Year: 2018

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TPR – Crucifx in Lecco

TPR – Crucifx in Lecco

In questo periodo vorrei essere invisibile. Invisibile e muto, soprattutto per quanto riguarda la montagna, l’alpinismo o l’arrampicata. Sono fuori forma, demotivato, stravolto dalle delusioni, dalle liti e dai lutti. Vorrei essere un “osservatore”, esterno ed ininfluente, ma ahimè la mia natura mi impedisce di stare a guardare. Acciacchi ed ammaccature dell’anima sono lì a testimoniarlo. Ma è difficile essere malinconico quando hai sposato una bergamasca: ho cercato di accampare scuse, di declinare, ma è stata irremovibile: “Fuori di casa! Vai a vedere qualcosa di bello!”. A Lecco, per le celebrazioni dei 40 anni del Gruppo Gamma, c’è una serata con Tom Randall al Cinema Teatro Palladium. In effetti non ho ben chiaro chi sia, l’unico riferimento a mia disposizione è un commento del Guerra – “Ma neanche Randall!!!” – pronunciato fuori campo nel leggendario filmato manifesto “Asino affamato non teme bastone” degli AsenPark. Certo, può sembrare una referenza da poco, ma non lo è: quella clip è un capolavoro! Così sono salito fino alla frazione di Castello, da solo, perchè la maggior parte degli Tassi era presa in chissà cosa. Solo, demotivato, in mezzo agli scalatori lecchesi: il bello di questi eventi è la possibilità di incontrare gente, di condividere, ma come viverli questi eventi quando non hai voglia di parlare con nessuno? Ma ho i capelli corti, sono senza barba, vestito in modo anonimo. Cambio postura, mi faccio silenzioso, morbido ma rapido, sgattaiolo “un-social” dentro il teatro scivolando tra una moltitudine di facce note. Chissà, forse sono davvero diventato invisibile perchè nessuno mi riconosce, neppure gli amici. In parte mi sento in colpa, quasi sleale, ma in effetti è quasi divertente essere serenamente una nullità in incognito …anziché quello fastidioso del blog ignorante che bozza con tutti. Solo la ragazza alla cassa mi riconosce e saluta. Biglietto alla mano mi dileguo tra le tende dell’ingresso e tra le file di poltroncine scelgo quella meno probabile, in un angolo tra il muro e la balaustra. Mi siedo a testa bassa aspettando che le luci si spengano: forse ce l’ho fatta! Poi volto lo sguardo e, accanto a me appoggiato al muro, c’è un ragazzo con una bella faccia ed i capelli corti. Sorrido, mi sono piazzato proprio accanto a Tom Randall: il destino non mi lascia in pace. Lo saluto con un cenno della mano, un sorriso reciproco, ma nulla più. Quando mi giro nuovamente al suo fianco c’è anche Luca Calvi, il “traduttor cortese”. Io e lui non ci siamo mai incontrati di persona, ma da tempo mi riprometto di andare in città a conoscerlo. Quando ho saputo che avrebbe condotto la serata volevo scrivergli, ma poi avevo desistito: immaginavo che accompagnando Randall non ci sarebbe stata la giusta occasione di trovarsi. Invece era lì, a mezzo metro da me aspettando che la gente entrasse in sala. Così non ho potuto fare altro che raddrizzare le spalle, sfilarmi il “mantello dell’invisibilità” ed alzarmi in piedi: “Ciao Luca!”. Così, neanche a farlo apposta, mi sono ritrovato a chiacchierare con Luca Calvi e Tom Randall. Pasticcio con il “diesel” del mio inglese agitando le mani mentre Luca rattoppa le parole che mi sfuggono. Luca mi presenta come “uno dei più esperti delle piccole montagne al di là del lago”. Io vorrei protestare tanto per “esperto” quanto per “piccole” ma Luca conclude la sua frase con “soprattutto grande appassionato di roccia di merda”: rido, arrendendomi alla verità. Racconto loro che sono diventato papà da poco, che per questo sono praticamente “fermo” da mesi e che ho messo su quasi 15kg. Curiosamente Tom ci racconta che qualcosa di simile è accaduto anche a lui con i suoi due figli. “Ma si riesce a tornare in forma?” Lui sorride rincuorandomi “Sì, con un po’ di impegno ma ci si riesce!”. La sala comincia a riempirsi, non voglio correre il rischio di monopolizzarli: così regalo loro un adesivo dei Tassi e li saluto. Torno a sedere indossando nuovamente i panni dell’osservatore. Mi aspettavo una processione ma solo un “grande vecchio” si fa avanti accompagnato dal prevosto: ”Questo è Rusconi, dei Cinque di Valmadrera…”. Mi godo lo spettacolo di questo incontro storico. Poi passa il presidente dei Gamma ed il Panz… vorrei salutarlo, fargli complimenti per il Cerro Torre… ma non riesco: lo conosco troppo poco e sono troppo debole per affrontare la parte “difficile” di quella storia. Lascio che il tempo scorra, perchè a volte quando non si sa cosa fare conviene semplicemente non fare niente …forse. I Protagonisti salgono sul palco e partono gli applausi. Poi una nota di servizio “C’è una panda bianca, i primi numeri di targa sono N5, che deve essere assolutamente spostata” Nella sala tutti si guardano ma nessuno si muove. Poi un noto gigante biondo con gli occhiali si alza con le spalle curve e penitente si avvia verso l’ingresso mentre parte un applauso divertito. Quel ragazzone mi è sempre simpatico. L’attenzione torna sul palco dove il Presidente dei Gamma, con un gesto semplice ma carico di significato, consegna a Luca Calvi una targa come ringraziamento per l’aiuto e la competenza offerta ai Gamma in tutti questi anni. Luca, sorpreso ma onorato, ringrazia i presenti rimarcando come consideri il territorio lecchese una delle principali “Università d’alpinismo” al mondo. Sono davvero contento per Luca ed il suo discorso mi strappa un pensiero buffo. “Bene Birillo, con un’Università intera a disposizione tu ti sei iscritto per un dottorato alla facoltà ‘Rovi, Zecche e Roccia di Merda’. Come sempre ottima scelta! Bravo!”. Le luci si spengono e parte un racconto a due voci e due lingue che spazia dalla claustrofobica cantina di Tom alle incredibile architetture rocciose dello Utah. Osservo la bellezza di quel deserto: “Utah era il nomignolo dispregiativo con cui i surfisti prendeva in giro Keanu Reeves in Point Break… c’è una certa ironia in tutto questo”. Tom racconta di un episodio in cui, per necessità, è stato costretto a slegarsi per uscire dal tiro. Racconta questo aspetto, e lo rimarca, perché suggerisce a tutti di “sperimentare” il Free Solo soprattutto per padroneggiare il giusto allenamento mentale quando questa “strategia” diventa l’unica possibile per tirarsi fuori dai guai. Rimarca poi come questo suo “progetto” sia il coronamento di dieci anni di intensi allenamenti chiuso “in cantina”, di come ci stia “lavorando” da tre anni e che, se mai sarà possibile concluderlo, richiederà probabilmente altri tre anni. Lo ascolto apprezzando il valore che riesce ad attribuire al tempo, alla dedizione, alla pazienza ed alla rinuncia. Poi mi sorprende e per un secondo mi spiazza “Racconto tutto questo sopratutto perchè questa mia storia possa ispirarvi, possa aiutarvi nella vostra ricerca di qualcosa egualmente importante per la vostra vita”. Mi sfugge un sorriso consolante che risuona armonico con l’eco di qualcosa che avevo scritto tempo fa “Tu devi pensare a coloro che si infileranno tra i rovi, in qualche merdoso angolo sperduto dell’Isola Senza Nome, solo per tentare un tuo vecchio monotiro trad.… Tra vent’anni, trovandoti qui al bar, verranno speranzosi e titubanti a raccontarti di averla ripetuta, ringraziandoti emozionati per l’esempio e l’ispirazione che hai saputo regalare loro.“ . Forse sono uno stupido, ma le mie idee non sono poi tanto insensate. Chissà, forse se sapessi arrampicare anziché appendermi ai ciuffi d’erba tutto sarebbe diverso… o forse no. Le luci si accendono, i ranghi si sciolgono. Nessuno fa domande pubbliche a Tom, ma a piccoli gruppetti tutti iniziano ad avvicinarsi ansiosi di chiedere e sapere. Ora per tutti è tempo di festa, per me il momento di sparire. Conto i passi nell’atrio e sono tra le ombre dei vicoli: “Birillo? Birillo non è mai stato qui: non è mai esistito. E’ una bugia!”. Traffico con i cavi ed i fusibili, accendendo la mia Subaru scassata. Apparteneva a mia madre e a fine mese saranno dieci o undici anni che lei non è più qui. Io, Clark Kent e Bruce Wayne non siamo poi tanto bravi nel gestire i traumi emotivi: forse dovrei sbarazzarmi di questo rottame… o forse dovrei restaurarlo una volta per tutte. A volte sono presente, aggrappato nel tessuto stesso della realtà. Altre volte sono sospeso, aleggio in un vuoto confuso… Chissà, speriamo sia l’età. Lo stereo si anima mentre il solito cd, incastrato da circa cinque anni, inizia a suonare: “Life won’t wait”. No, la vita non aspetta. Forse anche per questo Andrea è nata prima del tempo: si era stancata di vedere suo padre aspettare? Silenziosamente ringrazio mia Moglie ed i Gamma per avermi spinto fuori casa. “Non c’è limite all’efficienza di un uomo con la giusta dedizione” curiosamente, attraverso cammini diametralmente opposti, siamo arrivati alla stessa conclusioneGrazie Tom: sì, sei stato di grande ispirazione. Sul Calcare dell’Isola non abbiamo fessure come le tue, i friend camminano ed i nut spaccano la roccia: ma non è questa la grande ispirazione che hai saputo regalare. Grazie Gamma: queste serate sono gioielli preziosi.

Davide “Birillo” Valsecchi

Tom Randall, Luca Calvi, Giovanni Spada (Presidente Gruppo Gamma)

Per chi comprende l’inglese questo è un bel video di Randall

Prime Avventure!

Prime Avventure!

“Ossitocina”. L’ossitocina è un ormone presente in entrambi i sessi, semplicemente le donne ne hanno in media un 30% in più degli uomini. A cosa serve? A favorire la contrazione dell’utero durante il parto e la produzione di latte materno. Questo rende piuttosto curioso sia anche prodotta negli uomini. Ma forse non tanto visto che, ad esempio, è la responsabile durante l’orgasmo del rilascio della dopamina, l’ormone della felicità. Certo, al corso pre-parto come al solito ho fatto il buffone, ho raccontato a tutti che come mio Padre, e suo Padre prima di lui, anche io mi sarei limitato a bere Campari al bar durante il parto. Le tradizioni vanno rispettate! In realtà, come spesso accade, ho fatto diligentemente i miei “compiti a casa” e studiato il complesso “gioco di fasi ormonali” che è il travaglio. Gli ormoni sono piuttosto interessanti: sono messaggeri chimici, capaci di “mettere in movimento” processi decisamente complessi. Cosa mi ha insegnato Andrea venendo al mondo? Che siamo il risultato di un numero infinito di esperimenti evolutivi che, attraverso fallimenti e successi, ci hanno condotto ad essere ciò che siamo. Noi siamo il frutto dei successi, i fallimenti si sono estinti. La nostra razionalità è solo una minima parte di ciò che siamo, molte delle nostre scelte, dei nostri comportamenti, sono il frutto di un’intelligenza più profonda, chimica e meccanica, fatta di automatismi basati su un’assoluta conoscenza del nostro reale funzionamento. Tanto interno quanto esterno, perché questa intelligenza è soprattutto basata su un adattamento ambientale. Il reparto di Terapia Intensiva Prenatale mi ha invece insegnato che la nostra razionalità, comprendendo anche solo in parte questi processi profondi, può fare tutta la differenza del mondo. E questa differenza, mentre vi scrivo sfruttando un microprocessore in silicio connesso ad una rete globale, sonnecchia serena al sole succhiando contenta il suo ciuccio in silicone. Cosa davvero è avvenuto? E’ stato possibile trasformare potenziali fallimenti (era podalica e prematura) in potenziali successi (scoreggia già come suo padre!). Ciò è stato possibile solo attraverso un’evoluzione tecnica, sociale e culturale che su questo pianeta appartiene solo al genere umano: 5000 anni contro qualche miliardo. Incredibile. A volte credo che la nostra “intelligenza”, la nostra struttura sociale, sia semplicemente parte della naturale evoluzione e che, come tale, non sia un percorso di cui siamo pienamente consapevoli (costellato quindi prevalentemente da tentativi e fallimenti a fronte di piccoli ma fondamentali successi). Affascinante, perché questo trasforma gli individui in elementi di un progetto più grande e comune. Anni fa una psicologa, piuttosto carina in effetti, mi sottopose ad un test di intelligenza stabilendo il mio IQ come 133. All’epoca rimasi piuttosto deluso: Albert Einstein aveva 162 ed il generale Norman Schwarzkopf 168 (io ero sotto di un buon 20%!! Niente invasione lampo dell’Iraq per Birillo!!). Poi mi consolai perché, nonostante avessi risposto ai quesiti soprattutto “giggioneggiando” con la mia esaminatrice, avevo raggiunto un punteggio superiore alla media italiana. Oggi essere sopra la media non mi consola affatto, anzi, la quantità di cose che sfuggono alla mia comprensione mi fa solo sentire più stupido: “Birillo, hai tecnicamente gli strumenti ma non sai usarli e combini solo casini!!” A volte faccio scelte apparentemente irrazionali che, con grande stupore, si rivelano assolutamente azzeccate in uno scenario più ampio. La “bestia” ha quasi sempre ragione, e questo a volte mi spaventa perché mette in discussione il mio reale libero arbitrio. Quanto mi appartengono le mie scelte? Quanto è importante che davvero mi appartengono? Ma, come vi ho detto, mi sento piuttosto stupido perché non ho le risposte giusta per questi quesiti. Comunque sia… tutta questa “filippica” per una semplice riflessione: la piccola Andrea a volte si nutre al seno a volte è necessario utilizzare il tira-latte ed il biberon; Bruna nei giorni scorsi era preoccupata, a volte tanto da piangere, perché aveva la sensazione che il latte materno le stesse calando. Effettivamente ne produceva sempre meno. Io non ero molto preoccupato, oggi c’è una grande varietà di latte artificiale (ovviamente meno della varietà del cibo per cani e gatti disponibile in un qualsiasi supermercato). Il latte artificiale ovviamente costa abbastanza caro e questo, ad esempio, avrebbe comportato qualche adeguamento nelle mie scelte economiche e professionali (la nostra cultura è spesso più spietata e selettiva di quanto lo sia Darwin). Il primo effetto pratico è stato l’acuirsi di quell’opprimente dolore al fianco sinistro, appena sotto le costole. Dicono che l’intestino sia una specie di secondo cervello, un organo con capacità sensoriali e senzienti ancora non completamente comprese. “Cosa ti dice la pancia?” è la domanda che curiosamente mi pone sempre mia moglie quando sono pensieroso. Così a Pasquetta, dopo una cassa ghiacciata colma di cubetti e birre, ho riconfigurato tutte le mie priorità e, senza rendermene conto, ho attivato una sconfinata serie di trasformazioni che, ad effetto cascata, hanno stravolto lo scenario. All’improvviso mi sono ritrovato a spingere la carrozzina (prestata da mia sorella) in una magnifica giornata di sole primaverile: il monte Barro, il muro di Sormano, Spessola. La scelta più irrazionale sembra essere stata la migliore: mia figlia ride, mia moglie è felice, produce latte come una latteria, il dolore al fianco si è attenuato. Cosa mi ha insegnato tutto questo? Che ho bisogno di una carrozzina più robusta, con ruote più grandi ed ammortizzate, se voglio “esplorare” con Andrea strade nuove!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Quando tua figlia ha 30 giorni di vita ed avrebbe dovuto nascere solo tra 20… ma tu sei il nostromo e la nanerottola si spara con il passeggino il “Muro di Sormano” lasciando a bocca aperta i turisti indiani con la bicicletta da corsa: Cose da Tassi…

Mister Mojo Risin’

Mister Mojo Risin’

Fletcher: «Esattamente!! Parker era un ragazzo giovane, abbastanza bravo al sax. In una sessione di taglio fa un casino e Jones quasi lo decapita lanciandogli un piatto. E Charlie ride andando fuori scena. Quella notte però, andando a dormire, piange e si dispera. Ma la mattina dopo, che cosa fa? Fa pratica. Pratica e pratica con un unico obiettivo in mente: non essere deriso di nuovo. E un anno dopo, torna a Reno e sale su quel palco, e suona il miglior fottuto assolo il mondo abbia mai sentito. Quindi, immaginate se Jones avesse solo detto: “… Beh, va bene, Charlie andava bene. Buon lavoro” e poi Charlie avesse detto a se stesso: “Beh, merda, ho fatto un buon lavoro.” Fine della storia. Nessun Bird. Questo, per me, è una tragedia assoluta. Ma questo è solo ciò che il mondo vuole ora. La gente poi si stupisce perchè il Jazz stia morendo.» Andrew: «Ma c’è una linea, un limite? Forse, se ti spingi troppo oltre, rischi di scoraggiare il prossimo Charlie Parker dal diventare un Charlie Parker?» Fletcher: «No, amico, no. Perché il prossimo Charlie Parker non si scoraggerebbe mai!!»

Alpinismo sì o no

Alpinismo sì o no

Bruna gira per casa con le tette al vento: gonfie e primitive mammelle cariche di latte che, all’aria, cercano sollievo dopo essere state avidamente addentate dalla piccola Andrea. I caloriferi, spenti per oltre due anni, sono ora ben accesi ed io, manco fossimo ai tropici, me ne sto sdraiato in mutande sul divano con la nanerottola in braccio: a buffetti sul sedere cerco di farla eruttare in sorprendenti e roboanti rutti. La osservo mentre dorme, la osservo immobile per ore. A suo modo è un piccolo mondo ed osservandola mi perdo: osservo una galassia di mondi possibili, osservo la vita. Ogni tanto, quando i gatti si fanno ruffiani e si aggirano guardinghi tra i cuscini, distolgo un istante lo sguardo verso un regalo appoggiato sul tavolino. Già, qualche giorno fa TeoBrex mi ha portato una copia di un libro molto speciale, stampato in edizione limitata e numerata: lui ha la copia numero 49, io la numero 50. Il libro si intitola “Alpinismo sì o no” ed è l’ultima pubblicazione di Giovanni Rossi, alpinista di grandissima esperienza, scrittore ed emerito Presidente del Club Alpino Accademico Italiano. Incidentalmente, qualche tempo fa, si era interessato ad alcuni miei scritti e, soprattutto grazie ad Ivan, io avevo scoperto i suoi libri e le sue numerosissime pubblicazioni. Così allungo una mano, mentre con l’altra tengo la nanerottola, e sfoglio nuovamente quel piccolo libro tanto prezioso. Poche pagine, una quarantina, ma la capacità di sintesi di Giovanni è straordinaria e le sue idee, simili a quelle nate spontaneamente ma immature nella mia testa, mi trascinano altrove consolando con esperienza e logica i miei dubbi e le mie incertezze. Ne sfoglio le pagine, ancora alla ricerca di quelle frasi che mi erano parse capaci di fissare con straordinaria chiarezza una questione spinosa.  «Gli interessi economici e l’influenza dei mass media hanno favorito sia le deformazioni sia le aggressioni piccole o grandi, individuali o collettive, alla natura delle montagne. Come nella metafora termodinamica del corpo in un termostato, il “sistema alpinismo” sembra tendere irreversibilmente all’equilibrio con la società di massa e la sua cultura» Il libro è pieno di frasi eleganti, di riferimenti azzeccati, di schegge di storia alpinistica: non ho l’esperienza per scrivere come lui. Eppure, fin dall’incipit, ho la sensazione di aver intuito qualcosa, di aver “guardato” nella direzione giusta. Forse non ho compreso, forse sono irruente ed impreciso, ma tentenno, avanzando incerto, in una direzione che pare essere la stessa dei più saggi. «L’uso invalso del trapano ha ridotto tutte le pareti di bella roccia, la roccia che invita alla scalate ma anche quella apparentemente non scalabile, a un intrico di itinerari, disseminandole di infissi con effetto deturpante. Il fenomeno è rilevato e documentato senza alcun disagio nelle pubblicazioni ufficiali dei club alpini, ormai principalmente intese a blandire le masse (che sono l’antitesi del club). L’alpinista vero e proprio vive in una crisi di cultura dimenticata (o guardata con sospetto come elitaria) e soffre di una perdita di identità (un legame storico ormai spezzato).» La nanerottola sbadiglia e sorride. Io, sospeso tra i sogni di una neonata e le riflessioni di un saggio ed anziano alpinista, mi domando quale sia il mio ruolo. Una voce sussurra: “Nessuno. Non hai nessun ruolo perché sei nessuno. Niente. Sei solo un brocco litigioso ed arrogante dell’Isola Senza Nome”. E quella voce ha perfettamente ragione. Ma un’altra voce sussurra: “Tu sei il numero 50: questa è la tua responsabilità”. Ed anche questa voce ha ragione. La mamma della nanerottola, dopo aver indossato nuovamente un reggiseno, passa accanto al divano e si riprende la piccola. Attendo un istante, poi mi alzo e mi siedo al computer iniziando a trascrivere le frasi di Giovanni che mi hanno più colpito: le trascrivo perché, parola dopo parola, possano attecchire nella mia mente. Per curiosità apro internet e cerco una fotografia di Giovanni, ma quello che trovo è un’amara notizia: Giovanni Rossi è morto questa mattina, il 28 Marzo del 2018. La notizia è pubblicata su “Lo Scarpone”: «Ci ha lasciato Giovanni Rossi, Past President del Club alpino accademico italiano. In carica dal 1991 al 2000, si prodigò molto per la tutela dell’ambiente alpinistico. Sotto la sua presidenza il CAAI diede un contributo essenziale alla preparazione e allo svolgimento del Convegno di Courmayeur su “L’alta montagna e il conflitto di interessi”, che si concluse con l’approvazione delle “Tavole della Montagna” (1995), e successivamente alla loro ratifica e divulgazione (Congresso CAI di Pesaro, 1997). Nel 1998 l’assemblea generale (al Passo della Presolana) nominò Ninì Pietrasanta socio ad honorem del CAAI e approvò a larga maggioranza un documento per la limitazione dell’uso delle protezioni fisse in montagna. Giovanni Rossi si dedicò inoltre anche alla scrittura, diventando tra gli autori più rinomati di guide delle Alpi Retiche insieme con Aldo Bonacossa.». Mi appoggio allo schienale della poltrona guardando il soffitto. Ripenso alla piccola Andrea, ad una vita che nasce. Penso a Giovanni, un lungo ed intenso cammino che si conclude. Penso a me, eternamente smarrito, con in mano la copia di un sapere che rischia di andare perduto. Ripenso all’attimo, appena trascorso sul divano, quando quel desiderio di salvare quei pensieri ha vinto la mia pigrizia. Ancora ignaro di quanto forse più profonda fosse quel intuizione incerta. Grazie Giovanni per avermi donato uno dei tuoi libri: saprò essere all’altezza del numero che mi è stato dato. Butta un’occhio a questo sciocco quando lo vedrai appeso a qualche ciuffo d’erba a picco sul lago. Buon viaggio.

Davide “Birillo” Valsecchi

ProletariaMente

ProletariaMente

Questa faccenda della nascita è decisamente curiosa. La piccola Andrea, venendo al mondo in anticipo sulla tabella di marcia, è riuscita a scombussolare non poco i piani di tutti. Fortunatamente, nonostante il trambusto, non è successo niente di particolarmente grave o pericoloso. Anzi, l’esperienza che ne è derivata sembra essere decisamente importante e formativa nella vita di questo nuovo “trio”. Io non mi sentivo così “trascinato dalla corrente” da quella volta in cui, con Enzo, sono stato inghiottito dalla presa della diga di Sant’Anna: allo stesso modo tengo la testa fuori dall’acqua, tengo d’occhio i miei compagni d’avventura, scalcio e spingo la mia povera canoa, come sempre ribaltata, cercando di guadagnare la riva prima che ci inghiottiscano le turbine. Una sensazione strana: sono perennemente “acceso”, presente, efficiente come solo in rare e straordinarie occasioni è avvenuto. Solo ora, dopo più di 20 giorni, inizio a perdere colpi (…o forse non mi rendo conto di essere già fuori giri mangiando il metallo). Credo che qualcosa di simile possa valere anche per Bruna, ma non posso esserne certo: nell’ultimo mese abbiamo “corso e spinto”, abbiamo vissuto separati cercando di rubare gli attimi, senza poter mai discutere con calma di ciò che stava accadendo. Non abbiamo ancora avuto un vero prezioso momento di quiete. Ma infondo è sempre stato così: come coppia non ho idea quale sia il nostro valore, ma come squadra siamo “pericoloso materiale bellico”. A dire il vero anche la nanerottola sembra essersi ben inserita nel team: brucia le tappe, ignora le previsioni, sorride birbante mostrando un’indole dolce ma interessantemente determinata. Guardo indietro: la nostra storia ha avuto inizio nel Reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Manzoni di Lecco. Bruna era in una stanza, inchiodata ad un letto, con la pancia aperta e ricucita. Io, invece, davanti ad una porta attendendo per più di un’ora che si aprisse. Poi mi hanno fatto entrare, mi hanno mostrato la procedura, rigorosamente con il cronometro, per lavare le mani fino al gomito. Poi una seconda porta si aperta e mi sono trovato dentro… Lo scenario è disorientante, perchè i bambini sono avvolti in sarcofagi di cristallo e nella stanza vibrano suoni e rumori di macchine. “I bambini non nascono, vengono coltivati” recitava la famosa scena di Matrix. Medici ed infermieri ti guidano, ti portano da lei, aprono due piccoli sportelli sul lato del sarcofago e finalmente puoi infilare la mano tra i tubi ed i cavetti che la avvolgono. Finalmente puoi raggiungerla. E poi, quando la raggiungi, quando la tocchi per la prima volta, accade qualcosa di davvero strano: lei ti afferra con le sue piccole dita …ed il mondo esplode, tutto intorno, in un lampo verde di cui siete l’epicentro. Lei diviene tua figlia e tu suo padre. La mia magia, in quell’istante, è andata assolutamente fuori controllo. Qualcosa di simile è successo solo un’altra volta nel mio passato. Accadde quando mio fratello aveva 7 o 8 anni, ed io ne avevo quasi 20. Era precipitato dalle scale per oltre quattro metri. Io cercavo di trattenerlo a terra cercando di comprendere l’entità dei danni, di comprendere lo stato della sua colonna vertebrale. Anni in ambulanza, cercavo di attuare al meglio tutti i protocolli da soccorritore provando ad immobilizzarlo. Lui però, piangendo terrorizzato, riuscì a divincolarsi e mi abbracciò. Io, completamente impotente, mi arresi a quell’abbraccio e per un istante diventammo una cosa sola. Anche quella volta percepii un lampo, ma era bianco, non si dilatava ma sembrava contrarre ogni cosa in quel momento, in quello spazio. L’istante successivo la “bestia” era libera e pianificava inesorabile l’evacuazione verso l’ospedale. All’epoca ero giovane e fortunatamente mio fratello se la cavò in qualche settimana senza che ci fosse bisogno di operarlo d’urgenza alla testa. Ma forse la vità è così: si fa strana con gli strani. Non so dirvi cosa siano questi “lampi”, sono qualcosa che i miei sensi hanno percepito senza riuscire a contenere, qualcosa che è al di fuori della loro portata e che quindi viene tradotto, rielaborato, astratto attraverso similitudini accettabili. Tuttavia sono reali. Reali ed importanti se riescono a trascendere i limiti sensoriali raggiungendo la consapevolezza con tanta forza. Ma di certo quel momento è stato complesso, rapido ed intenso mentre il tempo scorreva congelato e scandito dai “bip” dei monitor. Per lo sciamano dell’Isola ritrovarsi con una bimba in quel mondo di macchine è stato davvero disorientante: ero un animale con gli occhi aperti e la mente in corsa, un primitivo rapito all’interno di un’astronave aliena. La Terapia Intensiva è un luogo concettualmente spaventoso, ma paradossalmente un luogo di una bellezza ed un’intensità straordinaria. Attorno a me, nella penombra di quel limbo intriso e governato dalla quiete, c’erano soprattutto donne. Alcune giovani, altre veterane: tutte “scienziate”, animate da una sorprendente competenza ed umanità. Le osservavo attorno a mia figlia: la piccola era una femmina, allevata ed accudita da vestali della conoscenza, ancelle e sacerdotesse di un mondo futuro. La mia magia, la magia dell’uomo, si fondeva con la loro, il sapere femminile, ed insieme davano la possibilità alla piccola di esistere, di vivere in un mondo in cui aveva scelto di lanciarsi prima del tempo. Senza di loro io non sarei stato abbastanza. Poi Bruna, sua madre, è riuscita a raggiungerci: con sforzo e determinazione ha preso il suo posto accanto alla piccola, stringendo con lei un legame “fisico”, totalmente diverso dal mio. I giorni hanno iniziato a trascorrere, tutto si è attenuato senza perdere di intensità. La TIN è davvero un posto strano, capace di attivare dinamiche per me sorprendenti. I genitori, spesso precipitati nel momento, vengono accolti, “addestrati”, resi operativi e “schierati”. Chi più, chi meno, tutti si attivano e stringono tra loro una specie di innata ed empatica collaborazione: non può essere amicizia, ma nel momento di comune difficoltà si forma un legame, una solidarietà che abbaglia in un mondo spesso fatto di egoismi. La piccola stanzetta, messa a disposizione dei genitori e dotata di cucina, diviene uno spazio vivo: il focolare di una famiglia allargata dove non esistono nomi se non “mamma di” o “papà di”. Nella TIN regna il sorriso, comunque, nonostante tutto, sempre: è affascinante. Comprendi lo straordinario valore di quel “limbo” e di chi lo presidia quando lo lasci, quando finalmente ne esci e precipiti come tutti al “Nido”: nel luogo dove normalmente arrivano i bambini appena nati. Il Nido è il pandemonio, il caos …la vita. Marmocchi che urlano, biberon che girano, gente che strilla, patelli sporchi che vengono lanciati nel secchio. Sei nel mondo reale, circondato da quei petulanti e fastidiosi genitori (e dai loro parenti) che hai cercato di evitare per tutta la vita. All’improvviso riappaiono le classi sociali, le etnie, le competizioni, le rivalità, i confronti, le piccole sleatà. Le madri si trascinano, esauste e spocchiose, come se dopo il parto avessero vinto le olimpiadi: la maggior parte di loro schiavizza scortese il marito. “Osti Bruna… tu non prendere quei vizi: non ti azzardare a dirmi una cosa del genere con quel tono…” Ma io e la bergamasca abbiamo ballato tra le incertezze per venti giorni, difficile ora cadere in certi errori: in modo curioso ciò che ci è successo ci ha formato e messo alla prova come genitori. Se la nostra storia fosse andata diversamente oggi saremmo persone diverse. Ora Andrea sta per fare il suo primo viaggio verso casa. Una bimba nata prematura che fa il suo ingresso in una casa quasi abbandonata a sè stessa da un mese: niente era pronto, noi non eravamo pronti, ma questo mi ha mostrato ciò che davvero serve, ciò che davvero è indispensabile. Osservo il passato con occhio attento cercando di leggere i segni del futuro. Credo che ora, finalmente, dormirò: ventiquattro, forse quarantotto ore. Non so. Finalmente dormirò, e poco importa se sarà a blocchi di tre ore. Truppa, zaini in spalla: andiamo a casa!

Davide “Birillo” Valsecchi

La nanerottola è davvero bellina. Io non me ne intendo ma chi ne capisce, vedendola, l’ha definita una “bambolina sorridente”. Le abbiamo fatto molte belle foto, ma non credo le pubblicherò qui: c’è una piccola trasformazione in atto nella mia mente, per ora dovrete fidarvi del mio giudizio. Sì, sono decisamente stanco al momento, ma avevo voglia di scrivere, di provare a fare ordine tra i pensieri =P

Il pericolo di un lavoro senza senso

Il pericolo di un lavoro senza senso

Ad ogni modo, quindi abbiamo Horus e poi c’è il tizio sulla destra: Seth. Lui è il precursore della rappresentazione cristiana di Satana, infatti il ​​nome Satana sembra essere una trasformazione del nome Seth. In realtà Seth è il dio delle possibilità totalitarie, perché nella mitologia egiziana rappresenta il fratello, il fratello malvagio, del re legittimo. Colui che sta sempre complottando per rovesciarlo: Horus è quindi il suo nemico naturale. Cosa significa? Ciò che rappresenta è davvero importante: nella mia pratica clinica ho spesso persone che sono bloccate nel mezzo di una burocrazia assolutamente idiota. Posso darvene un’ esempio, un esempio che adoro. Uno dei miei clienti, che lavorava per una grande azienda sensibile ai Mormoni, è quasi impazzita per la “political correctness” che aveva infettato l’organizzazione. Per questo mi ha inviato 32 scambi e-mail che erano circolati in azienda sull’uso della parola “flipchart” (lavagna a fogli mobili, ndr). Non so se qualcuno di voi abbia mai sentito delle polemiche sulla “flipchart”, ma è stato qualcosa di piuttosto caotico. Quello che è accaduto è che qualcuno … mmm, sapete cos’è una flipchart? Un lavagna a fogli mobili, usata nelle riunioni… beh, si scopre ipoteticamente che “flipchart” è un termine dispregiativo per i filippini. Quindi hanno ritenuto che utilizzare la parola “flipchart” in una frase non fosse più accettabile perché potenzialmente offensiva per i filippini. Io scommetto che sia necessario passare al setaccio su tutto il pianeta per trovare un filippino a cui importi davvero della questione “flipchart”. E qualora quella persona esistesse avrebbe probabilmente molti problemi ben peggiori. Comunque ci sono stati 32 scambi di email, estremamente seri, su quale terminologia utilizzare al posto di “flipchart”. Ecco, ora sapete come quelle persone impegnano il tempo invece di cercare di farsi una vita o realizzare qualcosa di utile. Ovviamente questa storia la stava facendo impazzire, completamente. Pensate che hanno reso parte della politica aziendale l’uso della parola “flipchart” come inappropriato. Non ricordo poi come diavolo abbiano deciso di chiamarli… chissà. Ma il motivo per cui ti sto raccontando questa storia è che molti di voi si ritroveranno invischiati nella burocrazia. Nel bene e nel male è una delle cose che ti succederanno: qualcuno ti chiederà di fare cose stupide e ridicole. Il fatto che ti chiedono di fare cose stupide e ridicole porterà a tre cose: la prima è che distorcerà il tuo modo di essere, tanto che fingerai di essere d’accordo. La seconda è che ti demotiverà, perché comincerai a chiederti perché devi essere schiavo di questo lavoro, incastrato da idioti con regole stupide. La terza è che ti renderà risentito ed irritato, metterà anche a repentaglio la tua motivazione e renderà la tua vita miserabile. Quindi viene spontaneo chiedersi cosa dovresti fare al riguardo: la risposta è che dovresti obiettare il prima possibile! Perché prima di tutto scoprirai che se lo fai, se ti opponi a una stupidità radicale quando emerge, fai in modo che le persone diventino consapevoli del fatto che ciò che stanno facendo è radicalmente stupido, e di solito si tirano indietro …e così non ti tortureranno a morte. Certo, devi correre un rischio: “oh no, cosa succede se mi lamento di questo?”. Ma sai, questa è un’altra di quelle situazioni in cui sei dannato se lo fai e sei dannato se non lo fai. Quindi, se ti lamenti, questo causerà certamente qualche problema, sebbene di solito causi meno problemi di quanto penseresti. Perché le persone non sono generalmente molto coraggiose e se le si affronta con una certa forza, quando fanno qualcosa di assolutamente stupido, di solito si tirano indietro, perché non sanno cosa fare quando vengono sfidati. Ma in ogni caso non dovrai sopportare questa cosa per il resto della tua vita. Perché in tutti i tipi di entità burocratiche, corporazioni, istituzioni governative, organizzazioni senza scopo di lucro, qualsiasi cosa che sia al di sopra di una certa dimensione – perché non importa se è governativa o privata, è tutta la stessa sanguinosa follia quando diventa troppo grande – è che tutte tendono verso strutture totalitarie. Fa parte del loro pericolo innato associato con l’organizzazione sociale. Quindi si potrebbe osservare come per mantenere viva e dinamica l’impresa di cui si fa parte e si debba mantenere anche il comportamento di una persona ragionevole. Chi ha un orientamento adeguato deve impegnarsi in questo: la risposta corretta è non fare cose che si sanno essere stupide. Alzarsi e dire “Guarda che è stupido: non lo farò” e se ti chiedono perché allora puoi rispondere “A) penso che sia stupido B) se lo faccio diventerò irritato e risentito. Diminuirà le mie motivazioni, quindi non lo farò”. E se poi ti fanno pressioni troppo forti è probabilmente giunto il momento di trovarsi un altro lavoro. E questa potrebbe essere la cosa migliore che ti sia mai capitata, perché se la struttura in cui ti trovi va in quella direzione, e non puoi fermarla, ti conviene uscire da lì e trovare qualcos’altro. Non è così difficile trovare un lavoro quando hai già un lavoro: questa è un’altra cosa da tenere a mente. Quando lavori, soprattutto nel mondo di oggi dove il lavoro è relativamente incerto, dovresti sempre avere una via di fuga pianificata. E deve essere sempre attiva: perché se non hai una via di fuga e non puoi andartene non puoi dire di no, e se non puoi dire di no non puoi contrattare, e se non riesci a contrattare sei uno schiavo. Forse è sempre stato così, ma è qualcosa a cui devi davvero prestare attenzione. Perchè se il tuo modo di essere si oppone a qualcuno, a qualcosa che qualcuno ti sta costringendo a fare, forse hai ragione, forse non dovresti farlo. Molte persone finiscono per vivere una vita insignificante. E questo non è nemmeno un buon termine perché non esiste una vita senza significato, perché uno dei significati della vita è sofferenza. Non c’è nessun dannato modo per evitarlo. Quindi non avrai una vita senza significato, avrai semplicemente una vita che è solo sofferenza …e non te lo consiglio perché questo ti renderà una creatura miserabile. Più ti deformi attorno a te stesso più diventerai vendicativo. Quindi sì, queste cose sono davvero importanti. Sono davvero importanti.

Jordan Peterson
(Traduzione Davide “Birillo” Valsecchi)

Utilizzo le clip del Professor Jordan Peterson per esercitarmi nel tradurre e trascrivere dialoghi dall’inglese all’italiano. Trovo questa attività doppiamente interessante, soprattutto perchè mi permette di confrontarmi con amici e collaboratori su argomenti solo in apparenza banali, superando una barriera linguistica spesso tutta italiana.

Esempio Archetipico

Esempio Archetipico

[Traduzione intervento YouTube di Jordan Peterson, psicologo clinico canadese, critico culturale e professore di psicologia all’Università di Toronto] Il nemico è esternalizzato, così come lo sono Batman ed il Joker. Il Joker è davvero una figura capace di incarnare il male caotico. Il Joker di Heath Ledger è uno dei migliori, raffigura il personaggio archetipico in modo completo: un avversario così straordinario che nemmeno desidera vincere. Comprendere avversari che vogliono vincere è possibile, ma comprenderne uno che desidera solo che tutti gli altri perdano è davvero difficile. Questa è la parte che ha reso il film così sorprendente e memorabile. La loro interpretazioni sono talmente convincenti che ci troviamo davanti fondamentalmente una storia basata sul confronto tra due personaggi: l’eroe ed il suo avversario. Qualcosa che può essere compreso simultaneamente su livelli diversi. Ecco perché i personaggi archetipici sono elementi fondamentali della nostra struttura cognitiva. In un processo cognitivo la prima cosa che vogliamo veramente sapere non è “cosa è cosa” ma “come comportarci”. Siamo creature mobili, non siamo seduti su una roccia filtrando acqua di mare attraverso le branchie, dobbiamo andare là fuori e confrontarci con il mondo, per questo dobbiamo sapere come farlo. Sapere come fare e come non fare. Per questo cerchiamo buoni esempi da imitare e cattivi esempi da evitare. Noi non vogliamo un piccolo buon esempio, un esempio parziale, noi cerchiamo un buon esempio che sia talmente “concentrato” da essere un eccellente esempio. Allo stesso modo vogliamo un cattivo esempio che sia un eccellente cattivo esempio. Il buon esempio sarà un personaggio in cui si fondono tutti gli aspetti positivi delle persone buone, il cattivo esempio sarà un amalgama di tutti gli aspetti negativi delle persone cattive. Più i personaggi sapranno essere “puri” nella propria essenza più la storia avrà valore come archetipo del bene contro il male. Potresti non credere nel “buono contro cattivo”, ma non importa realmente quello in cui credi quando guardi un film, perché tu lo guardi e lo devi per forza guardare come se ci credessi. Questa, direi, è una rivendicazione esistenziale. Approposito: non importa ciò che tu dici di credere, conta il modo in cui ti comporti in funzione di ciò che credi. Se davvero vuoi sapere in cosa credi non devi chiedertelo, devi osservare il modo in cui agisci e dedurre da questa tua osservazione ciò in cui davvero credi. Quindi se ritieni di non credere nel archetipico confronto tra bene e male perchè allora guardi storie come per esempio Star Wars? Come Harry Potter? Sono tutte storie archetipiche dove il bene si scontra con il male. Facciamo però un passo avanti. Immagina che abbiamo vissuto in gruppi familiari, chissà per quanto tempo …diciamo tre milioni di anni. Solo per amor di discussione diciamo che abbiamo vissuto in gruppi tribali molto più a lungo di quanto tu possa immaginare. Un gruppo tribale è qualcosa che potrebbe estendersi nel passato ancor prima degli scimpanzé. Stiamo vivendo in un una gerarchia di dominanza da molto prima dei gruppi tribali. Tuttavia possiamo immaginare di essere un gruppo familiare fin da quando siamo diventati estremamente dipendenti come infanti, da quando abbiamo sviluppato un cervello sempre più grande. Non possiamo segnare una linea nel tempo, un momento preciso, perchè il nostro cervello è diventato via via più grande per un periodo di tempo abbastanza lungo. Diciamo milioni di anni. Sempre in questo periodo di tempo si è formato il tuo apparato cognitivo, il tuo apparato percettivo, il tuo apparato emozionale. Ovviamente ciò è avvenuto nell’ambiente naturale e per questo siamo portati a pesare questo ambiente immaginando la foresta. Ma l’ambiente naturale per i primati non è solo la foresta, in qualche modo, prima di tutto, noi vivevamo nella foresta con altri primati come noi. Quindi il nostro ambiente naturale era formato sì dalla foresta ma sopratutto dalle altre persone. Così possiamo delineare le categorie fondamentali di queste “altre persone”. Innanzitutto la madre. Questa è la più importante, perché la probabilità di avere una madre è del 100%  …anche se perdi la tua madre biologica al momento della nascita, se qualcuno non ricopre il ruolo archetipico della madre semplicemente non sopravviverai. Questo non significa solo provvedere al cibo, all’acqua e al riparo perché se tutto ciò che fornisci ad un bambino è cibo e acqua e riparo semplicemente muore. Devi raccoglierli, devi toccarli, devi dondolarli avanti e indietro, devi comunicare con loro. Se non gli dai attenzione fisica i loro sistemi nervosi si spengono e muoiono. Questo è parte del motivo per cui negli orfanotrofi dell’Europa orientale, prima della caduta del muro, il tasso di mortalità negli orfanotrofi, soprattutto in luoghi come la Romania, era terribilmente alto. Quelli che non morivano erano talmente psicologicamente compromessi da non avere possibilità di cura. Questo perché nessuno interagiva con loro. Quindi abbiamo bisogno che una creatura interpreti il ruolo archetipico della madre per tenerti in vita, diversamente si muore. Così “Madre” è una categoria, allo stesso modo “Padre” è un’altra categoria. Questo avviene anche se non hai un padre perché attorno a te c’è una struttura di potere maschile. Un predominio, semplificando, che agisce nel ruolo paterno… e non c’è modo di allontanarsi da quello a meno che tu non viva in una società, e se non vivi in una società semplicemente morirai perché non puoi vivere da solo. Quindi “Padre” e “Madre” sono categorie primarie, poi ci sono le categoria primarie dell’individuo. Perché, qualsiasi cosa tu sia sei una categoria e questo vale per ogni essere umano che sia mai esistito. Quindi le categorie principali sono “Madre”, “Padre”, “Individui”. Bene c’è un’altra categoria fondamentale a cui abbiamo alluso, ed è quella cosa orribile che vive in fondo a una fossa, che ti divorerà e che ha una realtà psicologica e una realtà oggettiva e che, come ho detto, è equivalente alla storia di Giona che viene inghiottito dalla balena. Non impari mai senza che qualcosa di piccolo muoia, e qualche volta, quando impari qualcosa, muore qualcosa di grosso. Allora sai che devi rimetterti insieme, raccogli i pezzi ed illeso, speranzoso, forse ti trasformi, continui. Quindi la storia dello sviluppo umano non è una marcia ascendente in modo lineare, sai che anche lentamente è forse verso l’alto, ma è punteggiata da catastrofi. Passassimo da un personaggio senza meta e disobbediente a qualcuno che è vivo sulla spiaggia ed insegue un particolare percorso. E’ un motivo comune. Ed è questo il modo in cui le persone si trasformano: sanno di aver incontrato un ostacolo di qualche tipo, che semplicemente li manda in pezzi. Scendono nelle profondità nell’abisso. Vivono per un po’ laggiù, e non piacevole, e forse imparano qualcosa mentre sono laggiù. Se sono fortunati si rialzano, ed è questa la storia dello sviluppo umano.

Jordan Peterson
(traduzione Davide “Birillo” Valsecchi)

Questa clip proviene da: Professor Jordan Peterson: “2016 Personality Lecture 03: Elementi mitologici della storia e dell’iniziazione”. Sto esercitandomi ascoltando e traducendo direttamente dall’Inglese. Il linguaggio del professor Jordan Peterson è abbastanza lineare e chiaro, strutturato per essere diretto e comprensibili. Le sue argomentazioni sono interessanti e tutto questo rende gradevole le mie esercitazioni.  

La principessa di Saba

La principessa di Saba

[8Marzo2018] La piccola e sua madre sono ancora in ospedale: la nanerottola è ancora sotto osservazione, all’interno della sua piccola astronave di cristallo, ma ormai le hanno tolto tutti i cavetti ed i tubicini. Quella piccola creatura possiede una forza propria, un carattere capace di emergere dall’esostruttura “in sviluppo” che la ospita, con cui si sta fondendo. I suoi sensi sono ancora incerti, è totalmente vulnerabile, completamente dipendente, eppure c’è, è lì, nonostante le difficoltà. Io, d’altro canto, sono demolito: cerco di riposare ogni volta che posso ma dormo poco, sempre di corsa, cristallizzato nel momento presente, a trecentosessanta gradi nel futuro, prigioniero di una ragnatela di possibilità. La natura ha probabilmente attivato qualche “chimica” sconosciuta, perchè mi consumo senza cedere: ho accesso ad una resistenza assolutamente insolita. Non sento nulla, fatica e stanchezza sono un fattore statistico. Sono lucido, o almeno credo di esserlo. Ho gli occhi sulla palla o sto uscendo fuori partita? Sono nel deserto, in una foresta, tra le montagne: passo dopo passo, giorno dopo giorno, devo solo demolire ogni ostacolo che mi separa dall’orizzonte. I suoi capelli sono scuri, e nelle mie visioni la sua pelle è accarezzata dal tocco di un sole caldo. La mia mente è un motore immobile, ma la stanchezza allenta le catene della Bestia, le lascia abbastanza spazio per sussurrare durante la marcia: “Hai visto?! Hai voluto provare a nasconderti: l’appartamentino in provincia, in affitto con i vicini fastidiosi, l’ufficietto con le luci al neon che sembra una sgabuzzino per scope. L’asilo, gli altri genitori, la scuola vicino a casa. Hai provato a nasconderti. Hai tentato di tenermi buono lasciandomi scorrazzare sulle montagne per capre a cui sei tanto affezionato. Hai dimenticato ciò che sei: ti sei inquadrato, allineato, civilizzato, giustificandoti con un tocco naif, un ribelle a mezzo servizio. Bravo! Davvero bravo” La Bestia applaude divertita ”E cosa hai ottenuto? La nanerottola ti ha sbattuto la verità in faccia. Ha demolito i piani di tutti, ha spedito nel cesso tutte le vostre belle aspettative. Ha bruciato i tempi, è nata forte ma in anticipo, quando lo ha deciso lei. Te lo ha detto chiaro e tondo: non sarà una comparsa in una storia già scritta. Lei troverà la sua strada: è disarmata, priva di addestramento, ma sta già dando battaglia. Probabilmente è già più forte di te… Puoi darle una mano… oppure diventare uno di quei tanti noiosi ed inutili proletari borghesi che ogni adolescente deve giustamente sfanculare in gioventù. Perchè vedi, mia dolce pecorella inutile, ” – e nel dirlo la Bestia sorride compiaciuta- ”lei non ha scelto te: lei è qui per me. E’ me che è venuta a cercare! Fattene una ragione!!” Sono stanco, non posso fare altro che guardare la Bestia in silenzio: trascinarmi nel prossimo passo, verso la prossima tappa. Non ho verità da opporre alle sue. Non provo rabbia, non ho tempo per occuparmi di tutto questo. Devo avanzare, non posso fermarmi. Forse la Bestia se ne rende conto, il suo sguardo beffardo per un istante si trasforma, si acquieta, mentre si piega verso di me. “Io ti conosco. E posso ben dirlo: io ti conosco meglio di chiunque altro. Hai questa fissa di trattenerti, di contenerti, ma sei molto più, molto più di tutta questa miseria in cui ti piace sguazzare. E sarò sincero: a volte sei riuscito a spaventare anche me. Le cose si fanno decisamente pericolose quanto sei tu a tentare la sorte. Ma è quello che realmente sei.” Per un istante osservo la bestia e mi appare più umana di quanto lo sia io ora. “Questa volta non cercherò di ammazzarti, nè cercherò di liberarmi, di usurpare il tuo razionale dominio. No. Questa volta è diverso. La nanerottola mi piace, fa a me lo stesso effetto che fa a te. “– Sorride quasi affettuoso nel dirlo –”Le sue catene non mi vincolano, ma sono più forti delle tue. No. Questa volta sarà diverso: l’ego-maniaco ed il salvator-mundi dovranno darsi una mano. Questa cosa la faremo insieme. Ora Nostromo apri gli occhi: abbiamo un mondo nuovo da costruire, un regno nomade da conquistare, una principessa da incoronare!!”.

Davide”Birillo” Valsecchi

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