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Corni: Antivigilia 2017

Corni: Antivigilia 2017

«Purple haze, all in my brain. Lately things they don’t seem the same» All’inzio era un’avventura, ora è una tradizione e, come tutte le tradizioni, si inizia celebrando al bar! I Tassi fanno rendez vous alla “Taverna del Luf” a Valbrona: servono un paio di birre e del formaggio sardo per organizzare le squadre. Poi tutti su per Oneda e da qui fino al rifugio SEV. Pianezzo è un deserto fatto di tenebra e silenzio, la neve del versante Nord una lastra di ghiaccio su cui pattinare. Ma all’orizzonte la Crestina Osa è già illuminata, stessa cosa la Croce di Megna: è l’antivigilia e tutte le montagne iniziano a brillare nella notte. Noi siamo quelli dei Corni.

Il ghiaccio può essere un problema e quindi, visto che io – piacevolmente – ormai conto poco o nulla, chiamo i capitani a consiglio. Ci sono tre rappresentanti di tre diverse scuole d’alpinismo lombardo ed un membro del soccorso speleo: “Okay, io porto la batteria su per il caminetto. Sta a voi decidere se fare la ferrata o meno. Non ho idea se ci sia ghiaccio in cresta, tenete a mente che con voi avete due matricole che non l’hanno mai fatta di notte”. Un tempo dovevo ringhiare ordini, ora mi basta ascoltare le loro scelte. “Tranquillo: diamo un occhiata e decidiamo sul da farsi. Comunque ci vediamo in cima”. Sogghigno ed ammicco a Teo “Io però mi prendo lo Speleo… che da solo mi metto nei guai”. Lui se la ride ed aiuta la “Cottolz”, la matricola della mia squadra, ad infilarsi l’imbrago.

Il bosco è ghiacciato e scivoloso, ma il caminetto è pulito ed anche la cresta è libera: è la prima volta che Valentina viene in montagna con noi, avevamo preso tutte le precauzioni del caso ma è salita senza difficoltà. Attacco la batteria alle nostre “tamarre e cangianti luci a led” illuminando la Croce del Corno Occidentale. Poi, al riparo del vento, ci sdraiamo al riparo sotto la cresta, dove è possibile osservare l’uscita della ferrata.

La pianura è un oceano di luci a cui le montagne sembrano rispondere orgogliose. Cornizzolo, Megna, Moregallo, Corno Rat, Medale, Barro… lucine allineate salgono verso le cime penintenti. Noi siamo stravaccati nell’erba circondati dalle tenebre: quassù l’unica luce è la nostra.

Non fa particolarmente freddo e chiacchieriamo aspettando gli altri. Sono la “generazione delle origini”, la prima dei Tassi del Moregallo. Quando li ho conosciuti, anni fa proprio qui ai Corni, non avevano mai fatto una ferrata in vita loro nè sapevano fare un nodo di corda. Che strano viaggio abbiamo fatto insieme: ora sono pieni di “patacche” mentre io sono rimasto lo stesso strambo di sempre, ma siamo ancora qui, ai Corni, insieme. Abbastanza per rubare un sorriso compiaciuto nella notte.

Poi finalmente arrivano. “Birillo, i regalini dei tuoi amici brillano al buio” Sghignazza il primo stringendomi la mano. Rido divertito facendogli l’occhiolino “Pazienza amico mio, ci vuole pazienza in queste cose: la faccenda la chiudiamo alla luce del sole”. Volano pacche ed abbracci prima della consueta foto tutti insieme. Poi via, il gruppo scende giù per il caminetto mentre io e Brex ci attardiamo aiutando Valentina a scendere.

Un banale inconveniente rende comica la situazione. “L’ABC Teo! Mi sbagli l’ABC! Così gli altri penseranno che facciamo tardi perchè sono io quella imbranata!!” Scoppio a ridere per quella che è probabilmente la frase dell’anno mentre la giovane matricola si prende gioco con veemenza dei due veterani del gruppo! Benvenuta nei Tassi Cottolz!

Finalmente al bivacco della SEV ci trinceriamo dietro bottiglie, panettoni e fette di salame: ora è davvero natale!!

Due ore dopo, svuotate le bottiglie, la nostra brigata traballa, oscilla e barcolla affrontando al buio una “complicata” discesa. Io mi ritrovo disteso su lastra di ghiaccio infinita, aggrovigliato in cinquanta metri di corda, mentre inspiegabilmente cerco di avanzare nuotando a rana. Nel bosco luci che ridono e rotolano tra i rami cercando maldestramente di tagliare i tornanti ghiacciati. Chissà, forse questa ciurmaglia è la vergogna dell’Isola, può essere, ma di certo è il mio orgoglio. Buon Natale Tassi!

Davide “Birillo” Valsecchi

Un sentito ringraziamento alla Società Escursionisti Valmadrera che gestisce il rifugio è che ha realizzato il piccolo ma accogliente bivacco che anche quest’anno ci ha permesso di festeggiare. Grazie e tanti auguri!

Il Primo Ministro dei Tassi

Il Primo Ministro dei Tassi

L’altra sera, finalmente, TeoBrex è venuto a cena da noi e ci ha raccontato delle mille avventure di cui è protagonista in questo ultimo periodo. Storie che al momento giusto, in accordo con gli altri protagonisti coinvolti, saprà raccontarvi con il solito entusiasmo. Per ora posso solo dirvi che Teo sta facendo davvero molto e che sono davvero felice ed orgoglioso per lui.

Quella che vedete in alto è una foto ormai abbastanza famosa: è stata pubblicata su “Il Giorno” e mostra la nuova ed incredibile grotta scoperta al Pian del Tivano: “L’abisso dei Giganti”. La foto è stata scattata dal mitico Pierluigi “Pier” Gandola e quello al centro della foto è proprio TeoBrex durante le primissime fasi esplorative. Sul caschetto blue non si vede ma c’è con orgoglio la patacca dei Tassi, quella patacca che, ahimè, il più delle volte viene scambiata per una puzzola!!

I Tassi del Moregallo sono come i pirati, tra di loro vige una strana democrazia anarchica. Forse anche per questo non esiste un vero capo ma solo goliardici titoli gerarchici. TeoBrex, che ha la straordinaria capacità di lasciarsi condurre dall’entusiasmo, è infatti il “Primo Ministro”, colui che deve ispirare e guidare il consiglio dei Tassi. Io invece, che mi lascio trascinare dall’irruenza, sono il “Nostromo” e, come tale, per lo più conduco la nostra marmaglia all’arrembaggio!

Invidio, in modo positivo, anche un’altro aspetto del carattere di TeoBrex: la capacità di sussurrare agli abissi così come parlare alle stelle. Teo infatti ci ha raccontato di come, appollaiato con un’antenna artigianale sul tetto di casa, abbia contattato radiofonicamente Luca Parmitano, il primo astronauta italiano a compiere attività extra-veicolari, durante un passaggio d’orbita dell’ISS, la Stazione Spaziale Internazionale. Questo breve contatto radio, insieme all’attività speleo, gli ha poi permesso di incontrare di persona Parmitano a Roma. Motivo per cui oggi abbiamo l’autografo di un astronauta su una nostra patacca!

Invidio il suo entusiasmo perché lo porta fin nello spazio. La mia irruenza invece mi porta sempre più spesso a fare a “testate” con gente piuttosto terra-terra… ma infondo è giusto così, io sono il Nostromo: “non accettare l’inaccettabile” è parte dei miei compiti. Purtroppo tocca a Bruna sopportarmi (e a volte trattenermi!).

Fortunatamente, mentre sono fermo nel nido aspettando nasca la piccola Andrea, osservo con grande gioia e soddisfazione il piccolo gruppo di cui faccio parte: Bravi, Bravi, Bravi!

Davide “Birillo” Valsecchi

Aggiungo qui i ringraziamenti pubblicati sul web da Fabio Bollini in modo da testimoniare i nomi di coloro che stanno conducendo questa straordinaria esplorazione: «Vorrei approfittare per ringraziare ancora una volta il presidente Angelo Zardoni, senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile, e poi ancora Pamela Romano, Pierluigi Gandola, Serena Riganonti, Cesare Maspes, Paolo Ramò, Teo Brex, Emanuele Citterio, Mirco Capelli, Giusi Troiani, Maurizio Zagaglia, Francesco Invernizzi, Alberto Rinaldi, Giuliano Cella e Stefano Bellomo.»

L’incontro e la montagna

L’incontro e la montagna

(LucaPenna) Tempo fa Davide mi disse “hai fatto la tua prima uscita con il vecchio, devi scrive l’articolo!”, in effetti qualche settimana è passata… forse qualche mese, ma non importa il tempo è soggettivo, dipende dalle tue emozioni e da quanti pensieri “disturbanti” attraversano la tua routine e ti danno il senso del vivere, per cui semplicemente stasera è il tempo giusto.

Comunque, facciamo qualche premessa. Non ho mai scritto i miei pensieri o raccontato le mie esperienze, per cui abbiate pazienza se esprimo con la pochezza delle parole il treno in corsa del mio vissuto.

Conosco Davide da un’altra vita, recentemente ci siamo ritrovati a mangiare e bere da amici, in quell’occasione gli raccontai del mio “ravanare” su per la “direttissima” che porta in Grignetta e lui espresse un pensiero anche mio “ma perché cavolo sei uscito dal sentiero e ti sei messo a cercare una via tutta tua?”. Bella domanda, me l’ero fatta pure io, perché non era la prima volta che “ravanavo” e in altre occasioni il rischio preso fu ben maggiore, resta il fatto che il germe di un pensiero aveva preso forma, o meglio, l’universo aveva già colto un mio bisogno e si era messo in moto.

A distanza di qualche settimana, in occasione di una pizzata sempre trascinato dal Davide, conosco il “vecchio”; mi avevano parlato di lui in altre occasioni con reverenza e rispetto, come può parlare di un grande maestro qualcuno che pratica la stessa arte, ma io, nella mia assoluta ignoranza dell’arte specifica, vidi prima di tutto la persona e decisi che forse avevo trovato il maestro che avevo chiesto per ritornare ad arrampicare.

Crescere non è un processo inconscio, si cresce quando ci si mette in ascolto, quando si decide di cercare in un altro le risposte alle domande che non sappiamo porci e come sempre in un processo di crescita, l’allevio sceglie il maestro ma il maestro sceglie l’allievo.

Fatto stà che a distanza di qualche settimana propongo al “maestro” di fare con me un salto nel passato e di tornare a riscoprire sensazioni che avevo abbandonato circa vent’anni fa e lui semplicemente accetta.

Passo a prenderlo verso le 8 del mattino ed insieme saliamo ai Piani di Artavaggio, nel frattempo ascolto quest’uomo parlare e a “vederlo”, dopo aver letto in rete un po’ delle cose che ha scritto e che ha fatto, la domanda di cosa ci facessi io ad arrampicare assieme a lui per andare ad aprire “qualche via” si faceva sempre più insistente nella mia testa.

Ma, come ho imparato nella vita, nulla accade per caso, avevo chiesto all’universo e l’universo aveva risposto, per cui non dovevo far altro che seguire la corrente dell’energia e fidarmi del maestro. Certo ogni tanto il sovrapporsi fra l’uomo e il maestro, come un’immagine sdoppiata, mi creava qualche problema di messa a fuoco e una vocina dentro di me ogni tanto sussurrava “ma che ca…o stai facendo? Manco lo conosci e gli affidi la tua vita?”. Ma, come ho detto prima, nella vita ho imparato che quello che sento a pelle, ha molto più valore di quello che riesco a capire con i limiti della mia mente razionale, per cui scendiamo dalla funivia e ci incamminiamo verso la nostra meta.

Poco prima di arrivare alla base della via che il maestro ha scelto, lungo il sentiero, mi parla di alcune vie sulle montagne di fronte a noi, di come alcune non siano mai state ripetute, intanto, in quel silenzio e nell’assoluta mancanza di rumori io penso che magari su qualcuna di quelle, “qualcuno” ci ha anche lasciato la pelle; il maestro si blocca davanti a me, mi guarda e mi dice che con la coda dell’occhio ha visto una figura in piedi sul ciglio del sentiero, 10 passi dietro di noi, un po’ più in alto.

Entrambi sappiamo che non c’è assolutamente nessuno ma la presenza la sento, come un soffio di aria gelata sulla nuca, i capelli, i pochi rimasti, sono già ritti sulla nuca; parliamo trenta secondi di quello che lui ha visto e io ho sentito, con la stessa naturalezza di due escursionisti che hanno visto una marmotta, si gira e riprende la salita. Ok, lasciamo stare la parte razionale e seguiamo solo l’istinto, ma la tentazione di ascoltare la vocina è forte. Arriviamo alla base della parete ed incominciamo a prepararci.

Tira fuori tutta l’attrezzatura, corda, martello, forse qualche chiodo, diverse fettucce e numerosi friend, che vedevo per la prima volta; qualcosa incominciavo ad intuire che “l’arrampicare” del maestro era qualcosa di diverso da quello che avevo fatto qualche secolo prima.

Assicuro la corda al mio imbrago, mi passa il suo secchiello e mi spiega come fargli sicura, dopo di ché incomincia a salire semplicemente su per la parete con attenzione, eleganza e sicurezza. La vocina è sempre li, ma la parte razionale mi dice che “se ti ha scelto come compagno di cordata e affida a te la sua vita, con l’esperienza che ha, probabilmente devi smetterla di farti mille domande”. Intanto il maestro è salito di qualche metro, facendo scendere a valle tutto quello che di “piccolo ed instabile” trova sul suo cammino, mentre mi avvisa di fare attenzione a questo e a quello quando salgo perché non ci si può affidare.

Io ascolto con un orecchio, mentre nell’altro la stupida vocina continua a sbattere come un moscone sui vetri. Piano, piano, con qualche friend qui e là, la corda sparisce fra le rocce e davanti a lei il maestro. Ogni tanto mi arriva la sua voce e diverse pietre con qualche buon consiglio che, naturalmente, non riesco assolutamente a riferire al contesto, perché non vedo assolutamente nulla di dove sia passato negli ultimi 10/15 metri.

“Molla tutto che recupero”, dopo poco la corda sale fino a quando si tende sul mio imbrago, raccolgo tutta la mia roba, metto le scarpette che, nuove e dure fanno abbastanza male, e incomincio a salire. Non c’è una via da seguire, perché non ho memorizzato nessun passaggio, solo un friend si vede qualche metro più sopra che mi indica un punto obbligato di passaggio, per il resto devo interpretare la montagna. Salgo su abbastanza velocemente, ogni tanto la corda ha un mezzo metro di lasco ma non mi preoccupo, un po’ perché in ogni caso è comunque una sicurezza che nelle ultime miei “ravanate” non possedevo, dall’altra sono concentrato a “sentire” la roccia, a fondermi con essa, ma, soprattutto, a non tirarmela addosso! Adesso incomincio ad intuire gli avvertimenti che il maestro mi gridava mentre io ero distratto dal moscone. Recupero il primo friend e continuo a salire mentre la memoria di qualcosa che era assopito dentro di me piano piano si risveglia. Forse il maestro mi grida qualcosa dall’alto ma non lo sento perché sono concentrato a sentire il mio corpo che, negli ultimi 20 anni è cambiato e la memoria dei movimenti non si adatta a quella del mio nuovo corpo. Arrivo ad un primo terrazzino e mi tiro su, la corda sparisce diversi metri più su, del maestro neanche l’ombra, provo a salire seguendo la corda che si infila dentro una spaccatura della roccia, mi elevo di forse un metro ed in posizione precaria intuisco che è impossibile salire di li a meno di essere un bambino di sei anni, tendo i muscoli per tenere la posizione, completamente dimentico che, volendo, c’è una corda a cui potrei appendermi mentre studio come passare.

Mi viene in mente qualcosa che mi aveva gridato a proposito di passare a destra di una fenditura su per un pilastrino e di fare attenzione a qualcosa di pericoloso. Guardo in basso per capire se riesco a spostare i piedi più a sinistra e mi accorgo che al fondo della corda vicino al nodo c’è un friend, probabilmente si è staccato mentre io salivo e la corda è saltata dentro la spaccatura. Mi pareva impossibile che fosse passato di li…anche se…, mi sposto a sinistra della fessura e incomincio a salire per poi accorgermi che la corda, incastrata nella spaccatura, mi impedisce di salire, in una posa precaria sposto i piedi per scaricare meglio il peso, con la sinistra mi tengo ad una presa sopra mentre con la destra cerco disperatamente di far saltare la corda mentre sento la gravità ricordarmi di far presto, ecco libera, ricomincio a salire, i battiti del cuore sono un po’ più accelerati di quello che imporrebbe il solo sforzo fisico, mi dimentico che sono in sicurezza e incomincio a voler uscire dal pilastro ed arrivare su. Ecco un po’ più in su e sono fuori, allungo la sinistra e tiro, forse mezzo secondo di resistenza e poi sento che la roccia viene verso di me, in qualche modo recupero l’equilibrio scaricando il peso sugli altri tre appoggi e blocco la caduta, lentamente rimetto a posto i circa venti kg di roccia tagliente e associo “il fai attenzione alla lama di roccia precaria” che il maestro aveva gridato con l’oggetto che ho in mano. Trovo un altro appiglio e arrivo sopra il pilastrino e intravedo il maestro che fa sicura con qualche fettuccia alla roccia. Lo raggiungo, qualche battuta, mi dice che sono salito su velocissimo e che confermavo quello che aveva intuito. Mah, la vocina è lì ma l’istinto mi ricorda che quello è il maestro per cui devi seguirlo.

Facciamo altri due tiri, in alcuni punti abbastanza semplici in altri la lotta con la gravità e l’istinto di sopravvivenza si fanno sentire. Siamo quasi in cima, c’è un ultimo tetto da cui uscire per raggiungere il maestro, che è qualche metro più sopra, sento la sua voce, mi avvisa che all’uscita del tetto ci sono delle grosse rocce instabili. Salgo circospetto e la trovo, una grossa roccia sulla sinistra, la corda va a destra ma devo uscire da li. Provo a tirare delicatamente con la sinistra e sento che se spingo in una certa direzione verso il basso tiene, se tiro più verso l’esterno e a destra si stacca tutto. Bilancio il carico, sono quasi fuori, quando il maestro mi dice ”fermati li che ti faccio una foto mentre spunti fuori”, scarico il peso sulle gambe, trovo l’equilibrio per la foto, mi rilasso cerco di sorridere e penso “dai sono fuori”.

“Ok vieni su”, lo vedo è lì su, praticamente in cima alla montagna che fa sicura con una fettuccia alla roccia, tiro con la sinistra “ca…o” tiro non spingo, la roccia si stacca, è grossa e io incomincio a cadere sotto il suo peso e sono sotto. Nella mia vita ho imparato che quando qualcosa di grosso ti colpisce invece che opporgli resistenza appoggiati e sfrutta la sua forza per cambiare direzione, la mia mente istintivamente reagisce a quello che ha imparato, mi appoggio alla roccia che scende mentre cado verso destra allontanando le gambe dal masso che cade e mi graffia superficialmente sulla caviglia sinistra che non è abbastanza veloce; faccio un pendolo per qualche metro verso destra e verso il basso, poi la corda si tende, appena riesco a fermarmi cerco di ritrovare aderenza. “Tutto bene?”, trovo nuovi appigli ed arrivo su dandomi dello scemo per aver perso la concentrazione ed essermi fatto infilare un gancio sinistro sotto la guardia.

Arrivo dal maestro che mi guarda un po’ preoccupato, io mi scuso dell’errore, lui sanguina dal ginocchio sinistro che ha sbattuto sulla roccia per frenare la mia caduta.

Mi è partita la punta del mignolo sinistro, solo un pezzettino ma sanguina un po’, la caviglia è coperta dalla calza che fa un po’ da benda. Il maestro mi passa il cerotto da arrampicata e con un fazzoletto faccio una fasciatura mostruosa al dito mentre togliamo l’attrezzatura e si torna al sentiero per scendere a bere una birra prima di riprendere la funivia.

Oggi ho aperto la mia prima via, “arrampicando” la montagna con il maestro, non “seguendo una via su artificiale”, come ho poi avuto modo di metabolizzare la sera.

Questo il breve resoconto del mio duplice “incontro”, la prima di molte altre avventure con il maestro che ogni volta mi hanno lasciato dentro e “fuori” numerosi segni ma ne parliamo una latra volta.

Il Penna.

Nota del Birillo: io so quanto il vecchiaccio detesti essere chiamato “maestro”. Sebbene “stuzzicarlo” e “contraddirlo” sia parte integrante della nostra amicizia, questa volta preferisco appuntare una precisazione. Conosco Luca da oltre vent’anni, siamo cresciuti insieme nell’ambito del Karate-do tradizionale, allievi del Maestro Dario Rainone e Maestro Roberto Vedovati, a loro volta allievi del Maestro Corbella, del Maestro Roberto Fassi e del Maestro Hiroshi Shirai. Oggi Luca è un insegnante di Karate-do, tanto per gli adulti quanto per i bambini. La parola Maestro, “Sensei”, ha quindi un grande valore per noi nonostante il suo significato sia semplice: “persona nata prima di un’altra”. Per noi diventare “Maestro” significa avere la capacità di raccogliere le proprie esperienze e quelle di coloro che sono venuti prima per offrirle in dono a coloro che saranno. Qualcosa di semplice ma anche terribilmente difficile perchè significa essere responsabili della catena del tempo. In quest’ottica l’uso che ha fatto Luca della parola Maestro è assolutamente corretto. La parola “Do” significa “via” e, come ci hanno insegnato i nostri maestri, non importa che attività pratichi: Karate, pallavolo o tennis, in ogni cosa è possibile trovare la “via”. Noi siamo semplicemente fortunati: la nostra via ci conduce attraverso le montagne…

Buon Compleanno Mamma Bruna

Buon Compleanno Mamma Bruna

Bene… ci sono novità. Ad Agosto ho tracciato due roboanti linee di salita sul versante Orientale del Moregallo. Durante la seconda, superate le insidie dell’ interminabile zoccolo, stava per investirci il temporale. Non era la prima volta che rischiavamo di vedercela brutta ma, nella mia testa, si è formato un pensiero strano: “Se esci di qui, Birillo, questa volta devi darti una calmata: devi dedicarti di più a Bruna ed alla tua famiglia”. La grandine, grazie al cielo, non ha attraversato il lago e siamo riusciti ad uscire indenni sulla cima, in un tramonto sereno dopo oltre 600 metri di via esplorativa.

Il giorno dopo, tuttavia, ero di nuovo a fantasticare osservando la parete, sperando che gli “Dei delle Montagne” non ne avessero troppo a male se fossi venuto meno al mio proposito. Perchè in fondo gli alpinisti sono come marinai, le loro preghiere nella tempesta, così come le loro promesse in porto, vanno prese con cautela e grande pazienza.

Ma il destino è un regista beffardo: Bruna in quei giorni si sentiva debole, fiacca, così ha fatto gli esami del sangue pensando di essere anemica. Gli esami, tuttavia, hanno mostrato qualcosa di diverso. Bruna era incredula mentre io, in fondo in fondo, forse l’avevo capito da un po’. Test di gravidanza: positivo.

Ma un test è qualcosa di empirico …così come lo sono nausea, ingrossamento del seno, appetito, narcolessia, raffreddore (rinite gravidica), ecc, ecc… Niente poteva convincere Bruna che, davvero, era incinta: doveva essere sicura, doveva vedere. Così oggi, accompagnandola all’ospedale, ho assistito alla mia prima visita ginecologia …e confesso che aver affrontato rischi e pericoli in quattro continenti non ti prepara ad una cosa simile!

Mi sono ritrovato in una stanza dalla luce soffusa, con una dottoressa piuttosto carina nel suo camice bianco che armeggiava con mia moglie, mezza nuda, utilizzando uno strano strumento fallico mentre insieme guardavano un video. Una scena che, in un contesto differente, avrebbe avuto su di me bel altro effetto, ma in quel frangente, immobile con lo sguardo perso, ero assolutamente agghiacciato ed impietrito. “Si sente bene?” Mi ha chiesto la dottoressa osservandomi perplessa. Io, che manco più sapevo dove guardare, dentro di me ho pensato: “Certo che se svengo alla prima ecografia, al parto non sopravvivo!”

Nonostante l’assoluta incapacità maschile di trovare un ruolo sensato in tutta questa faccenda, sul piccolo schermo c’era “qualcosa”. La dottoressa sorride e proclama serena: “Ospite: uno”. Poi lo misura ed il responso è chiaro: “8 + 5: data di nascita prevista 21 Aprile 2018”. Poi indica una sfarfallio, un tremore ritmico in quell’immagine strana e a tratti incomprensibile: “Quello è il battito. Il suo cuore che batte”.

No, davvero, puoi aver affrontato uomini, bestie e montagne ma non sei preparato ad una cosa simile. Non è una questione logistica o strategica, semplicemente non sei preparato, non potevi nemmeno immaginarlo… però capisci subito che tocca darsi una sveglia, e in fretta, perchè se in questa faccenda un maschio è una “recluta” inesperta, le donne sembrano veterani dei marines che procedono a passo di marcia mentre tu inciampi negli scarponi!

Quindi bene: c’è qualcosa di nuovo e, in modo per me ancora misterioso, vive. L’avventura apparentemente più “normale”  e “comune” rischia di diventare tra le più incredibili ed emozionanti.

Detto questo posso solo aggiungere un’ultima cosa. Tra due giorni, il 16 Settembre, è il compleanno di Bruna: quindi tanti auguri Mamma Bruna!

Davide “Birillo “Valsecchi

Sono Pazzi Questi Tassi

Sono Pazzi Questi Tassi

Il tasso è un animale strano: ha un’indole spesso solitaria ma, al contempo, crea attorno a sé una solida struttura sociale, una vera e propria famiglia o “clan”. Ne sono una prova le tane, i rifugi ed il complesso sistema di gallerie che la “tribù” costruisce nel proprio territorio. Forse è proprio per questo concetto di “famiglia” che i Tassi del Moregallo ogni tanto si radunano e danno vita a colossali mangiate (e bevute!).

L’altra sera eravamo a casa di Gaetano per la TassoConsulta, la grigliata d’estate! Mentre ingollavo birra osservando le salamelle sulla griglia, ascoltavo la curiosa storia che mi stava raccontando Luca. Io e lui ci conosciamo ormai da oltre quindici anni, quando vivevo a Milano siamo stati allievi dello stesso maestro, un amicizia che è sopravvissuta alle insidie del tempo e che lo ha portato ad essere un membro della sconclusionata “squadra” che oggi sono i Tassi.

Luca mi ha sempre stupito perchè quasi mai ha il “Physique du role” per gli strani guai in cui spesso va ad infilarsi: ogni tanto, guardandolo, mi domando ancora come abbia fatto a sopravvivere tanti anni in Africa facendo rilievi forestali in mezzo al nulla. Tuttavia il suo attuale racconto non faceva che aumentare le mie perplessità. “Volevo fare un giretto semplice e così ho pensato di fare la Direttissima dai Resinelli al Rosalba” E fin qui nulla di particolare. “Non l’avevo mai fatta e così mi sono portato dietro l’imbrago ed il set da ferrata”. Forse un po’ eccessivo ma prudente. “Ho fatto la scaletta e sono arrivato davanti ad un segnale di divieto d’accesso” Un classico: quel buffo cartello stradale, appeso tra due guglie di roccia, indica il punto in cui il vecchio sentiero è franato invitando a seguire la traccia che scende ed aggira il torrione. “E cosa hai fatto, sei sceso o sei passato sul vecchio sentiero?” Gli domando quasi distratto “No, non sapevo bene dove andare, però sopra c’era un canale che sembrava fattibile ed allora ho cominciato a salire..” Strabuzzo gli occhi “Cosa?! Ti sei infilato nel canale?!” “Sì, all’inizio era facile, ma poi è diventato sempre più ripido ed isolato. In effetti ad un certo punto ero piuttosto preoccupato perchè se trovavo una parete sarei stato davvero nei guai a tornare indietro”. Quasi sbotto “Ma perchè?! Perchè ti sei infilato in un stracazzo di canale sperduto della Grignetta?! Non potevi tornare indietro e cercare dove proseguiva il sentiero?!” Obbietto con fare paternale!

Al mio fianco TeoBrex scoppia ridere aggrappandosi alla birra “Perchè? Proprio tu gli chiedi perchè?!?! Lo sai benissimo perchè: sei tu il primo che non segue mai un sentiero!” Teo ride di gusto senza più trattenersi ed io, che sarei tentato di fare un cazziatone a Luca, mi trovo curiosamente dall’altra parte della barricata. “Ma quindi che hai fatto?! Come era sto canale!?!” “Bhe, c’erano dei salti di roccia e dei passaggi sull’erba. Fortunatamente dopo un‘ora e mezza sono riuscito a raggiungere il sentiero, credo si chiami Cecilia, poco prima che si congiungesse alla Cermenati”. Ero allibito: Luca, con simpatica scelleratezza, si era infilato in una ravanata colossale dagli esiti preoccupantemente incerti. Teo al mio fianco sghignazzava divertito ormai rosso in faccia “Dai, prova a dirgli qualcosa. Digli che sono cose che non si fanno. Forza, sentiamo un po’…” Nella mia testa faccio i conti con la geografia di quello strano viaggio che deve aver messo insieme Luca. Poi immagino la faccia di quelli del soccorso se avessero dovuto andare a cercarlo per quei canali: sai le matte risate trovandolo disperso in un canale con l’imbrago, il set da ferrata per poi concludere presentandosi come “un amico del Birillo”!! Così tiro un fiato di birra prima di parlare come Zarathustra. “Vabbè, visto che di cognome fai Pennaccino questa stramberia la chiamiamo ‘Occhio alla Penna’. Ma, te lo garantisco, andrò a vedere in che pasticcio ti sei andato a cacciare: la prima ripetizione sarà mia. La prossima volta però non farlo più, non senza organizzarti un po’ meglio!” Teo, che mi guardava silenzioso, si tratteneva a stento dallo sghignazzare e sembrava pronto a scoppiare. Scuotendo la testa abbiamo brindato solennemente alla curiosa impresa di Luca, una stramberia fin troppo simile alle mie. “Hurrà!!”

Così, una birra dopo l’altra, iniziamo a discutere delle ossa di tasso che sempre più spesso ritrovo nelle mie esplorazioni. “Hai visto che sberla di denti il Tasso? Il cranio mostra come, contrariamente a quanto si creda, non è affatto piccolo” “Piccolo? E’ grosso come un accidenti di cane! Ne ho incontrato uno tempo fa! Ero appena uscito dalla grotta e scendavamo dal Tivano quando ce lo siamo trovato davanti in mezzo alla strada. Era grosso e non è mica scappato! Ci ha guardato e con quelle sue zampette corte se ne è andato via indifferente.” “Badger don’t care!” “Comunque riesci a vederli solo di notte, di giorno se ne stanno rintanati”

Poi, più o meno sulla grappa, salta fuori un’altra stramberia. “Ma hai dato la toppa a qualcuno di recente?” “Bhe,  ho regalato qualche adesivo, ne ho fatto autografare uno a ‘Teo e le Veline Grasse’” “No, intendo se lo hai dato a qualche nuovo membro?” “Nope. Salvo i presenti non ho arruolato nessuno di recente… perchè?” “Perchè ho trovato un furgone che aveva l’adesivo l’altro giorno” “E vabbè, può essere… aveva qualche altro adesivo, quello degli Asen o di qualche altro gruppo?” “No, no …solo il nostro. C’era solo il tasso ed era chiaramente un’insegna del gruppo. Ma nessuno di noi ha un furgone scuro che io sappia.” “O bella… e chi può essere tanto stramboide da farsi vanto di appartenere ai Tassi senza essere qui con noi a bere?”

Quindi, caro amico tasso con un Doblò scuro, fatti avanti che la prossima TassoConsulta si beve tutti insieme! Ciao!

Davide “Birillo” Valsecchi

Il suo nome è Robert Paulsen

Il suo nome è Robert Paulsen

“Questa è una persona! Un mio amico! Voi non lo seppellirete in giardino!” Tayler Durden, quello sfigato, era fuori di sé mentre osservava il corpo esanime di Bob, steso sul tavolo della cucina con la testa ridotta ad un cratere. ”Signore, è stato ucciso mentre serviva il progetto Mayhem.” Le scimmie spaziali, i suoi dissennati accoliti, i disperati che lo avevo eretto a leader, sembravano non capire la follia di quel momento. “Questo è Bob!” Urlò sconsolato Tayler alla folla di squilibrati che lo circondava e che egli stesso aveva raccolto tra le mura della sua fatiscente casa occupata. “Signore, nel progetto Mayhem non abbiamo nomi.” Uno dei suoi soldati si fece avanti rispondendo come se quello fosse un test. Gli occhi di Tayler si sgranarono in un furia disperata. “Ora ascoltatemi bene! Questo è un uomo, e ha un nome, e il suo nome è Robert Paulsen, ok?! Robert Paulsen. E’ un uomo ed ora è morto per tutti noi. Capite?!” Per un attimo tutti rimasero in silenzio, osservando il loro leader prostrato sul cadavere del loro compagno. “Io capisco.” Si fece avanti uno dei presenti: ”Nella morte, un membro del Progetto Mayhem ha un nome e quel nome è Robert Paulsen”. Tayler, travolto dall’incubo a cui aveva dato forma, si mise le mani tra i capelli mentre i suoi soldati iniziarono a ripetere ossessivamente all’unisono: ”Il suo nome Robert Paulsen”.

Stavo arrampicando sulle spalle dei “due troll”, due fatiscenti e friabili speroni di calcare a poca distanza dalle più solide e splendenti “rocce degli elfi”. Ero ad un paio di metri d’altezza, in equilibrio sui piedi mentre con le mani sondavo la resistenza delle prese. I due Troll sono roccia “marcia” avvolta dal muschio e dalle piante, spesso nemmeno la vegetazione sembra riuscire a tenere insieme quel cumulo di sassi che si alza per quasi cinque metri dal fondo del bosco. Un tempo, qualche millennio fa, dovevano essere massi spettacolare, ma ora le intemperie ed il mondo vegetale si sono infiltrati tra le pieghe dei suoi strati trascinando verso il basso i suoi fianchi rocciosi. Tuttavia mi piace arrampicarci sopra: restare immobile, mantenere posizioni scomode e valutare con attenzione ogni gesto nel mondo che lo accoglie. Non puoi arrampicare di forza, devi distribuire il peso, scivolare leggero sul ogni passaggio. Poi, sopra o sotto, qualcosa si stacca comunque: tloch! tlach! Ma se sei stato furbo, se hai ponderato bene la tua strategia, riesci a cavartela comunque. L’equilibrio nella follia: padroni del proprio destino in un mondo fragilmente in trasformazione. Una sensazione che vale la pena sperimentare.

Arrampicavo, in salita ed in discesa, sul crinale destro. Poi con un lungo traverso in discesa verso sinistra sono sceso dal piccolo tetto fin dentro lo stretto camino di sassi incastrati. In opposizione rimonto, poi allungo un braccio appoggiando il fianco ad uno delle pareti, afferro qualcosa di solido e risalgo verso l’alto avvitandomi tra i massi. Se qualcuno mi avesse visto in quel momento sarebbe rimasto stupito nel veder fare qualcosa di tanto inutilmente strano in mezzo ad un cumulo di sassi.

Oltre il camino una sorpresa, una profonda grotta si inabissa tra i sassi incastrati stringendosi fino a diventare poco più di un piccolo buco. Ci infilo la testa dentro ed inizio a curiosare in quella che è evidentemente diventata una tana. Poi, in mezzo al fogliame depositatosi sui lati, trovo un cranio. “Oilà! E’ tu chi sei?”

Non ne avevo mai visto uno e ci sono voluti un paio di giorni per avere la conferma che quello sconosciuto munito di zanne è in realtà un tasso: la cresta ossea, tra tutti i dettagli, ne è la prova più evidente. “Un teschio di Tasso…”. La cosa mi dava molto da riflettere: ogni volta che girovago tra i sassi erratici della valle mi imbatto in una tana di Tasso e questo consolida la scelta di aver chiamato il nostro gruppo “Tassi del Moregallo”. Imbattersi nei resti di un tasso morto non è quindi qualcosa da prendere alla leggera. “No, questo non è un semplice tasso: è un Tasso del Moregallo. Il destino ci ha fatto incontrare: il suo nome è Robert Paulsen!”

Davide “Birillo” Valsecchi

Eccovi alcune foto di “Bob”:

Viaggio ad Occidente

Viaggio ad Occidente

Nella mia mente un pensiero fulmineo: “Birillo, è tempo di andare a vedere la Est del Rosa!”. Le parole escono quasi da sole: “Amore, che ne diresti di andare in gita a Macugnaga? Potremmo fare due passi fino ad un bel laghetto di montagna ai piedi del Monte Rosa. Sì, sì …quello che si vede dai Corni e si tinge di rosso al tramonto, soprattutto d’inverno!”. Da Valmadrera a Macugnaga con la mia vecchia Subaru ci sarebbe voluto un mutuo per pagare la benzina e non sarebbe stato da escludere un rientro con il carro attrezzi per la vecchia e gloriosa Impreza Awd. Con il Duster di Bruna, nuovo di pacca, le possibilità di andare e tornare erano invece piuttosto buone!

Sveglia alle cinque e mezza ci mettiamo in strada alle sei: Valmadrera-Giussano sulla SS36, poi fino a Cermenate per imboccare la temuta A36 fino a Gallarate, da qui con la SuperStrada Europea E62 dritto per dritto fino a PiedeMulera e quindi su per la tortuosa Valle Anzasca fino a Macugnaga. Due ore e mezzo di strada: un viaggio davvero insolito per uno stanziale dell’Isola Senza Nome cronicamente allergico alla guida!!!

La temuta Pedemontana è una strada quasi deserta, scorrevole e moderna. Il suo spaventoso pagamento on-line si è rivelato davvero poca cosa: vai sul sito, inserisci il numero di targa ed un email, aspetti qualche istante e via e-mail ti arriva un link dove pagare con la carta di credito. Si ha tempo 15 giorni per farlo ed il costo è stato di 4.8 euro. Anche la E62, che unisce Genova e la Francia passando dal Lago Maggiore e dalla Svizzera, è una buona strada moderna e a gallerie. Sia all’andata che al ritorno era scorrevole ed affollata il giusto. Pedaggio 5.50 euro.

Perchè tutti questi dati? Perchè il Monte Rosa è la montagna che rapisce la mia fantasia ogni volta che raggiungo una cima dell’Isola Senza Nome. In autunno mi siedo sui prati sommitali del Moregallo e mi fermo ad osservarla. Nelle mattino d’inverno, con la neve in cima ai Corni dopo aver risalito la cresta del passo della vacca, ti giri e la vedi brillare come un miraggio.

Ma a giusta ragione quell’immagine ci cattura: il versante del Monte Rosa che noi osserviamo è la Parete Est, l’unica parete Himalayana di tutto l’arco alpino, 2600 metri di dislivello per una larghezza complessiva di quasi 4 km. I Tassi del Moregallo, “non so come, non so quando, non so chi”, ma scriveranno un capitolo importante della loro storia sul quel miraggio all’orizzonte. Per questo vorrei che la nostra scombinata compagni riuscisse a conoscere e frequentare con assiduità quella valle così lontana e così vicina. Ecco spiegato il perchè dei miei “conti della serva”: servono per pianificare le nostre future spedizioni ad Occidente.

Compagna di questo mia primo incerto sopralluogo non poteva che essere Bruna: grazie Moglie! Arrivati a Macugnaga il tempo sembrava avverso, le nuvole erano basse e dense, la grande montagna era coperta. Poi il sole di Luglio ha iniziato a filtrare tra le nuvole e con fare imperioso ha liberato la valle mettendo a nudo la parete.

Solo allora i ricordi sono tornati alla memoria perchè, in effetti, a Macugnaga c’ero stato già altre tre volte in passato. La prima, fino al rifugio Zamboni, durante un raduno dell’alpinismo giovanile: avrò avuto 8 anni, ricordo solo un gran caldo e le seggiovie che ci passavano sopra la testa. La seconda, fino al lago di Locce, sempre con una gita dell’alpinismo giovanile: ma avrò avuto 12 anni e per la gran nebbia non credo di essermi nemmeno reso conto dell’infinita parete che avevo sopra le testa. Ricordo solo Laura Broglia che si lamentava proprio perchè non si vedeva nulla. La terza in prima liceo come gita scolastica alle vecchie miniere d’oro: ricordo solo il viaggio in pullman ed il gioco della bottiglia in cui ho vinto un bacio a stampo ad Eleonora. Ricordi della parete Est nemmeno l’ombra!

“Bru, sei mai stata su un ghiacciaio?” “No”  “E su una morena glaciale?” “Neppure” “Okkey, allora vieni con me”. La fiumana di persone che da Pecetto era salita con la seggiovia ora era davanti a noi incolonnata sul sentiero che risale allo Zamboni. Così, per cavarci da quell’ingorgo umano, ho iniziato a seguire una flebile traccia che correva lungo il bordo della cresta morenica. “Mi raccomando, fai attenzione. Non dobbiamo mollare sassi sui turisti da un lato e dall’altro non dobbiamo franare giù sul ghiacciaio.”  Nonostante le miei precauzioni quell’esile traccia, snobbata da tutti, era in realtà più solida e sicura di quanto io stesso sospettassi. La linea moriva in cima ad un promontorio da dove, per via delle frane e della morena, era impossibile proseguire. “Ti piace qui Bruna? Facciamo colazione”. Ci siamo sdraiati sopra un grosso sasso e, lontano da ogni sguardo, ci siamo accoccolati al sole godendoci un panorama eccezionale: quella traccia abbandonata ci aveva infatti condotto in un’isolato terrazzo davanti al cuore della Parete Est.

Placidamente sdraiati davanti alla parete Est che brillava al sole mentre le nuvole, quasi a celebrare la nostra visita, sembravano non riuscire a scavalcare il crinale da nord. Lontano dal vociare dei gitanti diretti allo Zamboni potevamo finalmente “ascoltare” la grande montagna. La Est ha da subito messo le cose in chiaro: il rumore di sassi e ghiaccio che frana a valle era costante e quasi senza interruzione. La grande frana sotto la Punta Tre Amici sembrava senza sosta e, nonostante la grande distanza, era possibile vedere ad occhio nudo le enormi rocce, probabilmente grandi come automobili, che rotolavano rimbalzando verso il ghiacciaio e la morena sottostante.  

Nelle lenti del mio binocolo la magnificenza delle cornici e dei pensili era impressionante e sorprendente. “Incredibile, il papa è passato di là. Accidenti, devi avere un culo della Madonna per infilarti in quel casino!” Papa Achille Ratti, Pio XII, è infatti il famoso Papa Alpinista crescito ad Asso, sulle montagne dell’Isola Senza Nome e della Grigna. In gioventù risalì la Est del Rosa proprio per il temibile Canalone Marinelli raggiungendo la Punta Doufur. Con lui quella volta Giovanni Gandin, la celebre Guida della Grigna e dell’omonimo camino ai Corni. E lì accanto la via Brioschi, lungo la Punta Nordend, tracciata dallo stesso Luigi Brioschi a cui è dedicato il rifugio in cima alla Grigna. E poi la via dei Francesi, le vie di Zapparoli, le solitarie di Hermann Buhl, di Gonga. Quel mondo imponente, terribile e meraviglioso si dischiude e per un attimo mi inghiotte rubandomi il respiro.

Per un istante è di nuovo un pomeriggio d’inverno, un cupo, gelido e solitario momento ai piedi della Parete Fasana del Corno Centrale. Un’istante in cui il cuore inizia a pulsare più forte e la paura si trasforma in uno strano coraggio fatto solo di insensata determinazione: “Prima o poi salirò di qui”.  

Bruna dorme accoccolata sul mio fianco, godendosi quello strano contrasto tra la roccia fredda ed il sole caldo. Le accarezzo il viso senza distogliere lo sguardo dalla grande parete. “Un giorno, il giorno giusto. Non so come, non so quando, non so chi: ma verremo. A piccoli passi, ma saremo qui. Grande parete imparerai a conoscerci, con pazienza e dedizione ci faremo accettare. Ascolteremo i tuoi segreti, i tuoi umori, la tua rabbia e la tua gioia. Forse sarò io, forse la mia gente, forse la progenie dell’Isola, ma te lo prometto: balleremo insieme e la tua storia diverrà la nostra.”

Davide “Birillo” Valsecchi

L’alpinismo è un’attività sfiancante. Uno sale, sale, sale sempre più in alto, e non raggiunge mai la destinazione. Forse è questo l’aspetto più affascinante. Si è costantemente alla ricerca di qualcosa che non sarà mai raggiunto (Hermann Buhl).

La Via “Dei Magnifici Quattro”: un anno dopo

La Via “Dei Magnifici Quattro”: un anno dopo

[TeoBrex] Il cielo era di un blu profondo, vivido, un blu introvabile nemmeno nelle acque dei mari e degli oceani più cristallini del pianeta. Parlo di quel colore che puoi ammirare solamente in Montagna, a certe altitudini ed in luoghi non proprio raggiungibili da tutti. Perché la Montagna non è per tutti come vogliono farvi credere; è solo per chi accetta lo sforzo fisico e mentale portato all’estremo, la fatica come insegnamento per crescere, la rinuncia come saggezza (se non riesci a salire non modificare la Montagna, modifica te stesso) e la roccia come mezzo per conoscersi in profondità. Tutto il resto sono solo chiacchiere sterili ed inutili. Punto.

Iniziò così quella giornata: chilometri di salita a piedi con gli zaini zeppi di ferraglia e cordini, centinaia e centinaia di metri di dislivello positivo, rocce di dolomia vergine, quattro persone pronte ad esplorarle per primi e quel blu… Mai più rivisto uguale. Le calme acque del piccolo lago riflettevano ed amplificavano quell’incredibile vividezza del cielo mentre ci avvicinavamo ai primi imponenti bastioni appena fuori dal magistrale anfiteatro naturale in puro stile dolomitico che ci si presentò dinnanzi.

Come sempre scherzavamo e ci prendevamo in giro lungo il cammino; eravamo carichi e felici della giornata appena iniziata e tutti contemplavamo la magnificenza, la pace ed il silenzio che quei luoghi, sconosciuti alla maggior parte della massa, emanavano.

Lungo le prime pareti esplorate Ivan saliva con stile magnifico portandosi legate all’imbrago le due mezze che sarebbero servite a Veronica per seguirlo da seconda ed a me per raggiungerli in sosta raccogliendo cordini, moschettoni, friends e nuts lasciati come protezioni; Giuseppe saliva in libera senza nemmeno avere addosso l’imbrago ridendosela come solo lui è in grado di fare.

Primi tiri molto belli e rilassanti nonostante la crudezza e la severità dell’ambiente che ci circondava. Prime vie liberate e roccia rimasta inalterata così come il grado di difficoltà, soste su naturale con cordini e discesa dai pratoni che partivano a picco dalle sommità dei bastioni appena esplorati. La Montagna rimase così come lo era prima del nostro passaggio, restò vergine.

Lasciammo questa meravigliosa zona per portarci alla base di alcune pareti molto alte e delicate, qui la compattezza della roccia non è più una sicurezza, ma qualcosa da valutare prima di ogni movimento, ogni minima DISTRAZIONE ora diventa pericolosa.

Ivan e Giuseppe seguivano il loro diverso istinto esplorativo partendo entrambi da primi in due diverse cordate, mentre io e Veronica da secondi li seguivamo recuperando il materiale utilizzato per la sicura, alla fine di ogni nuovo tiro ci si ritrovava tutti in cima cercando il modo migliore per scendere di quota e poi riportarsi alla base delle pareti.

Estate, le condizioni meteorologiche cambiano molto velocemente e pericolosamente quando ci si trova a certe altitudini, minacciose nuvole iniziavano ad apparire all’orizzonte mentre insieme decidevamo sul da farsi. Presagio? Scendendo dall’ultima via aperta, Giuseppe scorse una parete completamente diversa da quelle affrontate, è inutile aveva davvero un fascino irresistibile per forma e per sostanza.

Ivan si irrigidì subito, ancora non capimmo il perché, ma lui aveva già compreso che qualcosa sarebbe accaduto, alcune persone hanno un rapporto così stretto con La Montagna che a volte sembrano fondersi in una sola cosa con lei e lui è questo, difficile spiegarlo meglio, riescono ad abbattere la barriera dello spazio e del tempo per dare uno sguardo avanti nel futuro per evitare il peggio.

Ciò che ricordo fu questo, ciò che accadde me lo raccontò Ivan dopo alcuni giorni in una telefonata delle nostre…
Arrivati alla base della parete, Giuseppe cominciò a guardare in su, conoscendolo aveva già trovato la sua via molto tecnica ed estetica individuando i punti dove preparare le sue soste su naturale a prova di bomba.
Ivan era pensieroso, silenzioso e cupo come stava diventando il cielo in quel momento, non è da lui e la cosa mi lasciò un poco perplesso in verità, mentre preparavo le corde per fare da sicura a Giuseppe.

Dietro di me, su un sasso, Ivan spiegava a Veronica come utilizzare i cordini nelle clessidre e come allestire una sosta senza ausilio di fix o spit e di come a volte essere in quattro su tiri molto delicati può rappresentare un problema…

Giuseppe chiude magistralmente il primo tiro e prepara la prima sosta della via, giusto sotto un tetto che poi avremmo dovuto aggirare per montare su una parete laterale e partire col tiro successivo. La roccia è molto instabile, ma lui salendo più leggero e stiloso di sempre fa sembrare il tutto semplice e sicuro. Unico.

Mi da il segnale, parto cercando di assaggiare prima di ogni movimento la roccia, sembra che non voglia farsi toccare da me, sembra voglia spostarsi, inizio ad essere un po’ teso, qui si muove tutto ciò che tocco, non sono tranquillo e questo non mi piace.

Picchietto col palmo della mano una sporgenza che suona di vuoto, ma che sembra non essere troppo delicata se al posto di “tirarla” la volessi usare solo per appoggiarmi appena e cambiare postura per passare via velocemente quel pezzo troppo delicato per restare del tempo fermo nei paraggi, insomma non era il classico posticino tranquillo dove fermarsi un secondo e studiare la situazione. Appoggio appena il palmo della sinistra ed appena sopra “un televisore a tubo catodico da cinquanta pollici” decide di sganciarsi improvvisamente e di tentare di buttarmi giù. Un grave ERRORE di valutazione!

La mano sinistra resta schiacciata sotto tra il masso e la montagna nel mio vano tentativo di rimettere al suo posto e di non far precipitare al suolo quel gran pezzo ormai diventato troppo pesante da sorreggere, un dolore pungente al mignolo e la roccia che cambia colore diventando di un rosso vivo mi fa capire che ormai devo lasciarmi cadere e con me “la tv”, non posso più fare altro, nessuna scelta.

Coi piedi mi preparo, un colpo di reni ed eccomi appeso nel vuoto a pendolare dopo aver sganciato quella bomba come fossi il B-29 che sganciò la prima orribile arma nucleare della storia. E l’effetto poteva essere ugualmente tragico…

Guardo di sotto profondamente terrorizzato, ma non per ciò che mi è accaduto, ma perché laggiù sulla traiettoria del sasso c’erano Veronica ed Ivan. Ma questo mi verrà raccontato poi da Ivan dopo alcuni giorni, così come la dinamica completa dell’accaduto.

Dall’alto, serafico, Giuseppe annuncia fiero: «Tranquillo Teo, la sosta ha perfettamente tenuto!» «Già, evviva Amico!!!» Dolorante e provato raggiungo la sosta e dopo di me sani e salvi (non mi sarei mai perdonato se fosse accaduto qualcosa a loro) anche gli altri. Il dito della mano sinistra fa molto male (probabilmente è presente una frattura), il taglio sull’avambraccio destro è profondo; Veronica ed Ivan mi medicano con garze ed il solito nastro bianco multiuso per arrampicatori, mentre racconto a Giuseppe l’accaduto.

Decidiamo di proseguire, i tiri successivi sono impegnativi ma la roccia è più compatta e la cosa psicologicamente mi aiuta parecchio perché salendo dopo aver vissuto una caduta del genere non è stato per nulla semplice, la paura di disgaggiare di nuovo era diventata terrore puro. Con un poco di lavoro mentale ed alcune pause durante l’ascesa, sono comunque riuscito a concludere la via che richiederà un’altra sosta ed un’uscita meravigliosa che domina ogni vetta circostante.

Di nuovo tutti insieme, tutti a rimirare un paesaggio difficile da raccontare, meraviglioso e grave, terrificante e rilassante. Il nome che daremo alla via sarà: LA VIA DEI MAGNIFICI QUATTRO.

E non poteva essere altrimenti a conclusione di un’avventura del genere, una cordata magnifica ed una via magnifica.
Le nubi sempre più minacciose, ci fanno puntare dritti verso il primo rifugio a portata e subito ordiniamo birre e vino a profusione parlando della giornata trascorsa e di ciò che è accaduto. Ivan scherza, ma è molto pensieroso, ormai lo conosco e gli voglio un gran bene.

Giunti in valle ci concediamo un ricco aperitivo composto da prosecco e torte fatte ed offerte dall’unica Donna della spedizione, ognuno farà poi ritorno alla propria vita, alla propria casa…

Qualche giorno dopo Ivan mi chiamò per sapere come stavo, più che altro era interessato a come stavo di spirito e di mente e se avevo ben compreso quel che avevo fatto lassù in quei secondi e delle scelte che avevo preso senza pensare, ma solo seguendo l’istinto. «Ivan, ma di cosa stai parlando? Cosa avrei mai fatto? Scelte? Istinto? Ma che dici!!!» «Teo, brutta testa di lampadina che illumina le grotte, non ti sei nemmeno accorto di quello che hai fatto? Testone! Ho visto che hai picchiettato per vedere se la roccia era buona, ma hai mosso quel pezzetto che ha poi sganciato il sasso. La prima cosa che hai fatto, è stata di tentare di rimettere il sasso dentro con la sola mano sinistra, mentre con l’altra tiravi con tutte le tue forze per non cadere giù. Una cosa così non l’ho mai vista tentare da nessuno, solo tu potevi pensare ad una cosa simile, ma so perché lo hai fatto, in quel momento non pensavi a te ma a noi che eravamo sotto…»

«Poi hai fatto una cosa ancora peggiore, sei riuscito ad appoggiare il sasso sul tuo braccio destro in tensione per sostenerlo e poi farlo cadere alla tua destra, altrimenti sarebbe arrivato dritto sulla nostra traiettoria se lo avessi lasciato andare subito, hai rischiato di tagliarti la corda facendo così, oltre che ad esserti aperto l’avambraccio!»

«Certo, mica potevi sapere che mentre salivi io mi ero spostato di venti metri più a sinistra, avevo la netta sensazione che qualcosa sarebbe successo, lo sentivo ed ho dovuto anticipare gli eventi, in modo da evitare il peggio. Più volte ho detto a Veronica di spostarsi da là, ma sosteneva che nessuno e niente le avrebbe mai fatto del male, non quel giorno.»

«Alla fine l’ho convinta ed è stata con me alla sinistra della partenza della via. Quando hai mollato il sasso e ti sei lasciato andare dalla parete cadendo e restando appeso alla corda, ho visto che guardavi la traiettoria del sasso. Hai visto dove si sfracellato in tanti pezzi? Lo hai visto Teo, brutto vecchio millenario che non sei altro? Appena alla destra del sasso dove poco prima eravamo seduti noi della seconda cordata, terrificante.»

 LA MONTAGNA PERDONA GLI ERRORI, NON LE DISTRAZIONI.

Matteo “TeoBrex” Bressan

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