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Via Zucchi variante BiBi

Via Zucchi variante BiBi

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«When a blind man cries, Lord, you know he feels it from his soul.» I tornanti verso i piani dei Resinelli scorrono ad ogni curva sotto il ritmo calmo ed intenso dei Deep Purple. La mente corre attraverso la roccia esplorando la giornata che sarà. Per Bruna questa è la prima volta su una via classica della Grignetta: salvo quelle fatte insieme ai Corni e quelle con Ivan questa è la sua prima vera via in ambiente (e che ambiente!).

Dai Resinelli saliremo attraverso i torrioni della Direttissima per poi alzarci tra le rocce rotte del canalone di Val Tesa: un’immersione nella storia e nel cuore della Grignetta. Poi sul Pilone Centrale lungo la via Zucchi superando i centottanta metri di dislivello che portano alla Cresta Segantini, da lì guadagneremo la cima ed il sentiero della Cermentati per la discesa.

Una gran “cavalcata”, forse troppo. Acquieto i dubbi ma su tutto pesano un mazzo di scomode certezze: Bruna non è indipendente e non ha mai usato quello che adorabilmente chiama il “bicchierino”, io non conosco la via e curiosamente è la prima volta che ne tiro una da primo in Grignetta. Staremo a vedere…

Superiamo la direttissima e la ghiaia della val Tesa arrampicando sulle placche levigate dall’inverno. La nebbia si abbassa, ingoia la nostra meta e nasconde la nostra via. Mi alzo dritto e raggiungo il Pilone della Finestra inseguendo linee logiche che aggirano brutta roccia gialla. Pascolo alla base per un po’: «No Bruna, il nostro pilone è il prossimo» Dall’alto le faccio l’occhiolino e passiamo oltre: ce la farò a non sbagliare montagna?!

L’attacco, quello vero, è ben chiaro e rimarcato da una scritta ed un curioso mazzo di fittoni appesi con il filo di ferro. Li guardo e mi domando: “Vuoi vedere che qualcuno ha fatto pulizia ed ora la via è nuda! Sarebbe una bella presa per il culo da parte del Karma!” Lego Bruna, rinvio sul primo fittone e supero il primo muretto.

Cerco di imparare e capire la chiodatura. Il primo tiro non è difficile ma è protetto solo nei punti più delicati. Dubbioso sulla distanza dei fittoni aggiungo un paio di fettuccie in clessidra perchà la linea, compiendo una doppia esse, espone il secondo di cordata al concreto rischio di pendolare. Fin dal primo passaggio ci si perde di vista e Bruna, comprensibilmente, sembra intenzionata a tirarmi giù imbrago e mutande anzichè darmi corda. Mi lasco a mano la corda e proseguo in mezza conserva sorridendo: “Imparerà, non c’è problema”.

In sosta la chiamo a voce. Ci cordianiamo e finalmente parte. Senza vederla la seguo ascoltando la corda. “Vendono” la Zucchi come una facile via di IV, ma a ben guardare fin dal primo tiro si capisce che è tutt’altro che banale. Gente che approda qui dalle falesie o dalla plastica rischia di prendere sonori calci in culo ed è veramente scorretto che questo non sia palesato a chiare lettere.

Bruna appare nella nebbia e sono contento di osservare il modo in cui tasta la roccia evitando di smuovere sassi. Ma forse mi preoccupo troppo, ha poca esperienza ma quella poca se l’è fatta aprendo vie “full trad” con me ed Ivan.

Le mostro un paio di trucchi per stare più comoda in sosta e riparto. Mi alzo sulla destra ed osservo un diedro che termina in un piccolo tetto. Non vedo chiodi o fittoni e nella mia mente si forma un pensiero “Non fare il figo sparando su dritto! E’ una via facile, quindi segui la linea più logica e semplice!”. Così mi alzo ancora verso destra seguendo un traverso appoggiato e puntando a raggiungere il crinale dove un diedro sembra offrire un buon passaggio. Mentre salgo un altro pensiero mi assale “Va bene fare i fighi sul facile, ma una protezione potevano anche metterla, giusto per scrupolo e coscienza…” Con pazienza continuo, raggiungo il diedro ed inizio a risalirlo. “Bhe, non è complicato ma non mettere nessuna protezione comincia ad essere un po’ da scriteriati! Non si fa!” Poi mi rendo conto che il passaggio non è certamente un 4a e che la mia ultima protezione è quindicimetri più sotto, un metro davanti a Bruna. La nebbia sotto di me si dirada ed appare l’abisso: “Birillo ti sei fatto fottere e come uno sfigato sei finito fuori via!!”.

“Asta che siento el click”. I Deep Purple continuano a suonare mentre il mio assetto mentale cambia: i motori si accendono e la mente si libera. La relazione diceva “inutili dadi, friends e chiodi”. Fanculo, io un paio di friend ed un paio di nat li ho all’imbrago ma, aspettandomi un bel fittone, sono già troppo fuori per mettermi a proteggere. “Arrampichi ai Corni, sei compagno di cordata di Mattia ed allievo del Guero: passa fuori di qui senza rompere le palle e combinare casini!”

Apro i piedi in spaccata lavorando in compressione. Non ho idea di quanto la roccia “regga”, lavoro di spinta senza andare troppo in trazione. Lascio che il baricentro diriga l’orchesta e passo oltre leggero e fluido. Rimonto e comincio a guardami intorno: trovo una clessidra e piazzo una fettuccia.

Non sono agitato sebbene la mia mente comprenda ogni aspetto della situazione. Sono piacevolmente presente, non si tratta più di seguire una via a fittoni. Ora devo superare la montagna e proteggere il mio compagno: curiosamente tutto mi appare più semplice.

Devo categoricamente fare sosta, organizzarmi con qualcosa di davvero solido prima di decidere come proseguire. Mi guardo intorno valutando le possibilità, poi in alto a destra brillano nella luce opaca i due fittoni gemelli. “Ecco il richiamo della civiltà…”.

Mi alzo ed arrivo in sosta. Guardo oltre ed osservo mesto una serie di comodi gradoni che risalgono a sinistra della sosta: “Forse per una volta conveniva fare il figo e sparare su dritto!”.

Purtroppo anche Bruna dovrà farsi il giretto imprevisto ed ancora una volta non posso seguirla con lo sguardo. La sento avanzare con calma e finalmente la vedo spuntare oltre il piccolo dierdo aggettante (…che di certo non è un 4a). Spunta il viso ed un sorriso: «Non ho idea di dove attaccarmi! Dichiaro ufficialmente di essere in difficoltà!» Le parlo, la metto in tiro e le spiego come passare. Con calma supera il passaggio, raggiunge la clessidra e mi si affianca in sosta.

Forse non dovrei dirle nulla ma l’onestà è una tentazione troppo forte: «Hai visto che cosa curiosa? In questo tiro non c’era nè magnesite nè fittoni…» Lei, per nulla preoccupata mi risponde «Già, in alcuni punti mi sono chiesta come hai fatto a passare da primo: non c’era nulla…» Con fare distratto le indico con il pollice alle mie spalle «Non so, forse perchè la via saliva da qui…» lei ride e non si arrabbia come forse sarebbe giusto: «Avevo capito che ne stavi combinando una delle tue!»

Guardo verso l’alto ed inquadro il primo fittone. Tiro un respiro e riparto promettendo a me stesso:“Birillo, basta stravaganze!”. I tiri successivi scorrono morbidi, facili ma assolutamente non banali. Solo quando raggiungiamo la Segantini la nebbia si apre mostrandoci l’azzurro del cielo e la cima della Grigna.

Infilo una delle due corde nello zaino, accorcio la nostra conserva e recupero Bruna ogni quindici o venti metri. Nei salti la calo con un mezzo barcaiolo e la seguo con tranquillità arrampicando in discesa. Curiosamente questa è la seconda volta che percorro la cresta, la prima senza neve. La mia è una formazione davvero strana ed è per questo che, nonostante alcune scelte possano apparire irriverenti, le Grigne mi incutono una profonda soggezione e rispetto.

Scendendo dalla Cermenati suona il telefono. Ivan, che forse era preoccupato per l’intensità complessiva dell’uscita, vuole parlare con Bruna e sapere come è andata:«Spicciatevi! Noi vi aspettiamo qui in birreria a Lecco!».

Raggiungiamo Paolo ed Ivan, seduti dietro un paio di birre ascoltiamo il racconto di Bruna: Ivan, per la contentezza, le morde il naso! Tutti insieme ridiamo godendoci il “fine giornata”. Poi dopo una profonda sorsata mi faccio avanti e dico la mia: «Ivan, con sta storia dei resinati vendono la Zucchi più facile di quanto realmente sia. Questo è ciò che alla fine rischia di renderla potenzialmente pericolosa, specie per chi ha poca esperienza. I “ragazzi del trapano” non mi fregheranno un’altra volta: mai più sulle Grigne senza martello!»

Davide “Birillo” Valsecchi

Al nostro primo giro insieme in Grignetta abbiamo tirato una variante: non so, forse siamo dei fighi o forse più semplicemente dei tremendi sfigati. Sono davvero contento che tutto sia andato bene e che la giornata sia stata piacevole. Sono felice di aver arrampicato con te.

Grigna: Dislivello Positivo

Grigna: Dislivello Positivo

Sabato sono andato a fare un giretto con Boris. Era un po’ che non facevo una bella sgambata ed il suo piano mi incuriosiva: “Andiamo in Grigna a fare 2k di dislivello?” Così siamo partiti dall’abitato di Somana, una frazione di Mandello, risalendo il fiume Era. Non ero mai stato da quelle parti e posso garantirvi che “il sentiero del fiume” offre angoli incantevoli e merita decisamente una visita.

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Dall’alpeggio di Era si risale verso l’alpe Cetra innalzandosi verso i prati del Rifugio Bietti. Lungo questo percorso lo scenario che ci circonda è in continuo cambiamento seguendo le trasformazioni che la quota impona alla natura. Sotto la severa ombra del Sasso Cavallo siamo circondati da un verde intenso e da una roccia sorprendentemente lavorata. Attraversando i boschi sopra l’alpe Cetra, al cospetto delle grandi pareti, sono attratto dalle piccole roccie che, man mano ci alziamo, appaiono sempre meno piccole e sempre più aggettanti.DSCF6852

Io e Boris chiacchieriamo tranquilli macinando passi. Una coppia di trekker ci supera veloce. Al Bietti li ritroviamo seduti al sole: “Ma voi andate fin su?” Un sorriso, due chiacchiere e riprendiamo a camminare risalendo il canalone Guzzi. Quanta roccia, quante linee. Sono qui per camminare ma la mente e l’occhio divagano sulle mille possibilità.

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Raggiungiamo il crinale e seguiamo la cresta della Piancaformia. Il Brioschi è all’orizzonte ma la roccia si è fatta fragile, instabile. Raggiungiamo la profonda grotta, ora protetta da una rete, in cui precipitò nell’inverno del 2012 uno sfortunato ragazzo di milano: Domenico Loparco, classe 1975. Quasi un coscritto.

Vorrei rimontare sul filo di cresta ma sotto di noi, sul sentiero del Ganda, scorre una fiumana di gitanti che risale dalla Bogani. Boris non mi preoccupa ma il rischio di mollar giù qualche sasso mi infastidisce: tagliamo un lungo traverso e riguadagnamo il sentiero incolonnandoci diligentemente.

E’ probabilmente la prima volta che risalgo lungo il canale finale senza la neve. Agguerriti alpinisti si aggrappano eroici e stravolti alle catene. Ghignando silenziosamente devio attraverso appaganti placche appoggiate di cui non conoscevo l’esistenza. Salgo con calma, rapito dai grandi spazi della Grigna.

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Il Brioschi, in una giornata di sole, non è certo un luogo solitario. Entriamo a salutare Mara ed Alex, poi ci appoggiamo sul prato con un pezzo di torta ed un paio di birre. Una giovane ragazza, bionda e pericolosamente scolpita nel legno, ci sfila davanti in un tripudio di curve, shorts e giovinezza. “Boris, amico mio, io mi sposo, ho una certa età e sono fuori dai giochi. Tu che scusa hai?” Tra le occhiatacce indispettite del moroso rinfiliamo lo zaino e riprendiamo il nostro viaggio ridendo. “Beata gioventù”.

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Scendiamo al Merlin ed il sentiero del Caminetto: un bella sfacchianta tra i sassi. Doppiamo la birra al Bietti e ci incamminiamo nuovamente verso Era e la chiesetta del Santuario di Santa Maria. Via Crucis e macchina. Alla fine a pesare non sono tanto i duemila e qualcosa metri di dislivello quanto lo sviluppo che probabilmente supera i 20km.Davvero un bel giro se la gamba regge.

Passiamo da casa, facciamo una doccia veloce, recuperiamo Bruna e ci fiondiamo in birreria da Fabio, al TrueBeer. “Brindiamo! Domani si arrampica ai Corni!” Era dal mattino che sognavo un boccale di birra chiara con l’aggiunta di Montenegro: credo di essermela guadagnata!

Davide “Birillo” Valsecchi

Boris ha scattato delle foto molto belle che potete vedere sul suo blog fotografico: http://daimario.tumblr.com/

Grignone: Couloir Zucchi

Grignone: Couloir Zucchi

In effetti non ho idea di cosa sia un “couloir”: certo in francese ha il significato innocuo di “corridoio” ma visto che si parla del versante Ovest del Grignone la faccenda si complica. Mattia mi scrive via SMS: “Facciamo lo Zucchi?”. Mi fido del mio socio e come sempre prima accetto e poi mi informo: «Incastrato a sinistra del  “Canalone Ovest” troviamo il “Couloir Zucchi”. Aperto nel 1959 da Corrado Zucchi e compagni è un impegnativo itinerario caratterizzato da una dura sezione su roccia.» Lo “Zucchi” è censito come un itinerario di Misto con difficoltà D+, pendenza 60° ed un lungo passaggio di 30 metri di IV+ in roccia.

Io ho due vecchie picozze (in prestito!), un paio di ramponi economici e davvero poca esperienza di “misto”. Per tutti questi motivi cerchiamo di preparare al meglio la nostra salita provando a capirne le caratteristiche. A “casa mia” 30 metri di IV+ equivalgono al “Pilastrello dei Corni”: aggiungete ghiaccio e neve ed avrete l’immagine di quello che mi aspetto di trovare lassù, a 2100 metri di quota.

“Si Vis pacem, para bellum” Viste le premesse Io e Mattia ci attrezziamo per la “guerra” infilando nello zaino picche, ramponi, 60 metri di corda, mazzette, 10 chiodi da roccia, 4 viti da ghiaccio, friend, nat, fettucce e cordoni d’abbandono. “Meglio un chiodo in più che un paio di alpinisti in meno…”.

Per la partenza ci troviamo ad Asso alle quattro del mattino. Il termometro, in modo assolutamente scoraggiante, segna 5 gradi: ”Dannazione fa davvero caldo! Metti anche le scarpette d’arrampicata nello zaino: se dobbiamo mollare il colpo proviamo a fare almeno due tiri al pizzo dei Nibbi”. Riempio lo zaino, altro peso.

Alle cinque siamo al Cainallo: siamo i primi nel parcheggio ma le temperature non migliorano restanto preoccupantemente alte. Al buio ci incamminiamo verso il rifugio Bietti. Due ore dopo la luce inizia a filtrare all’orizzonte: ci infiliamo l’imbrago e puntiamo verso il canale risalendo dritti dal rifugio. Per attaccare il canalone la traccia sul nostro schizzo si alza da prima verso destra per poi piegare verso sinistra una volta giunti alla base del canale. Tuttavia la neve è scarsa è così spariamo su dritti superando pini mughi e roccette: “Se deve essere una via di misto che misto sia!”

Finalmente siamo alla base, la pendenza inizia a farsi sentire, la neve migliora. Due picozze alla mano ed iniziamo a salire sul serio. Nella destra ho una vecchia e solida Grivel, usata da Simone nel ‘98 per la seconda ripetizione del Drifika (6447m) in Pakistan. Nella sinistra una Camp leggera da scialpinismo appartenuta al mio buon amico Giuseppe Ravizza e donata dalla vedova alla nostra sezione CAI. Le mie “asce da ghiaccio” non sono “fighe” come quelle che si vedono in giro oggi ma hanno un nome, un anima ed un cuore!

Saliamo slegati, Mattia davanti ed io dietro. Incontriamo alcuni passaggini delicati di roccia che superiamo con tranquillità. La neve a volte è dura a volte sfonda: davvero brutta, se in quella condizione ce ne fosse di più avremmo dovuto darcela a gambe da un pezzo!!

Risaliamo uno stretto canale abbastanza ripido che verso l’alto si divide in due. A sinistra risale per una decina di metri e si interrompe sotto un’alta bastionata di roccia. A destra è più lungo e termina più in alto attraverso uno stretto passaggio di roccia.

Io e Mattia iniziamo ad avere qualche dubbio: “Ma è il canale giusto? Non è che questa è solo una variante del Canale Ovest?”. Ci guardiamo intorno: ci aspettavamo un passaggio duro da trenta mentri ma l’uscita del canale non sembra affatto tanto impegnativa. Ci sfiora l’idea di attaccare su roccia i lati del canale ma sarebbe tutt’altro che banale: lavorando duro potrebbe essere fattibile ma non certo di IV+. Il timore di aver sbagliato canale si fa sempre più crescente. Mattia vorrebbe discendere nuovamente la strettoia e cercare se il canale giusto è più a sinistra. Siamo tranquilli e rilassati ma la situazione a tratti appare surreale: ci siamo persi?

I primi raggi di sole iniziano a brillare sulla cresta che intravvediamo sopra di noi. Un paio di sassi si lasciano cadere dall’alto attivando tutti i miei campanelli d’allarme. “Vabbè, che sia o meno lo Zucchi poco importa. Fa un caldo porco e sta arrivando il sole. Di là passiamo di sicuro: Io dico che conviene togliersi dalle palle prima che la Grigna ci si sciolga addosso….”

Sebbene un po’ scocciato dall’idea di aver sbagliato anche Mattia concorda con me ed insieme riattacchiamo il canale puntando verso l’uscita rocciosa. Il passaggio è caratterizzato da lame oblique che culminano in uno stretto diedro/camino anch’esso obliquo. Ramponi ai piedi Mattia attacca per primo mentre io aspetto stando riparato dietro una sporgenza.

Mattia raggiunge il camino. Al centro, sulla destra, c’è un chiodo pitturato di rosso. “Okkio Davide, qui a sinistra c’è un macigno che si muove. Stai al coperto!” Mi urla Mattia. “Io sono apposto, sono riparato. Ma da qui non ho idea se c’è qualcuno sotto: non farlo venire a basso.” Lui mi risponde. “Ovvio!! Tu stai al coperto però!”. La Grigna, a differenza dei Corni, è una montagna spesso più affollata di quanto converrebbe…

Mattia passa il diedro ed esce sulla cresta. “Vuoi che ti butti un pezzo di corda?” Rido divertito “Certo Mattia, ma si da il caso che la corda l’abbia io nello zaino! Non ti preoccupare: arrivo!” Sfilo i guanti ed indosso quelli senza dita: arrampicare con i ramponi è una rogna e, visto il caldo, un po’ di sensibilità in più nelle mani non guasta!

“Lemme lemme arriveremo a Gerusalemme!” Sfrutto le lame di roccia e piazzo con calma le punte dei ramponi nella roccia. Mi infilo nel diedro lavorando in opposizione con la schiena a sinistra ed i piedi a destra. Piazzo un rinvio nel chiodo e studio il passaggio. Rimetto il rinvio all’imbrago, supero il sasso instabile e sempre in opposizione arrivo all’uscita del diedro. Afferro la picca e cercando del ghiaccio solido mi alzo oltre l’uscita.

Davanti a me appare il rifugio Brioschi ed il tratto finale del Canalone Ovest. Un po’ stupito, e forse deluso, chiedo a Mattia “Ma allora questo è davvero lo Zucchi?” Mattia mi risponde ancora un po’ dubbioso “Bhe… Parrebbe di sì”.

Insieme ci alziamo ancora un poco: alla nostra sinistra c’è una croce metallica. Ormai restano pochi dubbi: quello era il Couloir Zucchi. Invece di abassarci nel Canalone Ovest seguiamo la linea originale della via e ci spostiamo ancora più a sinistra compiendo un piccolo traverso prima di risalire nuovamente in verticale.

La neve ha ormai la consistenza della granita e con molta cautela raggiungiamo finalmente la chiesetta del Brioschi. Ci stringiamo la mano felici: la priorità era “uscirne interi” ed entrambi ci godiamo il piacevole abbraccio del sole.

“Ma vuoi dire che erano quelli i 30 metri di IV+?” Chiedo a Mattia. “Di sicuro non erano trenta metri. Certo, non era un passaggio difficilissimo ma neppure banale: se fiondi arrivi giù dritto al Bietti”. Eravamo attrezzati per un guerra ma, credendo di aver sbagliato bersaglio, ci siamo sparati in libera tutto il passaggio di roccia: in effetti uno sviluppo abbastanza curioso su cui riflettere!

NotaBene: Utilizzate le nostre foto ed il nostro racconto per comprendere la nostra salita ma non per comprendere come potrà essere la vostra. In questo tipo di salite il mio giudizio è troppo “acerbo” per esservi d’aiuto.

Arrampicare ai Corni ci ha reso di sicuro più forti e “concreti”, per non usare una parola fraintendibile come “prudenti”. D’altro canto a furia di tribulare su vecchie vie di TD- o TD+ tutti i nostri parametri sono un po’ sballati.

Ovvimente è meglio essere pronti a dare battaglia che farsi beccare con le braghe calate. Però la sensazione è strana. In passato ho avuto momenti decisamente più intensi e tesi con il “verglass” sotto la neve del Passo della Vacca che dentro un couloir sul più blasonato Grignone. Tuttavia il “ghiaccio” ai Corni è raro quanto innumerevoli possono essere le variabili di una salita di misto sulle Grigne.

Detto tutto questo posso davvero essere soddisfatto della nostra salita ma l’insegnamento che devo trarne è assolutamente uno ed uno solo: “serve più esperienza”. In particolare credo di avere moltissimo da imparare per leggere correttamente le condizioni della neve e del ghiaccio. (merce rara ai Corni, purtroppo)

Guardando dall’alto il canale ho pensato “Bhe, tutto qui?”. L’unica risposta saggia è “No, questo è decisamente solo l’inizio”. I Corni di Canzo sono stati la culla dei “Cinque di Valmadrera”, alpinisti straordinari che nelle salite di misto, soprattutto invernali, hanno realizzato davvero l’impossibile. Forse è scontato che i “Ragazzi dei Corni”, con pazienza e “concretezza”, provino ad onorare anche questa invidiabile tradizione delle nostre montagne.

Davide “Birillo” Valsecchi

Grigna Settentrionale: Couloir Zucchi – 10/01/2015
Mattia Ricci, Davide “Birillo” Valsecchi

Ps: Come ha rimarcato anche il Capanat i canaloni del Grignone non sono uno scherzo. Nelle ultime settimane il Canalone Ovest è stato preso d’assalto sebbene le condizioni siano tutt’altro che ideali. “Non voglio fare il bacchettone,ma è meglio che scriva qualcosa sull’onda di quest’eccitazione: il Canale Ovest bacia tutti (tantissimi lo hanno fatto in queste settimane) però non è detto che anche la fortuna lo faccia. C’e un’autostrada è vero: ciascuno però valuti bene le proprie capacità ed esperienza. Sembra una banalità dirlo, ma la corda non basta averla dietro per legarsi: bisogna anche saperla usare.” – Il Capanat del Brioschi

Leggende nella tormenta

Leggende nella tormenta

«Perchè uno di Lecco scala con i monzesi?» Questa fu la domanda a bruciapelo che Riccardo Cassin rivolse a Luigino Airoldi quando, per la prima volta, si incontrarono in cima al Fungo in Grignetta. Il leggendario Cassin aveva ventidue anni in più rispetto al giovane Luigino ma quel giorno nacque una grande amicizia che si tradurrà in grandi ascensioni e che farà di Airoldi uno dei suoi grandi eredi.

Nella maggior parte di queste salite Luigino attacca da primo. Cassin conosce la fame di avventura di Airoldi e lo lascia andare avanti concedendo a quel giovane, così promettente e determinato, ciò che è da considerarsi come un grandissimo onore e riconoscimento.

Una salita delle tante che la coppia organizza è l’invernale alla classica Cresta Segantini: l’ascensione con i metri di neve caduta diventa davvero particolare e difficile. Durante l’ultima parte della salita il tempo si fa brutto e nel cielo si scatena la bufera. Luigino e Riccardo riescono comunque ad arrivare in cima alla Grignetta ma, quando si apprestanao a scendere, la neve e la nebbia oscura la vista, sbagliano e si infilano in un canale.

Senza punti di riferimento adottano una tecnica semplice: si calano a vicenda per tutta la lunghezza della corda, alternativamente: il socio che viene assicurato dall’alto riesce a sondare il terreno e mantiene la concentrazione, poi fanno a cambio. A furia di scendere arrivano in un punto della montagna protetto dal vento e quindi avvertono delle voci.

Non credono ai loro occhi: con tutti i posti possibili trovano nel canale gli amici Andrea Oggioni, Walter Bonatti e Carlo Casati che a loro volta, saliti da tutt’altra parte, sono finiti nello stesso impluvio! Cassin, rivolgendosi a Bonatti, gli dice: «Me consuli che te sbagliaa anca te!» Due accademici che scendono perdendo la strada e trovano altri tre accademici che hanno sortito lo stesso destino! Leggende nella tormenta!

Davide “Birillo” Valsecchi

Il racconto è tratto e riadattato dal Libro “Inseguendo la brezza: Pier Luigi Airlondi scalate ed esplorazioni in tutto il mondo” di Cristian Roccati. La foto invece è tratta dal libro “Neige e Roc” di Gaston Rébuffat (altra leggenda!) che sto leggendo (ahimè!) in francese.

Bruna tra le Grigne

Bruna tra le Grigne

L’idea di portare Bruna a dormire al Brioschi mi era venuta mentre risalivo la Gamma2 al Resegone. Guardavo la Grignetta illuminata dal sole del mattino e pensavo al Canalone Porta. «Qualche passaggio di secondo grado, una bella salita quasi tutta su roccia, ambiente strepitoso. Cima e poi giù per il Federazione e su per gli scudi. Cenetta al Brioschi e poi si vede cosa fare per il ritorno». Bruna detesta camminare ma ho scoperto che arrampicare sembra davvero piacerle ed ogni proposta che abbia qualche attinenza con la roccia viene accolta con entusiasmo.

«Ti va di andare in Grigna a dormine? Guarda che è un giretto lungo. Niente di impossibile ma di certo impegnativo. Ti va?» Con una certa sorpresa ha accetto di buon grado nonostante avessi posto due imprescindibili condizioni: 1) devi mettere il caschetto 2) dobbiamo partire presto.

Quando attacchiamo il Porta non è presto quanto avessi sperato ma l’orario è comunque buono e soprattutto davanti a noi non c’è nessuno. Lei ha un piccolo marsupio ed io un mega zaino in cui è riuscita ad infilare anche un pigiama per la notte e mille altre cianfrusaglie: siamo buffi insieme.

Il canale mostra i segni del travagliato inverno trascorso: non l’avevo mai visto così “scosso” e pieno di terra e detriti. Incredibilmente, all’altezza della “finestra”, ci imbattiamo in un enorme accumulo di neve alto ancora più di cinque metri. La quantità di neve che deve essersi accumulata durante l’inverno doveva essere davvero impressionante se ha potuto resistere al caldo ed alle abbondanti piogge fino a settembre! L’acqua, scorrendovi all’interno, ha scavato al delle enormi gallerie in cui un uomo potrebbe camminarci comodamente in piedi: ovviamente infilarcisi sarebbe una delle cose pià stupide da fare! (Attenzione)

Bruna non se la cava male e sono abbastanza tranquillo mentre sale. Nei punti più complicati la tengo d’occhio ma li supera spedita e divertita:«Ti piace qui?» le chiedo dubbioso. «Certo che mi piace! E’ camminare che non sopporto: qui ci si diverte!»

Usciamo dal canale e seguendo la cresta affrontiamo le catene che portano alla cima: «Benvenuta in Grignetta!» Stretta di mano e foto di rito con la croce. L’occhio inevitabilmente cade nostalgico sulla bandierina dedicata al Butch: la sorte ha voluto che non sia più possibile avere la fortuna di incontrarlo in Grignetta, tuttavia è davvero impossibile salire lassù senza dedicargli un pensiero.

Durante il week-end la Grignetta è assaltata dalle cavelltte. Attorno a noi, in assetto da spiaggia, un gruppetto di “fighetti attillati e fosforescenti” fanno i grossi confrontando i tempi con cui hanno “vinto” i temibili prati della Cermenati: sono le prime persone che incontriamo da quando siamo partiti e non vedo l’ora di tornare nel silenzio delle Grigne! Uno di loro, forse il più ardito, lancia con tono di sfida agli amici «La prossima volta tentiamo la traversata alta fino alla Grigna!». Dentro di me rido pensado come Bruna, senza alcuna posa eroica e piglio da duro, la sua traversata la stia “tentando” al suo primo giro in Grigna. «Dai Bru, andiamo che si fa tardi…»

Guardandoci passare con i caschetti in testa sembrano biasimarci con una mal celata strafottenza. Cerco di non darlo a vedere ma dentro di me rido ancora una volta: “bla bla bla, fighetti del cazzo…” Io posso dirvi che se possedete un caschetto le Grigne sono davvero il posto giusto per usarlo, anche se non vi infilate nei canali. Primo perchè è affollato di teste di cazzo (vedi sopra) e secondo perchè i sassi sui prati delle Grigne corrono veloci e silenziosi come mai vi aspettereste. Una piccola accortezza evita davvero parecchi guai.

Scendiamo per il Canale Federazione abbassandoci lungo il ghiaione ed il giogo sottostante. Questro tratto della traversata, abbastanza pianeggiante, è davvero bello e singolare. Ci sono passaggi in cui sembra di essere tra le dolomiti ed altri invece che ricordano la Corsica o la Sardegna: una simbiosi tra l’alta quota e gli influssi del lago. Un luogo “lontano”, da cui si gode di una vista magnifica e che riesce ad infondere sempre una piacevolissima sensazione di libertà, di spazio.

Incontriamo un ragazzo del Cai di Parma che, salito in solitaria al Brioshi da Rongio passando dal sentiero dei Chignoli, sta ora scendendo dagli scudi. Diversamente dai fighetti di prima ha lo spirito giusto e con lui è un vero piacere fermarsi e scambiare quattro chiacchiere sulle rispettive salite.

Superato il primo scudo la fatica comincia a farsi sentire e per questo, aprofittando del sole, ci fermiamo a mangiare un boccone sulla cresta erbosa. Il senso di colpa per l’enormità del mio zaino mitiga le lamentele di Bruna: «Accidenti, non posso nemmeno brontolare! Vai su come fosse niente nonostante tu sia carico come un asino. Come posso protestare io che non ho niente!» La questione è infatti divertente perchè dal mio zaino escono le cose più strane: «Bruna, perchè abbiamo una confezione intera di biscotti integrali da 250 grammi?» «Per la colazione, ovviamente…» Sciocco io che chiedo (Ndr: ovviamente il pacchetto ritornerà alla base intonso!!)

Bruna si sta divertendo nonostante la fatica e le lunghe ore di cammino: sono davvero contento. Le nuvole coprono la cima della Grigna e per questo ci fermiamo a godere del caldo abbraccio del sole prima di infilarci nella nebbia. Mi piace il nostro piccolo Pick-nic sui prati della cresta!

Superiamo l’ultimo tratto attrezzato e finalmente giungiamo al Bivacco Merlin: l’illusione di essere arrivati inganna sempre perchè per raggiungere il Brioschi mancano ancora quasi 300 metri di dislivello. Con pazienza ci mettiamo in marcia ma la nebbia si trasforma in pioggia battente trasfigurando il panorama e le luci che ci circondano.

Bruna ride ed infila la mantellina: ormai non la ferma più nessuno!

Davide “Birillo” Valsecchi

Grignetta: via Segantini

Grignetta: via Segantini

Per un milanese sarebbe davvero imbarazzante dover ammettere di non aver mai visitato il Duomo di Milano o il Castello Sfrozesco. Probabilmente proverebbe lo stesso imbarazzo che provavo io nel dover confessare di non aver mai percorso, nè invernale nè in estiva, la famosa Cresta Segantini che, dal Rifugio Rosalba, sale alla cima della Grignetta.

Non saprei darvi giustificazione del perchè difettassi di una simile (grave) mancanza ma, nonostante gli sforzi, sembrava per me davvero difficile rimediare. I miei amici più esperti l’avevano ripetuta innumerevoli volte e, salvo qualche romboante assalto invernale, non sembravano intenzionati a dedicarle una giornata: “Terzo grado” , “Affollata”, “Facile”, “Si fa in libera”.

Non trovando un compagno ho spesso pensato di tirarmi dietro qualche “matricola” o di affrontarla da solo. Tuttavia la Grigna impone rispetto e reverenza, così non ho potuto fare altro che limitarmi ad attendere.

La tentazione era forte ma l’umiltà era d’obbligo perchè la storia della Segantini è densa di fascino. Il primo a percorrerla fu infatti il leggendario Giacomo Casati, un nome le cui gesta sono ormai un tutt’uno con la roccia delle Grigne. Casati, il 13 Giugno del 1901, si avventurò da solo sulla cresta percorrendola in discesa. Dopo Casati fu Giuseppe Dorn, altra leggenda, a ripercorrere tale itinerario. Solo il 9 Ottobre del 1905 fu percorsa in salita da Eugenio Moraschini e Giuseppe Clerici che, in quell’occasione, concatenarono la cresta alla normale della piramide Casati, del Torrione Palma e delle Torri Moraschini.

Per Davide “Birillo” Valsecchi niente Segantini: un bello smacco da digerire. Tuttavia Luca e Stefano, due amci e membri del Soccorso Alpino, si sono offerti di accompagnare in Segantini il giovane Pietro, fratello della morosa di Luca. “Hey, vengo anche io! Non ditelo in giro ma anche io non l’ho mai fatta”: ecco la mia occasione!

Non attacchiamo dal Colle Valsecchi ma direttamente dal canale dell’Angelina che risale della direttissima fino al sentiero Cecilia ed ai bastioni sotto la Segantini. La neve abbonda ancora nei canali e per questo nello zaino trovano posto anche ramponi e piccozza.

Roccia bagnata e neve marcia rendono la cresta, fin troppo spesso banalizzata, un viaggio intenso attraverso le meravigliose architetture della Grignetta. Luca e Stefano tirano le due cordate, e le due “matricole”, attraverso i brevi ma numerosi tiri della Cresta.

Gli scarponi e l’umidità impongono tecnica ed equilibrio, enfatizzando i brevi ma importanti tratti in cui la cresta si impenna in stretti camini o in appigliate placche aeree. Il lungo traverso e la risalita su neve della “Lingua” ci offrono un ultimo assaggio d’inverno mostrando come il gelo smuova e trasformi, anno dopo anno, la montagna.

Si arrampica in salita, si arrampica in discesa, si mette mano alla piccozza e si affonda nella neve. La cresta è tutta nostra fino a quando alle nostre spalle rimonta dalla roccia una faccia nota. Scintillanti occhi azzurri e braccia scoperte, non poteva che essere lui: Vittorio, veterano delle Grigne, accompagnato da Ale, suo giovane compagno di tante salite. “Hey gente, abbiamo visite: amici! Ciao Vittorio!” “Ciao Davide!” Il suo sorriso, nella mia prima volta in Segantini, è quasi una medaglia. Tutti insieme ci fermiamo un po’ nella neve a chiacchierare. Poi, leggeri e veloci, i due ci superano lasciandoci indietro: quassù loro sono indigeni!

Mentre saliamo continuo a guardarmi intorno. Entro sera arriverà la pioggia e la luce, filtrando tra le nuvole, gioca con i contrasti animando la roccia. “Accidenti cosa rischiavo di perdermi!” Da un lato le guglie della Gignetta e sull’altro versante la Grigna, il Sasso cavallo e la linea, mai così elegante, degli scudi e della traversata alta.

“Terzo grado” , “Affollata”, “Facile”, “Si fa in libera”. Mi hanno sempre ripetuto questo dimenticando di dirmi la cosa più importante: “Tremendamente bella!”.

Davide “Birillo” Valsecchi

Via Segantini, Grignetta. 25 Aprile 2014. Luca Beduzzi, Pietro Villa. Stefano Sepriano, Davide “Birillo” Valsecchi. Le “matricole” pagano da bere!

Un Eroe Indigeno

Un Eroe Indigeno

«La mia giornata vissuta in Grigna? Parto, senza un’idea chiara, comincio a girare e mi lascio andare alla libertà di dire “bon, arrivo al colle Valsecchi, sento la voglia che ho: vado di qua o di là?” Aspetto in quel momento, arrivo e dico “Cazzo, c’ho voglia di andare di là!”. Allora via di là: e quello è un piacere!

Quando sento che ho bisogno di respirare, di stare in montagna, proprio di assaporare la montagna, anche se sono a casa mia fra le Grigne, mi piace salire in Grignetta. Quello dipende il sentiero va più o meno, magari salgo dal Canal Porta e magari un’arrampicata sui Maniaghi veloce, scendo verso il buco di Grigna e vado là verso l’Elisa, la ferrata dei Carbonari, tocco il Grignone e vengo a casa. Ecco, quello son qualche ora di montagna a casa mia.


Nonostante la frequentazione sia forse un po’ rallentata rispetto a qualche anno fa, tra mille impegni, vengo un po’ meno fra le Grigne ma, questo venir meno fra le Grigne, forse dall’altra parte è inversamente proporzionale alla voglia ed al senso di appartenenza con queste montagne. Poi ancora adesso, a quarant’anni, quando le poche volte o tante che siano – dipende, è tutto relativo – riesco ancora, sempre, a trovare dei nuovi angoli, nuovi scorci, dei nuovi posticini che forse non avevo ancora mai frequentato. Questo è bello perché ti fa capire che ce né, c’è dietro un mondo dietro a questo microcosmo. Un mondo grandissimo.


Sarebbe bello avere tutto il tempo per noi, nel nostro egoismo, di poter fare. Ho provato una volta nella vita, tanto fa, avevo 24 o 25 anni, che avevo voglia di prendermi il mio tempo senza però dover dipendere da nessuno ed allora – cosa ho fatto? – sono andato a fare il pastore in svizzera per racimolare qualche soldo per poi sentirmi apposto di poter essere libero.


Ho visto che andavo in montagna più quando lavoravo di quando poi avevo più tempo. Mi svegliavo alla mattina e dicevo “Cià che vado, faccio”. Poi però “Vabbè, tanto posso andarci anche domani” e quel giorno andavo a fare un’altra cosa, in bicicletta o magari neanche, stavo in giro. Non mi ricordo neanche più come riempivo il tempo ed ogni tanto mi fermavo e mi dicevo “Ma hai sognato per tanto tempo di avere i tuoi momenti di libertà per essere in giro in montagna ed adesso sei qua e non in giro in montagna? Ma scusa?” Ed ho capito che non potrò mai essere veramente un professionista, perché ascolto le sensazioni.»

Non sapevo cosa fare, non sapevo cosa scrivere. Quindi mi sono limitato a trascrivere le sue parole riscoprendo, ancora una volta, il grande esempio che è per molti di noi. «Per chi ha voglia di scoprire ce n’è ancora, c’è ancora terreno d’avventura: è poi si sta da dio in questi posti qua! Saremo un po’ di parte, perché è casa nostra, ma non mi stanco mai di venirci in questi posti.» Grazie Butch.

Davide “Birillo” Valsecchi

I Capanat del Brioschi

I Capanat del Brioschi

Il sei gennaio, nel lunedì dell’Angelo, avevo rinunciato a salire al Brioschi con i ragazzi della squadra per via del caldo e dello stato del manto nevoso. Il più giovane del mio gruppo aveva compiuto diciotto anni da meno di due settimane e qualcosa aveva fatto “click” nella mia testa: non potevo ragionevolmente azzerare i rischi e quindi ho chiamato la ritirata.

Al rientro avevo raccontato la giornata su “Cima”, uno di quei racconti scritti “di pancia” in cui scarico sulle parole tutto quello che ancora mi rode. Tuttavia, senza che me ne rendessi conto, l’articolo ha cominciato a rimbalzare su Internet e su Facebook diventando argomento di discussione.

Il mio racconto era pieno d dubbi ed indecisioni, un racconto volutamente diverso dalle storie di montagna che troppo spesso sono piene solo di trionfi, tragedie o diktat cattedratici. Volevo esplorare e condividere l’esperienza dell’incertezza, di certo non essere da esempio o indicare quello che fosse giusto fare. Confesso che mi ha imbarazzato un poco vedere come il racconto abbia iniziato a vivere in modo autonomo fuori dal mio controllo!

“Birillo, come la fai la sbagli!” mi sono detto. Il mio rammarico più grande era quello di avere in qualche modo danneggiato i ragazzi che gestiscono il Rifugio Brioschi: Alex e gli altri affrontano enormi sforzi e difficoltà per mantenere aperto il rifugio nelle durissime condizioni ambientali e climatiche dell’inverno sulla cima della Grigna. In qualche modo avevo la sensazione di aver mancato di rispetto a quel loro straordinario impegno.

Poi ieri, aprendo facebook, ho avuto la conferma di quanto siamo fortunati: non solo abbiamo una montagna bellissima ed un rifugio di vetta straordinario, ma anche Capanat con carisma e capacità all’altezza di tanta meraviglia. Siete davvero il nostro “rifugio”! Grazie.

Rifugio Brioschi : Quante volte siamo arrivati in cima e abbiamo detto “si ma tutto sommato si poteva, non è successo niente!”…oppure “se ci va lui ci vado anch’io”. Questo fine settimana iL RIFUGIO BRIOSCHI resterà CHIUSO perché il pericolo REALE potrebbe aumentare….so che ci sarà qualcuno che nonostante tutto salirà e mi dirà cose del tipo “e c’erano su 50 persone e tu eri chiuso!!!” … Allego bollettino meteo della Casa delle Guide di Lecco, Valsassina e Orobie Servizio INFO POINT della Comunità Montana della Valsassina, Valvarrone, Val d’Esino e Riviera a cura della Casa delle Guide di Introbio e patrocinato dal Soccorso Alpino in relazione al progetto “Montagna sicura”. Bollettino di venerdì 17 gennaio 2014. Il pericolo valanghe è 3 Marcato. Nei prossimi giorni sono previste nuove abbondanti nevicate che aumenteranno il pericolo. Raccomandiamo la massima attenzione agli escursionisti poiché nei giorni scorsi sono caduti 60 cm su i quali appoggerà la nuova neve. Da evitare pendii ripidi sopra i 30 °, sottocresta e canali. I Rifugi con avvicinamenti sicuri saranno aperti. Gli altri, come il Rifugio Brioschi, rimarrà chiuso per pericolo valanghe. In montagna vento moderato da sud ovest. Venerdì il tempo sulle nostre montagne sarà molto nuvoloso con nevicate tra 500-1.000 m. Nel pomeriggio miglioramento. Da sabato a lunedì molto nuvoloso con nevicate tra 500-1.000 m. Martedì e mercoledì in parte soleggiato. Per ulteriori informazioni chiamare il n. 3357625437, risponderà una Guida Alpina della Casa delle Guide di Introbio www.casadelleguide.it. Grazie per l’attenzione e a risentirci. Potete consultare la registrazione al n. 3403252424.

Appena le condizioni saranno di nuovo buone tutti in festa al Brioschi!
I Capanat si prendono cura di noi, prendiamoci cura dei nostri Capanat!!!

Davide “Birillo” Valsecchi

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