai arrampicato al Corno Rat sebbene spesso, partendo a piedi da Asso, sia venuto a percorrere la ferrata ( …la prima volta, sbagliando strada, come un babeo la feci in discesa al mese di luglio: un inferno!!). Ora mi è davanti ogni volta che esco di casa!

Quindi ho scritto a Mattia: “Ma se domenica facessimo la Dell’Oro al Corno Rat?”. Ovviamente domenica mattina eravamo all’attacco. Al primo tiro ero assolutamente pentito della mia scelta e la mia mente era quasi in black-out “Vedi come ti muovi male? Come sei instabile e lento nei movimenti? Ti rendi conto che sei pesante? Che se dovevi diventare bravo lo saresti già diventato e che ora sei vecchio? Non ti rendi conto che dovresti lasciar perdere tutta questa storia dell’arrampicare? Vai a camminare piuttosto, rassegnati…vai a far funghi con i pensionati!!”

Il mio corpo però iniziava a sciogliersi ed il brontolio della mia voce sembrava acquitarsi lasciando spazio ad una voce sconosciuta e solo immaginata: “istu Pierino, se che ghe la fem minga a salta fö e so minga me fem a turna indree”. Già, la leggenda di Darvino e Pierino Dell’Oro: io ero nel famoso diedro e più avanti mi attendeva la verticale placca che i due giovanissimi avevano superato con un eroico lancio della corda su una pianta.

Fanculo il grado, fanculo la tecnica, fanculo le anche che non seguono il peso, i piedi insicuri e le prese incerte che le dita non riescono a tenere. Quei due ragazzi negli anni ‘40 avevano superato e vinto l’ignoto, volevo vedere anche io quello che avevano visto loro: il resto era un dettaglio, un problema da risolvere come mille altri.

Il secondo tiro inizio a carburare. Mattia raddrizza la via evitando il terrazzino erboso e gustandosi roccia dritta e lavorata. Per me va bene, nemmeno ci faccio caso al traverso successivo: tanto ormai con i traversi ho l’abbonamento. Peggio del pendolo sull’Eghen non può essere… Il terzo tiro è scoppiettante, 100% Corni di Canzo! Mi ritrovo a penzoloni appeso ad un chiodo per un braccio: «Fanculo l’arrampicata libera! Qui la questione è non venire a basso! Darvino!!!!!!».

Passiamo ed arriviamo in sosta preparandoci a superare il famoso “cavo metallico” che sopperisce al mitico lancio della corda. In quel momento sotto di noi, da una via sportiva, emerge una ragazza che inizia a recuperare un sacco grigio ipertecnico della black diamond. Lei ed il suo ragazzo erano all’attacco con noi. Continuavano a parlare al cellulare con degli amici che, evidentemente, erano in Val di Mello in coda su Luna Nascente aspettando che le altre cordate più lente proseguissero: “Bhe, ma se riescono a farla in conserva perchè non superano?” aveva chiesto lei. In quel momento mi era venuto in mente che anche io e Mattia avevamo tirato Luna Nascente in conserva protetta, ma non era stata una cosa voluta: come due sfigati dei Corni di Canzo avevamo saltato involontariamente una sosta!! Tuttavia era chiaro che tra noi quelli fighi erano loro: “Amore, che facciamo? Ci scaldiamo su un 5c o su un 6a?”. Il mio umore era già affossato, quei due erano riusciti a seppellirlo prima ancora di toccare la roccia.

Ma ora loro erano sotto di noi ed io ero di nuovo carico e galvanizzato da Darvino e Pierino. Lei, visibilmente scocciata si lamentava “E’ un’arrampicata senza senso, che posto di m***a che hai scelto!” Io, 30 metri sopra, ero appeso al cavo metallico e cominciavo la mia traversata. Alzando lo sguardo mi ha visto e, ancora più sconcertata, è esplosa “Ma che c***o stanno facendo quei due?!”. Appeso nel vuoto mi è venuto da ghignare divertito: “Hey Pupa! Questa non è la Val di Mello, qui si balla una musica diversa: benvenuta ai Corni!”

Alla base di quella parete ero fermamente convinto che avrei abbandonato l’arrampicata. Prima di raggiungerne la fine ero nuovamente rapito: “Hey Mattia, guarda là che storia: secondo te si passa? Chissà cosa c’è dall’altra parte?” Già, quello che davvero serve è la giusta motivazione, al resto pensa la volontà!

Mentre noi eravamo sul Corno Rat, Joeseph era tornato alla Torre Tonda con un suo amico, Giuseppe “Pepott” Stanga. Nonostante il giorno prima fosse sul Monte Bianco in una via di misto con l’amico Corrado “Korra” Pesce, nonostante i vibranti 5 gradi che il vento trascinava giù delle Moregge, è riuscito ad aprire una nuova via! Un alieno!!

Milksop (Ragazzo debole), Torre Tonda – NoSpitZone – Corno Orientale. Difficoltà: VIII- UIAA. Materiale: solo friends fino al 0,75. Scopritori: Giuseppe (Joseph) Prina, Giuseppe (Pepot) Stanga. Data ascensione: 1 novembre 2015

Ivan “Oceano Irrazionale” Guerini, Joesph “Celeste Nostalgia” Prina, Mattia “Stellina” Ricci e Birillo “Cuori Infrangibili” Valsecchi: è un gran momento per essere schiappa ai Corni!!

No, non riusciremo ad essere come loro ma questo per due semplici motivi:

  • il primo è che noi siamo indigenti autoctoni figli del calcare dei Corni di Canzo (per di più del versante nord e riemersi dagli abissi speleo!).
  • Il secondo è che sono proprio loro ad averci insegnato come cercare la propria via, unica e spesso irripetibile.

Sono a Casa! Ritrovata la giusta motivazione questo ragazzo debole saprà stupire, di nuovo!

Davide “Birillo” Valsecchi

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