Author: Giovanni Giarletta

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Cassin Sasso Cavallo

Cassin Sasso Cavallo

b5Nella guida TCI de “Le Grigne” del 1937, Silvio Saglio definisce il Sasso Cavallo come «un poderoso sperone calcareo rassomigliante a una colossale prua di nave, che balza imponente dagli alti prati della Val Méria e che, visto dal lago di Lecco, appare nettamente staccato dal massiccio della Grigna Settentrionale»Dal punto di vista alpinistico, la sua compatta e strapiombante parete Sud è stata testimone di un’evoluzione di altissimo livello tanto da poterla considerare probabilmente come una delle pareti più significative dell’intero Lario.

La Cassin al Sasso Cavallo era per me una di quelle vie finite nella “lista dei desideri” e che aspettavo di salire appena mi si sarebbe presentata l’occasione propizia. Non è di certo una salita per la quale è facile trovare un socio, vuoi per il lungo avvicinamento, per l’impegno complessivo e per i “famosi prati verticali” che bisogna superare a metà (Cassin stesso nel suo libro “Dove la parete strapiomba” scrive: «Fastidiosa è l’erbaccia dura e liscia che pizzica le mani appena la si sfiora, e qualche volta non la si può evitare»).

Il caso però ha voluto che tutto si incastrasse alla perfezione con Luca, giovane arrampicatore assetato di esperienza e grandi classiche, così sabato pomeriggio ci incamminiamo verso il rifugio Bietti-Buzzi per guadagnare qualche ora di sonno. Il giorno seguente, dopo aver risalito tutto il costone della Val Releccio e ridisceso il canale della Val Cassina, di buon ora siamo alla base della parete. L’attacco non è di immediata individuazione (il bollo rosso citato in diverse relazioni ora non c’è più), ma una volta indovinato iniziamo la scalata con un buon ritmo ed in completa solitudine (siamo gli unici su tutta la parete). I camini sono faticosi, le soste da rinforzare e la roccia da valutare soprattutto nei tratti più disturbati dalla vegetazione. L’ambiente però è grandioso e noi ci sentiamo in perfetta sintonia con esso.

Il sole si nasconde dietro un leggero strato di nubi che ne attenua il suo calore (una volta tanto il meteo ha indovinato quest’anno!) quando ormai arriviamo ai famosi prati mediani sui quali bisogna muoversi con attenzione ed intuito senza farsi assalire da una certa sensazione di smarrimento che questo tratto di parete così aperta può infondere… Superato questo tratto e dopo una breve pausa, una leggera nebbia in movimento verso l’alto ci rallenta leggermente quando siamo ormai oltre il grande camino che superiamo con arrampicata artificiale e forte esposizione. Nove ore e trenta minuti dopo aver attaccato usciamo in cima e poco dopo iniziamo la piacevole discesa per il versante nord seguendo una traccia completamente immersa in una fitta rete di mughi.

Una ripetizione richiede esperienza, fiuto dell’itinerario e buon allenamento. La qualità della roccia non è sempre delle migliori soprattutto lungo i tratti disturbati dalla vegetazione che obbligano ad un’attenta valutazione della progressione. Ciononostante alcuni tiri di corda sono veramente belli ed esposti e nel complesso ci si protegge abbastanza bene. Difficile giudicarla. Piacerà o meno a seconda dei gusti personali e di come la si vivrà: se nella totalità della sua esperienza alpinistica (quello che cercavamo) o nell’aspettativa del puro gesto atletico.

Giovanni Giarletta

04/09/2016 – Sasso Cavallo – Via Cassin (o Bianca Maria)
Giovanni Giarletta e Luca Danieli

Dalla sorgente del Po alla vetta del Monviso

Dalla sorgente del Po alla vetta del Monviso

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Con i suoi 3.841 metri il Monviso è una piramide impossibile da non notare all’orizzonte dalle cime lecchesi e da sempre ha attratto la mia curiosità. Così quando Stefano, Lorenzo, Alberto e Lisa mi hanno proposto di salire lungo la sua Cresta Est ho accettato ben volentieri: l’idea di salire al Monviso partendo dalla sorgente del Po, pernottando in uno dei rifugi più antichi delle nostre Alpi in compagnia di ragazzi con cui ho condiviso esperienze di soccorso alpino, sarà di sicura soddisfazione!

Così qualche giorno dopo ci troviamo tutti e cinque a Valmadrera alla volta di Crissolo e Pian del Re, in provincia di Cuneo. Lasciata l’auto, tra uno sfottò e l’altro  divertendoci come matti, saliamo velocemente al rifugio Quintino Sella al Monviso, immersi in una forte umidità e una fitta nebbia che tuttavia non impediscono di carpire la particolarità del posto in cui ci troviamo.

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Mentre aspettiamo la cena, scopriamo che molte cordate sono qui per salire lungo la via Normale mentre noi gli unici per la cresta Est. L’itinerario, salito da Adolfo ed Elena Kind, Ubaldo Valbusa e Alberto Weber il 7 agosto del 1902 (anche se la parte superiore era già stata salita da Guido Rey e Antonio Castagneri il 15 agosto del 1887) è infatti una grande cavalcata alpinistica di oltre 1200 metri di dislivello, apparentemente inaccessibile ma logica e ben scalabile.

La sveglia è alle 4 e dopo un’abbondante colazione ci incamminiamo verso l’attacco della via, dapprima per una pietraia e successivamente per un breve ma ripido conoide di neve. Iniziamo la scalata con le prime luci dell’alba seguendo il filo di cresta, segnalato di tanto in tanto da qualche ometto e bollo di vernice e saliamo veloci in una divertente competizione tra le due cordate con il giorno che ci sorprende poco prima del torrione St. Robert che segna la direttiva della prima parte. Così con il sole alto e le nubi basse in poco più di tre ore e mezza dal rifugio siamo sulla cima del Monte dal quale nascono le acque del fiume più imponente d’Italia in un ambiente molto suggestivo e ricco di storia (infatti in seguito alla prima ascensione italiana sono state gettate le basi di quello che sarebbe divenuto il Club Alpino Italiano…).

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La discesa per la via Normale avviene lungo il versante meridionale della montagna e nonostante il suo lungo sviluppo, è paesaggisticamente molto particolare giacchè si sviluppa in un ambiente dai connotati “marziani”, la cui predominanza rossastra dei si interrompe per un momento all’altezza del piccolo bivacco Andreotti, giallo e verde e del suo piccolo nevaio bianco poco sotto.

Di ritorno al rifugio, un frugale ristoro precede la discesa verso valle ed aiuta a stemperare la stanchezza di questi due giorni nati quasi per caso e vissuti con grande affiatamento e divertimento da un piccolo gruppo di persone unite dalla passione per la montagna ed il soccorso alpino.

Il Monviso è una grande montagna dove fare alpinismo significa fatica ma anche tanta soddisfazione. Per i più pigri invece c’è sempre l’alternativa di bere un bicchiere di Po alla sua sorgente e di scoprirlo buono, gelido e cristallino.

Giovanni Giarletta e Stefano Sepriano

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