La Falesia del DeeJay
Le ultime settimane le ho trascorse a grattare, levigare, spazzolare, stuccare e pitturare. Sto infatti ultimando i lavori alla “casetta del bosco” e questo, insieme alle nanerottole, cannibalizza tutto il mio tempo. Oggi però, dopo la prima mano di “Fondo finitura all’acqua bianco opaco per legno da interno”, non potevo fare altro che aspettare asciugasse e così, approfittandone, sono andato a farmi un giretto fuori casa. Il piano era scendere lungo le cascate del fiume Caprante, che scorre da Valbrona al lago, per piazzare una fototrappola non troppo distante dalle gallerie abbandonate del Liscione. Le gallerie, in cui veniva cavata la sabbia, sfruttano la stratigrafia della zona: piani calcarei si alternano a strati di sabbia ed il tutto è stato “ribaltato” verticalmente dal tempo. In pratica è una serie di “creste” di roccia alternate a strati più friabili, il tutto con un bel fiume che ci passa in mezzo ed un fitto contorno di rovi. In pratica il posto ideale per un sacco di animali. Da quelle parti mi sono imbattuto in cinghiali, mufloni, volpi e caprioli. Tuttavia gli animali notturni, ed il tasso è uno di questi, restano più difficili da vedere. Per questo ho piazzato una fototrappola davanti all’evidente ingresso di una tana realizzata proprio in uno degli strati di sabbia tra i piani di roccia. Tra qualche giorno scopriremo se quella “casa” ha un inquilino. La missione era compiuta, avrei dovuto tornare al mio “bricolage” ma avevo ancora “voglia”. Così, ho girovagato ancora per un po’. Ho attraversato uno degli strati rocciosi sfruttando una piccola grotta naturale e mi sono goduto lo spettacolo di una delle tante cascate che forma il fiume Caprante prima di tuffarsi nel lago.
L’idea era quindi scendere al Guancito e risalire verso Caprante ma, fortuna o sfortuna, mi sono imbattuto nel sentiero che dal Guancito risale al Ceppo e così, nonostante non avessi con me il GPS per tracciare, ho ripreso a salire. Il sentiero è quà e là malconcio ma assolutamente percorribile facendo attenzione ai rovi che ogni tanto trabordano. Giunto al Ceppo, ai piedi del Kosmopolitan, è scattato il Forrest Gump che è in me: visto che ero lì, e non capita mai di esserci a piedi, mi sono messo a curiosare lungo la strada che scende ad Onno. “E’ zona gialla, è martedì, pioviggina… se ti tirano sotto è proprio sfortuna!”. Ovviamente camminavo sporgendo la testa oltre il guard-rail per osservare le pareti sottostanti. Il mio timore non era tanto cadere, quanto che qualcuno si fermasse credendomi un aspirante suicida: l’aria stralunata di uno che cerca il punto giusto per lanciarsi in un piovoso martedì di pandemia c’era tutta! La prima cosa interessante è che, inaspettatamente, appena oltre il parapetto c’è un “sentiero”, già, ma intendiamoci bene, un sentiero per animali!! Nonostante si incredibilmente esposto sul vuoto sottostante – ed assolutamente improponibile per un essere umano privo di corda! – è molto battuto ed evidentemente molto usato: è tortuoso, complicato nei passaggi attraverso i canali, ma esiste e gli animali, stretti tra la roccia e la strada, lo usano per evitare entrambe. La tentazione era tanta, ma è seriamente improponibile infilarsi su quella traccia. Così ho continuato sulla strada studiando l’alto pilone prima della galleria. Mattia, due o tre anni fa, era andato a curiosare da quelle parti perchè, su un vecchio annuario del Cai Canzo, avevamo trovato traccia di una vecchia via d’arrampicata. Sul pilone ho infatti trovato degli spit ed una vecchia sosta con tanto di cordino e moschettone a ghiera. Tuttavia non credo sia la via che, in effetti, trovò Mattia: quella era una via molto più vecchia realizzata con chiodi a pressione e non spit. Quindi questa è qualcosa di più recente, anche se comunque datata e poco invitante. Continuando lungo la strada sono arrivato alla stretta galleria che, grazie ad una piccola traccia, è possibile aggirare all’esterno. Sempre all’esterno della galleria è possibile abbassarsi ed abbandonare la strada per addentrarsi in uno strato scenario post-apocalittico. Dall’alto, dalla strada, è possibile vedere la quantità di rifiuti che, ahimè, sono stati buttati di sotto. Tuttavia, quando sei “sotto”, la realtà supera la fantasia… e di molto! Lassotto c’è di tutto, e di tutte le epoche! Ovviamente disapprovo completamente questo comportamento ma, confesso, ho sempre avuto un’innata curiosità per tutto ciò che viene abbandonato nel bosco. Se l’umanità si estinguesse e la natura riprendesse il sopravvento sarebbero i rifiuti la principale testimonianza del genere umano… così, mentre mi aggiro tra simili assurdità abbandonate, mi sento un po’ antropologo ed un po’ sopravvissuto. Ma andiamo con ordine. La prima cosa che si può osservare è una significativa quantità di ossa. Inizialmente avevo il timore che, oltre al resto, quella fosse una discarica di carogne per animali domestici, una specie di cimitero per cani senza tasse governative. In realtà la maggior parte dei crani aveva le corna: questo esclude in parte la “teoria-canina” e rimarca come il sovrastante sentiero, quello oltre il guard-rail, sia significativamente pericoloso anche per gli animali che lo percorrono. Tuttavia le ossa sono la sola cosa naturale abbandonata da quelle parti: abbiamo davvero di tutto, dall’industriale al domestico, dall’amatorale al professionistico! Ci sono ovviamente paraurti, specchietti, ecc… frutto degli inevitabili piccoli incidenti che possono avvenire su una strada stretta come la Onno-Valbrona. Poi però ci sono interi “quarti” di automobili che qualcuno ha dapprima sezionato e poi buttato di sotto! Auto tagliate letteralmente in quattro pezzi, caricate su un camion e lanciate giù dalla scogliera… incredibile! Qualcuna molto vecchia, qualcuna invece più recente. Oltre a questo anche pezzi di moto: ho riconosciuto un vecchio Vespone giallo ed il manubrio di un vecchio Piaggio. Ma il campionario di stranezze prosegue: una tastiera, una radio, un’infinità di bottiglie e lattine, scarpe a profusione, copertoni di camion. Anche uno strano aggeggio ospedaliero. Il censimento potrebbe andare avanti all’infinito: un vecchio sci della Spalding, un “A-Team” rosso simile a quello che usava mia mamma negli anni ottanta. Credo sia un destro perchè l’etichetta “PrinaSport” – che se non ricordo male era in piazza a Pontelambro – si usava così ai tempi. La domanda però sorge spontanea: okay, il carrozziere con il camion e le macchine a pezzi voleva liberarsi dal rottame senza pagare e, via, tutto di sotto in una notte di pioggia. Ma gli altri? Gli altri che scusa hanno? Perchè buttare gli sci, la sdraio, l’imbottitura del divano giù dalla scarpata? Lo sbattimento per portare questa roba sulla Onno-Valbrona è lo stesso necessario per portare il tutto in discarica il sabato mattina? Questa gente è doppiamente stupida? Non saprei, l’unica cosa certa è l’impatto dell’uomo sul mondo negli ultimi 70/100 anni: incredibile, irreversibile, inarrestabile. I posteri, se l’umanità riuscirà a sopravvivere, ci considereranno degli idioti incivili. Prima o poi, quando saranno più grandi, porterò le nanerottole in un posto simile. Certo, si deve fare molta attenzione ai vetri, a non farsi male, ma è certamente istruttivo perchè offre un’importante punto di vista sulla società in cui viviamo, la società in cui dobbiamo distinguerci, in cui dobbiamo fare la differenza oltre che la differenziata. Nel frattempo, con molta schiettezza, non ci resta che sperare che questa gente muoia, male ed in abbondante quantità…
Davide “Birillo” Valsecchi