Year: 2017

CIMA-ASSO.it > 2017
Corni: Antivigilia 2017

Corni: Antivigilia 2017

«Purple haze, all in my brain. Lately things they don’t seem the same» All’inzio era un’avventura, ora è una tradizione e, come tutte le tradizioni, si inizia celebrando al bar! I Tassi fanno rendez vous alla “Taverna del Luf” a Valbrona: servono un paio di birre e del formaggio sardo per organizzare le squadre. Poi tutti su per Oneda e da qui fino al rifugio SEV. Pianezzo è un deserto fatto di tenebra e silenzio, la neve del versante Nord una lastra di ghiaccio su cui pattinare. Ma all’orizzonte la Crestina Osa è già illuminata, stessa cosa la Croce di Megna: è l’antivigilia e tutte le montagne iniziano a brillare nella notte. Noi siamo quelli dei Corni.

Il ghiaccio può essere un problema e quindi, visto che io – piacevolmente – ormai conto poco o nulla, chiamo i capitani a consiglio. Ci sono tre rappresentanti di tre diverse scuole d’alpinismo lombardo ed un membro del soccorso speleo: “Okay, io porto la batteria su per il caminetto. Sta a voi decidere se fare la ferrata o meno. Non ho idea se ci sia ghiaccio in cresta, tenete a mente che con voi avete due matricole che non l’hanno mai fatta di notte”. Un tempo dovevo ringhiare ordini, ora mi basta ascoltare le loro scelte. “Tranquillo: diamo un occhiata e decidiamo sul da farsi. Comunque ci vediamo in cima”. Sogghigno ed ammicco a Teo “Io però mi prendo lo Speleo… che da solo mi metto nei guai”. Lui se la ride ed aiuta la “Cottolz”, la matricola della mia squadra, ad infilarsi l’imbrago.

Il bosco è ghiacciato e scivoloso, ma il caminetto è pulito ed anche la cresta è libera: è la prima volta che Valentina viene in montagna con noi, avevamo preso tutte le precauzioni del caso ma è salita senza difficoltà. Attacco la batteria alle nostre “tamarre e cangianti luci a led” illuminando la Croce del Corno Occidentale. Poi, al riparo del vento, ci sdraiamo al riparo sotto la cresta, dove è possibile osservare l’uscita della ferrata.

La pianura è un oceano di luci a cui le montagne sembrano rispondere orgogliose. Cornizzolo, Megna, Moregallo, Corno Rat, Medale, Barro… lucine allineate salgono verso le cime penintenti. Noi siamo stravaccati nell’erba circondati dalle tenebre: quassù l’unica luce è la nostra.

Non fa particolarmente freddo e chiacchieriamo aspettando gli altri. Sono la “generazione delle origini”, la prima dei Tassi del Moregallo. Quando li ho conosciuti, anni fa proprio qui ai Corni, non avevano mai fatto una ferrata in vita loro nè sapevano fare un nodo di corda. Che strano viaggio abbiamo fatto insieme: ora sono pieni di “patacche” mentre io sono rimasto lo stesso strambo di sempre, ma siamo ancora qui, ai Corni, insieme. Abbastanza per rubare un sorriso compiaciuto nella notte.

Poi finalmente arrivano. “Birillo, i regalini dei tuoi amici brillano al buio” Sghignazza il primo stringendomi la mano. Rido divertito facendogli l’occhiolino “Pazienza amico mio, ci vuole pazienza in queste cose: la faccenda la chiudiamo alla luce del sole”. Volano pacche ed abbracci prima della consueta foto tutti insieme. Poi via, il gruppo scende giù per il caminetto mentre io e Brex ci attardiamo aiutando Valentina a scendere.

Un banale inconveniente rende comica la situazione. “L’ABC Teo! Mi sbagli l’ABC! Così gli altri penseranno che facciamo tardi perchè sono io quella imbranata!!” Scoppio a ridere per quella che è probabilmente la frase dell’anno mentre la giovane matricola si prende gioco con veemenza dei due veterani del gruppo! Benvenuta nei Tassi Cottolz!

Finalmente al bivacco della SEV ci trinceriamo dietro bottiglie, panettoni e fette di salame: ora è davvero natale!!

Due ore dopo, svuotate le bottiglie, la nostra brigata traballa, oscilla e barcolla affrontando al buio una “complicata” discesa. Io mi ritrovo disteso su lastra di ghiaccio infinita, aggrovigliato in cinquanta metri di corda, mentre inspiegabilmente cerco di avanzare nuotando a rana. Nel bosco luci che ridono e rotolano tra i rami cercando maldestramente di tagliare i tornanti ghiacciati. Chissà, forse questa ciurmaglia è la vergogna dell’Isola, può essere, ma di certo è il mio orgoglio. Buon Natale Tassi!

Davide “Birillo” Valsecchi

Un sentito ringraziamento alla Società Escursionisti Valmadrera che gestisce il rifugio è che ha realizzato il piccolo ma accogliente bivacco che anche quest’anno ci ha permesso di festeggiare. Grazie e tanti auguri!

SENZATRAPANO

SENZATRAPANO

Eroici Alpinismi Inutili: Io vivo ai piedi delle montagne che noi indigeni chiamiamo l’Isola Senza Nome. Sono le montagne strette tra i due rami del Lago di Como, ma potrebbero essere una qualunque tra le mille montagne poco importanti che sanno essere speciali per qualcuno. Un giorno due alpinisti, due arrampicatori italiani di fama mondiale, sono venuti sulla nostra montagna. Eravamo entusiasti! Ansiosi di scoprire quali meraviglie avrebbero saputo mostrarci! Ma tutte le nostre aspettative si infransero presto. Senza chiedere niente a nessuno si sono calati dall’alto, dal sentiero delle capre, e con il trapano hanno mitragliato una povera parete di 30 metri per 30 con un’asfaltata di 40 fix. Poi sui giornali hanno scritto che quella falesia, senza anima e costruita in tre giorni di cantiere, era un regalo per noi “offerto” dal “loro” sponsor. “Senza soldi pubblici permettiamo a persone di tutte le età di arrampicare”. Questo era il loro motto. Eravamo stupiti, increduli! Prima che ci “permettessero” di arrampicare, sulla nostra montagna c’era solo roccia e vuoto: tutto ciò di cui il nostro cuore aveva davvero bisogno. Ho provato a scrivere lettere di protesta, a chiedere un dialogo, ma l’unica risposta che ho ottenuto è stata quella da parte del loro avvocato.

Trapano, Pubblicità, Avvocati. La nostra visione della montagna era ed è fatta soprattutto di rispetto. Rispetto per la natura, per gli altri alpinisti, per la storia, per le generazioni future. Un rispetto che le difficoltà trasformano in solidarietà, in fratellanza. Un rispetto che, prima di cellulari ed elicotteri, era l’unica salvezza possibile. Vedere per essere visti, salutare per essere salutati, riconoscere per essere riconosciuti. Ora l’arrampicata va di moda, va alle Olimpiadi: forse perché ora gli arrampicatori non hanno più il coraggio di scalare l’Olimpo come titani, forse perché ora inseguono oro e argento anziché un posto accanto agli Dei.

All’improvviso mi sono sentito vecchio ed ho pensato alle future generazioni ed alle loro domande: “Dove eravate voi mentre tutto questo accadeva sulle nostre montagne?!”. Così ho deciso di fare qualcosa di assolutamente anacronistico: scrivere un libro. Già, in fretta e furia, perché in qualche polverosa soffitta restasse una traccia, un segno, una testimonianza delle piccole, disperate e disperse tribù che, ognuna sulle proprie insignificanti montagne, hanno provato forse inutilmente a resistere all’invasione delle “rock-star” con il trapano a batteria.

Davide Birillo Valsecchi
Nostromo dei Tassi del Moregallo

“SENZATRAPANO” è disponibile su Amazon.it sia in formato eBook che stampato in formato cartaceo tradizionale (copertina flessibile)

Leggende e racconti delle tribù ribelli, di coloro che si sono spinti nei territori d’avventura dell’Isola Senza Nome, le misteriose e severe montagne strette tra i due rami del lago di Como. Storie di alpinisti famosi e di giovani sconosciuti, di vita che scorre intensa scivolando tra il vuoto e la roccia. In questo libro sono raccolti i racconti di venti salite: ripetizioni eccellenti e nuove vie, tutte vissute inseguendo l’avventura nel rispetto dell’etica e della storia. 

Il Primo Ministro dei Tassi

Il Primo Ministro dei Tassi

L’altra sera, finalmente, TeoBrex è venuto a cena da noi e ci ha raccontato delle mille avventure di cui è protagonista in questo ultimo periodo. Storie che al momento giusto, in accordo con gli altri protagonisti coinvolti, saprà raccontarvi con il solito entusiasmo. Per ora posso solo dirvi che Teo sta facendo davvero molto e che sono davvero felice ed orgoglioso per lui.

Quella che vedete in alto è una foto ormai abbastanza famosa: è stata pubblicata su “Il Giorno” e mostra la nuova ed incredibile grotta scoperta al Pian del Tivano: “L’abisso dei Giganti”. La foto è stata scattata dal mitico Pierluigi “Pier” Gandola e quello al centro della foto è proprio TeoBrex durante le primissime fasi esplorative. Sul caschetto blue non si vede ma c’è con orgoglio la patacca dei Tassi, quella patacca che, ahimè, il più delle volte viene scambiata per una puzzola!!

I Tassi del Moregallo sono come i pirati, tra di loro vige una strana democrazia anarchica. Forse anche per questo non esiste un vero capo ma solo goliardici titoli gerarchici. TeoBrex, che ha la straordinaria capacità di lasciarsi condurre dall’entusiasmo, è infatti il “Primo Ministro”, colui che deve ispirare e guidare il consiglio dei Tassi. Io invece, che mi lascio trascinare dall’irruenza, sono il “Nostromo” e, come tale, per lo più conduco la nostra marmaglia all’arrembaggio!

Invidio, in modo positivo, anche un’altro aspetto del carattere di TeoBrex: la capacità di sussurrare agli abissi così come parlare alle stelle. Teo infatti ci ha raccontato di come, appollaiato con un’antenna artigianale sul tetto di casa, abbia contattato radiofonicamente Luca Parmitano, il primo astronauta italiano a compiere attività extra-veicolari, durante un passaggio d’orbita dell’ISS, la Stazione Spaziale Internazionale. Questo breve contatto radio, insieme all’attività speleo, gli ha poi permesso di incontrare di persona Parmitano a Roma. Motivo per cui oggi abbiamo l’autografo di un astronauta su una nostra patacca!

Invidio il suo entusiasmo perché lo porta fin nello spazio. La mia irruenza invece mi porta sempre più spesso a fare a “testate” con gente piuttosto terra-terra… ma infondo è giusto così, io sono il Nostromo: “non accettare l’inaccettabile” è parte dei miei compiti. Purtroppo tocca a Bruna sopportarmi (e a volte trattenermi!).

Fortunatamente, mentre sono fermo nel nido aspettando nasca la piccola Andrea, osservo con grande gioia e soddisfazione il piccolo gruppo di cui faccio parte: Bravi, Bravi, Bravi!

Davide “Birillo” Valsecchi

Aggiungo qui i ringraziamenti pubblicati sul web da Fabio Bollini in modo da testimoniare i nomi di coloro che stanno conducendo questa straordinaria esplorazione: «Vorrei approfittare per ringraziare ancora una volta il presidente Angelo Zardoni, senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile, e poi ancora Pamela Romano, Pierluigi Gandola, Serena Riganonti, Cesare Maspes, Paolo Ramò, Teo Brex, Emanuele Citterio, Mirco Capelli, Giusi Troiani, Maurizio Zagaglia, Francesco Invernizzi, Alberto Rinaldi, Giuliano Cella e Stefano Bellomo.»

Andrea è femmina

Andrea è femmina

Bruna è ormai al sesto mese e l’ecografia ha confermato quello che la saggezza popolare suggeriva già da tempo: Andrea è femmina. Confesso che un sorriso piuttosto compiaciuto è spuntato sull’angolo sinistro del mio viso quando la ginecologa ce lo ha detto: il mio primogenito sarà una valchiria figlia delle montagne e delle foreste, del deserto e dei mari del sud, della poesia e della danza.

Quando Andrea avrà vent’anni io ne avrò sessantadue, ma per quell’epoca sarà una versione “addestrata, riveduta e corretta” tanto di Birillo quanto di Bruna, il tutto in un giovane corpo di donna caricato con l’irruenza di famiglia. Al suo fianco i futuri cadetti ed i veterani dei Tassi del Moregallo, la sua temibile famiglia allargata. Al solo pensarci scoppio a ridere divertito. Quel giorno, per un istante, mi piacerebbe poter guardare il mondo attraverso i suoi occhi: il futuro è una promessa tutta da scoprire.

Andrea, aspetterò con pazienza, ma sappi che sono ansioso di incontrati: ci sarà parecchio da divertirsi insieme!!

Davide “Birillo” Valsecchi

L’incontro e la montagna

L’incontro e la montagna

(LucaPenna) Tempo fa Davide mi disse “hai fatto la tua prima uscita con il vecchio, devi scrive l’articolo!”, in effetti qualche settimana è passata… forse qualche mese, ma non importa il tempo è soggettivo, dipende dalle tue emozioni e da quanti pensieri “disturbanti” attraversano la tua routine e ti danno il senso del vivere, per cui semplicemente stasera è il tempo giusto.

Comunque, facciamo qualche premessa. Non ho mai scritto i miei pensieri o raccontato le mie esperienze, per cui abbiate pazienza se esprimo con la pochezza delle parole il treno in corsa del mio vissuto.

Conosco Davide da un’altra vita, recentemente ci siamo ritrovati a mangiare e bere da amici, in quell’occasione gli raccontai del mio “ravanare” su per la “direttissima” che porta in Grignetta e lui espresse un pensiero anche mio “ma perché cavolo sei uscito dal sentiero e ti sei messo a cercare una via tutta tua?”. Bella domanda, me l’ero fatta pure io, perché non era la prima volta che “ravanavo” e in altre occasioni il rischio preso fu ben maggiore, resta il fatto che il germe di un pensiero aveva preso forma, o meglio, l’universo aveva già colto un mio bisogno e si era messo in moto.

A distanza di qualche settimana, in occasione di una pizzata sempre trascinato dal Davide, conosco il “vecchio”; mi avevano parlato di lui in altre occasioni con reverenza e rispetto, come può parlare di un grande maestro qualcuno che pratica la stessa arte, ma io, nella mia assoluta ignoranza dell’arte specifica, vidi prima di tutto la persona e decisi che forse avevo trovato il maestro che avevo chiesto per ritornare ad arrampicare.

Crescere non è un processo inconscio, si cresce quando ci si mette in ascolto, quando si decide di cercare in un altro le risposte alle domande che non sappiamo porci e come sempre in un processo di crescita, l’allevio sceglie il maestro ma il maestro sceglie l’allievo.

Fatto stà che a distanza di qualche settimana propongo al “maestro” di fare con me un salto nel passato e di tornare a riscoprire sensazioni che avevo abbandonato circa vent’anni fa e lui semplicemente accetta.

Passo a prenderlo verso le 8 del mattino ed insieme saliamo ai Piani di Artavaggio, nel frattempo ascolto quest’uomo parlare e a “vederlo”, dopo aver letto in rete un po’ delle cose che ha scritto e che ha fatto, la domanda di cosa ci facessi io ad arrampicare assieme a lui per andare ad aprire “qualche via” si faceva sempre più insistente nella mia testa.

Ma, come ho imparato nella vita, nulla accade per caso, avevo chiesto all’universo e l’universo aveva risposto, per cui non dovevo far altro che seguire la corrente dell’energia e fidarmi del maestro. Certo ogni tanto il sovrapporsi fra l’uomo e il maestro, come un’immagine sdoppiata, mi creava qualche problema di messa a fuoco e una vocina dentro di me ogni tanto sussurrava “ma che ca…o stai facendo? Manco lo conosci e gli affidi la tua vita?”. Ma, come ho detto prima, nella vita ho imparato che quello che sento a pelle, ha molto più valore di quello che riesco a capire con i limiti della mia mente razionale, per cui scendiamo dalla funivia e ci incamminiamo verso la nostra meta.

Poco prima di arrivare alla base della via che il maestro ha scelto, lungo il sentiero, mi parla di alcune vie sulle montagne di fronte a noi, di come alcune non siano mai state ripetute, intanto, in quel silenzio e nell’assoluta mancanza di rumori io penso che magari su qualcuna di quelle, “qualcuno” ci ha anche lasciato la pelle; il maestro si blocca davanti a me, mi guarda e mi dice che con la coda dell’occhio ha visto una figura in piedi sul ciglio del sentiero, 10 passi dietro di noi, un po’ più in alto.

Entrambi sappiamo che non c’è assolutamente nessuno ma la presenza la sento, come un soffio di aria gelata sulla nuca, i capelli, i pochi rimasti, sono già ritti sulla nuca; parliamo trenta secondi di quello che lui ha visto e io ho sentito, con la stessa naturalezza di due escursionisti che hanno visto una marmotta, si gira e riprende la salita. Ok, lasciamo stare la parte razionale e seguiamo solo l’istinto, ma la tentazione di ascoltare la vocina è forte. Arriviamo alla base della parete ed incominciamo a prepararci.

Tira fuori tutta l’attrezzatura, corda, martello, forse qualche chiodo, diverse fettucce e numerosi friend, che vedevo per la prima volta; qualcosa incominciavo ad intuire che “l’arrampicare” del maestro era qualcosa di diverso da quello che avevo fatto qualche secolo prima.

Assicuro la corda al mio imbrago, mi passa il suo secchiello e mi spiega come fargli sicura, dopo di ché incomincia a salire semplicemente su per la parete con attenzione, eleganza e sicurezza. La vocina è sempre li, ma la parte razionale mi dice che “se ti ha scelto come compagno di cordata e affida a te la sua vita, con l’esperienza che ha, probabilmente devi smetterla di farti mille domande”. Intanto il maestro è salito di qualche metro, facendo scendere a valle tutto quello che di “piccolo ed instabile” trova sul suo cammino, mentre mi avvisa di fare attenzione a questo e a quello quando salgo perché non ci si può affidare.

Io ascolto con un orecchio, mentre nell’altro la stupida vocina continua a sbattere come un moscone sui vetri. Piano, piano, con qualche friend qui e là, la corda sparisce fra le rocce e davanti a lei il maestro. Ogni tanto mi arriva la sua voce e diverse pietre con qualche buon consiglio che, naturalmente, non riesco assolutamente a riferire al contesto, perché non vedo assolutamente nulla di dove sia passato negli ultimi 10/15 metri.

“Molla tutto che recupero”, dopo poco la corda sale fino a quando si tende sul mio imbrago, raccolgo tutta la mia roba, metto le scarpette che, nuove e dure fanno abbastanza male, e incomincio a salire. Non c’è una via da seguire, perché non ho memorizzato nessun passaggio, solo un friend si vede qualche metro più sopra che mi indica un punto obbligato di passaggio, per il resto devo interpretare la montagna. Salgo su abbastanza velocemente, ogni tanto la corda ha un mezzo metro di lasco ma non mi preoccupo, un po’ perché in ogni caso è comunque una sicurezza che nelle ultime miei “ravanate” non possedevo, dall’altra sono concentrato a “sentire” la roccia, a fondermi con essa, ma, soprattutto, a non tirarmela addosso! Adesso incomincio ad intuire gli avvertimenti che il maestro mi gridava mentre io ero distratto dal moscone. Recupero il primo friend e continuo a salire mentre la memoria di qualcosa che era assopito dentro di me piano piano si risveglia. Forse il maestro mi grida qualcosa dall’alto ma non lo sento perché sono concentrato a sentire il mio corpo che, negli ultimi 20 anni è cambiato e la memoria dei movimenti non si adatta a quella del mio nuovo corpo. Arrivo ad un primo terrazzino e mi tiro su, la corda sparisce diversi metri più su, del maestro neanche l’ombra, provo a salire seguendo la corda che si infila dentro una spaccatura della roccia, mi elevo di forse un metro ed in posizione precaria intuisco che è impossibile salire di li a meno di essere un bambino di sei anni, tendo i muscoli per tenere la posizione, completamente dimentico che, volendo, c’è una corda a cui potrei appendermi mentre studio come passare.

Mi viene in mente qualcosa che mi aveva gridato a proposito di passare a destra di una fenditura su per un pilastrino e di fare attenzione a qualcosa di pericoloso. Guardo in basso per capire se riesco a spostare i piedi più a sinistra e mi accorgo che al fondo della corda vicino al nodo c’è un friend, probabilmente si è staccato mentre io salivo e la corda è saltata dentro la spaccatura. Mi pareva impossibile che fosse passato di li…anche se…, mi sposto a sinistra della fessura e incomincio a salire per poi accorgermi che la corda, incastrata nella spaccatura, mi impedisce di salire, in una posa precaria sposto i piedi per scaricare meglio il peso, con la sinistra mi tengo ad una presa sopra mentre con la destra cerco disperatamente di far saltare la corda mentre sento la gravità ricordarmi di far presto, ecco libera, ricomincio a salire, i battiti del cuore sono un po’ più accelerati di quello che imporrebbe il solo sforzo fisico, mi dimentico che sono in sicurezza e incomincio a voler uscire dal pilastro ed arrivare su. Ecco un po’ più in su e sono fuori, allungo la sinistra e tiro, forse mezzo secondo di resistenza e poi sento che la roccia viene verso di me, in qualche modo recupero l’equilibrio scaricando il peso sugli altri tre appoggi e blocco la caduta, lentamente rimetto a posto i circa venti kg di roccia tagliente e associo “il fai attenzione alla lama di roccia precaria” che il maestro aveva gridato con l’oggetto che ho in mano. Trovo un altro appiglio e arrivo sopra il pilastrino e intravedo il maestro che fa sicura con qualche fettuccia alla roccia. Lo raggiungo, qualche battuta, mi dice che sono salito su velocissimo e che confermavo quello che aveva intuito. Mah, la vocina è lì ma l’istinto mi ricorda che quello è il maestro per cui devi seguirlo.

Facciamo altri due tiri, in alcuni punti abbastanza semplici in altri la lotta con la gravità e l’istinto di sopravvivenza si fanno sentire. Siamo quasi in cima, c’è un ultimo tetto da cui uscire per raggiungere il maestro, che è qualche metro più sopra, sento la sua voce, mi avvisa che all’uscita del tetto ci sono delle grosse rocce instabili. Salgo circospetto e la trovo, una grossa roccia sulla sinistra, la corda va a destra ma devo uscire da li. Provo a tirare delicatamente con la sinistra e sento che se spingo in una certa direzione verso il basso tiene, se tiro più verso l’esterno e a destra si stacca tutto. Bilancio il carico, sono quasi fuori, quando il maestro mi dice ”fermati li che ti faccio una foto mentre spunti fuori”, scarico il peso sulle gambe, trovo l’equilibrio per la foto, mi rilasso cerco di sorridere e penso “dai sono fuori”.

“Ok vieni su”, lo vedo è lì su, praticamente in cima alla montagna che fa sicura con una fettuccia alla roccia, tiro con la sinistra “ca…o” tiro non spingo, la roccia si stacca, è grossa e io incomincio a cadere sotto il suo peso e sono sotto. Nella mia vita ho imparato che quando qualcosa di grosso ti colpisce invece che opporgli resistenza appoggiati e sfrutta la sua forza per cambiare direzione, la mia mente istintivamente reagisce a quello che ha imparato, mi appoggio alla roccia che scende mentre cado verso destra allontanando le gambe dal masso che cade e mi graffia superficialmente sulla caviglia sinistra che non è abbastanza veloce; faccio un pendolo per qualche metro verso destra e verso il basso, poi la corda si tende, appena riesco a fermarmi cerco di ritrovare aderenza. “Tutto bene?”, trovo nuovi appigli ed arrivo su dandomi dello scemo per aver perso la concentrazione ed essermi fatto infilare un gancio sinistro sotto la guardia.

Arrivo dal maestro che mi guarda un po’ preoccupato, io mi scuso dell’errore, lui sanguina dal ginocchio sinistro che ha sbattuto sulla roccia per frenare la mia caduta.

Mi è partita la punta del mignolo sinistro, solo un pezzettino ma sanguina un po’, la caviglia è coperta dalla calza che fa un po’ da benda. Il maestro mi passa il cerotto da arrampicata e con un fazzoletto faccio una fasciatura mostruosa al dito mentre togliamo l’attrezzatura e si torna al sentiero per scendere a bere una birra prima di riprendere la funivia.

Oggi ho aperto la mia prima via, “arrampicando” la montagna con il maestro, non “seguendo una via su artificiale”, come ho poi avuto modo di metabolizzare la sera.

Questo il breve resoconto del mio duplice “incontro”, la prima di molte altre avventure con il maestro che ogni volta mi hanno lasciato dentro e “fuori” numerosi segni ma ne parliamo una latra volta.

Il Penna.

Nota del Birillo: io so quanto il vecchiaccio detesti essere chiamato “maestro”. Sebbene “stuzzicarlo” e “contraddirlo” sia parte integrante della nostra amicizia, questa volta preferisco appuntare una precisazione. Conosco Luca da oltre vent’anni, siamo cresciuti insieme nell’ambito del Karate-do tradizionale, allievi del Maestro Dario Rainone e Maestro Roberto Vedovati, a loro volta allievi del Maestro Corbella, del Maestro Roberto Fassi e del Maestro Hiroshi Shirai. Oggi Luca è un insegnante di Karate-do, tanto per gli adulti quanto per i bambini. La parola Maestro, “Sensei”, ha quindi un grande valore per noi nonostante il suo significato sia semplice: “persona nata prima di un’altra”. Per noi diventare “Maestro” significa avere la capacità di raccogliere le proprie esperienze e quelle di coloro che sono venuti prima per offrirle in dono a coloro che saranno. Qualcosa di semplice ma anche terribilmente difficile perchè significa essere responsabili della catena del tempo. In quest’ottica l’uso che ha fatto Luca della parola Maestro è assolutamente corretto. La parola “Do” significa “via” e, come ci hanno insegnato i nostri maestri, non importa che attività pratichi: Karate, pallavolo o tennis, in ogni cosa è possibile trovare la “via”. Noi siamo semplicemente fortunati: la nostra via ci conduce attraverso le montagne…

San Martino – Ingresso Willy

San Martino – Ingresso Willy

TeoBrex – Domenica 3 Dicembre 2017. Quasi tutti puntuali al solito bar di Cuveglio (VA), presenti al primo appello: Ferruccio, Franz, Veronica, Karin, Io, Luca, Cristina, Romano e Sheila. Ci raggiungeranno poi Aldino e Stevic. Una squadra entrerà dall’ingresso principale della grotta San Martino mentre l’altra entrerà da Ingresso Willy per ultimare dei lavori di messa in sicurezza. Tutta la valle è surgelata e la temperatura è sottozero, ci cambiamo in fretta ed entro veloce ad armare il primo pozzo. Ce la prendiamo con comodo, sacche leggere e grandi risate, una gran bella compagnia di randagi. Arrivati con calma al ramo a cui abbiamo dedicato tempo, sangue, sudore, bestemmie e fatiche ci fermiamo a mangiare qualcosa, le donne della spedizione andranno dirette al fondo passando per la maledetta strettoia della chiocciola. Raggruppatasi la squadra ci raggiungono Franz e Luca, il figlio di Willy (a cui abbiamo dedicato il nuovo ingresso) e ci avviamo uno alla volta nel meandro che collega la San Martino con il suo nuovo Ingresso Willy. Ad attenderci fuori al gelo ci sono Aldino e Stevic in compagnia della moglie di Willy. Si, perché questa attraversata goliardica è stata organizzata per ricordare Willy che qualche mese fa ci ha lasciato. Abbiamo posato una targa in sua memoria ben visibile poco prima di infilarsi strisciando nel budello. Momenti toccanti e di condivisione. Fer, Karin, Io, Romano e Sheila ci avviamo a piedi verso la vetta di San Martino tagliando per i boschi, tutti si cambiano ed io rientro al volo a disarmare il primo pozzo. La giornata si concluderà in pizzeria a far casino come sempre. Abbiamo registrato alcuni video e scattato foto durante l’attraversata che serviranno come materiale per una serata che organizzeremo a Febbraio dove presenteremo le nostre esplorazioni, il rilievo, le ricerche e le future prospettive di esplorazione. Le domeniche che non si dimenticano.

Sempre Scomodi!

Matteo “TeoBrex” Bressan

Un ultimo giro

Un ultimo giro

Il pioniere dell’arrampicata ai Corni fu Eugenio Fasana all’inizio del ‘900. Pioniere della tutela ambientale, negli anni 60, fu invece Giorgio Achermann, un giornalista di origine svizzera che per primo introdusse sul nostro territorio tali tematiche. Mia nonna, Berta Valsecchi, era molto amica del signor Achermann e tutti gli anni mi regalava, fin da quando avevo 5 anni, l’abbonamento annuale alla rivista “Natura e civiltà”, di cui Achermann era direttore, e la tessera del “Gruppo Naturalistico della Brianza”, di cui era presidente. Non erano tematiche per un bambino ma mia nonna ci teneva che imparassi a leggere e scrivere come le persone adulte che si occupano di cose importanti. Nella val Ravella esiste un sentiero geologico dedicato ad Achermann e dobbiamo soprattutto al suo esempio se oggi esiste un Ente a tutela e salvaguardia dei Corni di Canzo.

E’ strano, ho viaggiato a lungo in un sacco di posti nel mondo, ma più invecchio e più mi sembrano importanti soprattutto le cose che ho imparato da bambino. L’anno scorso, leggendo un libro – ”Il Trono Remoto” – ho scoperto che Achermann era anche un alpinista e fu l’ideatore di una vera e propria spedizione al Sasso Manduino nel 1965, effettuano in 5 giorni la seconda salita della parete Sud-Est. Achermann organizzò la spedizione mentre la salita fu compiuta da due giovani: Guido dell’Oro e Gino Mora.

Gino Mora in seguito divenne guida alpina e direttore della scuola di alpinismo, uno dei primi ad insegnarmi ad arrampicare. Ricordo una salita insieme su granito bagnato, sotto la pioggia, fradicio ed infreddolito: un ricordo vivido e terribile della mia adolescenza. Quel giorno mi disse che ero “bravo”, ma in effetti non sono stati poi molti a dirmelo di nuovo in seguito.

Questa settimana è stata difficile per me, faticosa, densa di ansie. Senza rendermene conto credo di aver chiuso un cerchio: i Corni, Fasana, Achermann, una visione ormai forse anacronistica e superata del mondo e non solo dell’arrampicata. Quelli esperti di cose tibetane direbbero forse che ho compiuto una “Kora”: un pellegrinaggio, tutto interiore, che mi ha portato lontano per poi riportarmi nello stesso punto in cui tutto ha avuto inizio. Forse irrisolto così come tutto è iniziato: mai vincitore, mai sconfitto.

Sono in viaggio da tanto tempo. Ormai sono più di dieci anni che “Cima”, questo blog, mi trascina nelle avventure più incredibili, spesso rischiose. Come “Forrest Gump” mi sento un po’ stanco, ho bisogno di riposare. Questo, per la prima volta, è quindi un saluto: mi concedo una pausa, lascio le parole e mi abbandono al silenzio. Altri, se lo vorranno, potranno raccontare qui le loro avventure.

Grazie a tutti voi, a presto.

Davide “Brillo” Valsecchi

Il Ritorno di Mazinga

Il Ritorno di Mazinga

Non è mia abitudine recensire film, specie se sono cartoni animati, ma per “Mazinga Z – Infinity” non posso che fare un’eccezione. Con Bruna e Keko, entrambi di generazioni completamente ignare della storia dei primi “Grandi Robot”, sono diventato io il “fratellino minore” accompagnato al cinema dagli adulti. Sarò chiaro: il film è costruito appositamente per annichilire fino alle lacrime i quarantenni.

Non è un film per bambini, nè un film per adulti: è un film per coloro che accettano il compromesso di abbandonarsi ad una “illusione” del loro passato, ad una favola che inconsapevolmente li ha accompagnati lungo tutta una vita. Il racconto ha tutte le “chiavi” per aprire le porte al bambino interiore, alla “piccola persona” che eravate un tempo. Vince facile, più di quanto ci si aspetti: fa leva su ricordi che nemmeno si pensava più di avere, eppure sono ancora lì, vividi e presenti in modo stupefacente. Spalanca un baule dimenticato di emozioni, speranze ed illusioni, rovesciandone il contenuto ai piedi del cinismo e del raziocinio con cui la vita vi ha reso ciò che siete oggi. Uno specchio rotto, incrinato, che mostra l’immagine sbiadita di ciò che eravamo, quasi un fantasma da un mondo parallelo.

I bambini degli anni 70 e 80 sono invecchiati e lo stesso è accaduto ai loro eroi. Come noi, ora anche loro non vivono più in un mondo “semplice”, fatto di mostri terribili ed eroismi estremi, ma in una realtà complessa, fatta di politica, di economia, di difficoltà ed opportunità quotidiane. Non sono più eroi, salvatori del pianeta: il mondo in cui vivono, ad eccezione della pubblicità, non ha più bisogno di eroi.

Poi, prevedibile come sempre, all’improvviso riappare la grande minaccia, il grande nemico dell’umanità intera: il Dottor Inferno. Ma l’umanità non è più quella della nostra fanciullezza, quella protesa verso lo spazio, la pace ed il futuro. Ora è divisa, guidata da politici spesso in disaccordo, il Dottor Inferno è bollato come “terrorista” e contro di lui si schierano gli eserciti ed i telegiornali. Il cinismo e la disillusione del Dottor Inferno vibrano pericolosamente in sintonia con il cinismo e la disillusione del quarantenne: “Se premendo un bottone poteste distruggere e ricreare l’universo intero?”

Bisogna accettare tutti i compromessi narrativi, le esagerazioni giapponesi, l’imbarazzante eroismo dell’inossidabile “BossRobot”, barattare razionalità con emozione, scienza con fantasia: ma se ci riuscite seguirete gli eroi di allora nel loro viaggio per diventare gli eroi di oggi. Il bambino di allora mostrerà al quarantenne un’altruismo ed una speranzosa visione positiva del mondo ormai sepolta e quasi perduta.

Vi ritroverete davanti dei madornali “pipponi” sull’etica, sul coraggio, sul senso della vita e della giustizia come non ne sentivate da anni. Eppure, nonostante la loro apparente banalità, ricorderete come tutto questo sia stato parte della vostra crescita, degli ideali che hanno formato la vostra acerba morale prima di lasciarvi “corrompere” dalla realtà.

Il pilota del Mazinga stretto nella dolorosa morsa dei nemici urla senza esitazione: “Bastardi, non vi permetterò di sconfiggermi!”. Incredibile. Qual è l’ultima volta che avete sognato di battervi con tale abnegazione per un bene superiore? Quand’è l’ultima volta che avete sognato di rendere il mondo un luogo migliore? Eppure un tempo anche noi eravamo così: prima di invecchiare, prima di diventare cupi “anti-eroi”, prima di accettare senza riserve il ruolo del piccolo “Dottor Inferno”.

Il finale, la conclusione, è inverosimile così come lo è una storia di robot giganti che salvano il mondo da una minaccia demoniaca, ma il turbine di colori ed emozioni ormai vi è tutto intorno. Il bambino interiore stringe la mano al vecchio bastardo, allo sfregiato e disilluso pirata dello spazio che ha perso la sua astronave, e sorridendo gli dice: “Puoi ancora essere figo, felice come lo ero io: ma in modo nuovo…” E lì, proprio in quel momento lì, gli occhi vi si appannano ed il naso inizia a colare.

Davide “Birillo” Valsecchi

Ps: i combattimenti sono una figata pazzesca!

Theme: Overlay by Kaira