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Periplo del Barro

Periplo del Barro

Per lo più siamo abituati ad attraversarlo, il Monte Barro, lungo l’omonimo tunnel inaugurato ormai nel lontano 25 Ottobre del 1999. Ogni tanto ci si sale in vetta, ma i suoi 922 metri di altitudine spesso appaiono poca cosa, specie nei periodi in cui i “milanesi” posso raggiungere in macchina i 740 metri di quota dell’Eremo. Così il Monte Barro, con le sue “ciccatrici mascherate” delle vecchie cave, la minacciosa ciminiera dell’Inceneritore e le sue affollate falesie sportive vista parcheggio, sembra una meta poco attraente, alpinisticamente non rilevante. In realtà, il piccolo grande Barro, ha parecchio da offrire. Abbandonando le velleità della “Cima”, l’ossessivo slancio ad emergere, si scopre tutto intorno meraviglie inaspettate, spesso “quasi” in piano. “Niky, andiamo sul Barro! No, non in cima: facciamo il giro!”. Così ci siamo ritrovati sul versante Valmadrese del Barro per risalire il “Sentiero del Vento”. Recentemente mi era capitato spesso di percorrerlo in discesa, ma era dal mio primo o secondo Raduno Regionale di Alpinismo Giovanile che non lo percorrevo in salita. Probabilmente da quando avevo 9/10 anni, credo nel lontano 1986: in effetti la salita, in colonna sotto il sole, può risultare un ricordo traumatico… Purtroppo non ho trovato la data precisa del raduno, sebbene credo che tutta la faccenda avesse a che fare con la nascita del Parco Regionale del Monte Barro, che avvenne nel 16 settembre 1983. Sull’Isola Senza Nome la Zona di Protezione Speciale (ZPS) del Triangolo Lariano comprende la Foresta Regionale Corni di Canzo, la Riserva Naturale Regionale Sasso Malascarpa e parzialmente il PLIS di S. Pietro al Monte – S. Tomaso. Così, cercando le differenze, ho trovato che i Parchi Regionali sono “aree di notevole estensione, spesso coincidenti con un comprensorio naturale non ancora trasformato dalla civiltà industriale metropolitana, idoneo per vocazione ad assolvere finalità composite, tra le quali, accanto alla esigenza prioritaria della conservazione, trovino giusto posto anche gli scopi della ricreazione, della educazione e del tempo libero“. Mentre le riserve naturali sono “aree di estensione limitata, a volte addirittura identificabili con un singolo biotopo, fenomeno o entità naturale, pregevoli sul piano ecologico e paesaggistico, significative dal punto di vista scientifico e rappresentative di aspetti di determinati territori”. Questo è probabilmente parte dei motivi che rendono l’Isola “selvaggia” ed il Barro “accogliente”.

Già, la sensazione predominante lungo i sentieri ben curati del Monte Barro è di tranquillità, ci si può immergere nei suoi boschi anche in un’afosa giornata di Agosto trovandovi riparo dalla calura imperante. Raggiunta la giusta quota si può andare a zonzo senza pensieri, in piano, visitando il museo archeologico a cielo aperto o i vari punti ristoro. Probabilmente nei giorni di grande affluenza al Parco la mia misantropia può essere messa a dura prova ma, in un tranquillo sabato mattina, c’è abbastanza spazio per diluire la densità dei visitatori fino a renderli quasi invisibili l’uno all’altro (abbiamo incrociato 6 persone in tutto il periplo!). “Guarda che bel bosco e quanto spazio: ci porto Bruna ed i nanerottoli appena possibile!”. In effetti ero venuto con la piccola Andrea, spingendo il passeggino come Itto Ogami, già quando era neonata. Per compiere il periplo, invece, servirà ancora tempo. Tuttavia, con la giusta calma, non si può che rimanere colpiti da quegli insediamenti che risalgono al V° secolo dopo Cristo (…che a pensarci bene è un botto di tempo!). Serve poi un po’ di attenzione per rendersi conto che, sul lato sud, lungo il sentiero delle Torri, si cammina “sopra” la murata di un antica fortificazione che cingeva tutto il versante.

Fin della fiera un giretto di una decina di chilometri che, senza pretese, riserva molte più sorprese di quanto mi aspettassi e che può essere il preambolo di nuove avventure con i nanerottoli. Qui trovate qualche foto scattata da Nicola, il tracciato e due vecchi articoli sulle passate zingarate nel parco del Barro (giusto per comprendere come il tempo cambi ogni cosa).

Davide “birillo” Valsecchi

Prime Avventure!

Il Sasso della Vecchia

Prime Avventure!

Prime Avventure!

“Ossitocina”. L’ossitocina è un ormone presente in entrambi i sessi, semplicemente le donne ne hanno in media un 30% in più degli uomini. A cosa serve? A favorire la contrazione dell’utero durante il parto e la produzione di latte materno. Questo rende piuttosto curioso sia anche prodotta negli uomini. Ma forse non tanto visto che, ad esempio, è la responsabile durante l’orgasmo del rilascio della dopamina, l’ormone della felicità. Certo, al corso pre-parto come al solito ho fatto il buffone, ho raccontato a tutti che come mio Padre, e suo Padre prima di lui, anche io mi sarei limitato a bere Campari al bar durante il parto. Le tradizioni vanno rispettate! In realtà, come spesso accade, ho fatto diligentemente i miei “compiti a casa” e studiato il complesso “gioco di fasi ormonali” che è il travaglio. Gli ormoni sono piuttosto interessanti: sono messaggeri chimici, capaci di “mettere in movimento” processi decisamente complessi. Cosa mi ha insegnato Andrea venendo al mondo? Che siamo il risultato di un numero infinito di esperimenti evolutivi che, attraverso fallimenti e successi, ci hanno condotto ad essere ciò che siamo. Noi siamo il frutto dei successi, i fallimenti si sono estinti. La nostra razionalità è solo una minima parte di ciò che siamo, molte delle nostre scelte, dei nostri comportamenti, sono il frutto di un’intelligenza più profonda, chimica e meccanica, fatta di automatismi basati su un’assoluta conoscenza del nostro reale funzionamento. Tanto interno quanto esterno, perché questa intelligenza è soprattutto basata su un adattamento ambientale. Il reparto di Terapia Intensiva Prenatale mi ha invece insegnato che la nostra razionalità, comprendendo anche solo in parte questi processi profondi, può fare tutta la differenza del mondo. E questa differenza, mentre vi scrivo sfruttando un microprocessore in silicio connesso ad una rete globale, sonnecchia serena al sole succhiando contenta il suo ciuccio in silicone. Cosa davvero è avvenuto? E’ stato possibile trasformare potenziali fallimenti (era podalica e prematura) in potenziali successi (scoreggia già come suo padre!). Ciò è stato possibile solo attraverso un’evoluzione tecnica, sociale e culturale che su questo pianeta appartiene solo al genere umano: 5000 anni contro qualche miliardo. Incredibile. A volte credo che la nostra “intelligenza”, la nostra struttura sociale, sia semplicemente parte della naturale evoluzione e che, come tale, non sia un percorso di cui siamo pienamente consapevoli (costellato quindi prevalentemente da tentativi e fallimenti a fronte di piccoli ma fondamentali successi). Affascinante, perché questo trasforma gli individui in elementi di un progetto più grande e comune. Anni fa una psicologa, piuttosto carina in effetti, mi sottopose ad un test di intelligenza stabilendo il mio IQ come 133. All’epoca rimasi piuttosto deluso: Albert Einstein aveva 162 ed il generale Norman Schwarzkopf 168 (io ero sotto di un buon 20%!! Niente invasione lampo dell’Iraq per Birillo!!). Poi mi consolai perché, nonostante avessi risposto ai quesiti soprattutto “giggioneggiando” con la mia esaminatrice, avevo raggiunto un punteggio superiore alla media italiana. Oggi essere sopra la media non mi consola affatto, anzi, la quantità di cose che sfuggono alla mia comprensione mi fa solo sentire più stupido: “Birillo, hai tecnicamente gli strumenti ma non sai usarli e combini solo casini!!” A volte faccio scelte apparentemente irrazionali che, con grande stupore, si rivelano assolutamente azzeccate in uno scenario più ampio. La “bestia” ha quasi sempre ragione, e questo a volte mi spaventa perché mette in discussione il mio reale libero arbitrio. Quanto mi appartengono le mie scelte? Quanto è importante che davvero mi appartengono? Ma, come vi ho detto, mi sento piuttosto stupido perché non ho le risposte giusta per questi quesiti. Comunque sia… tutta questa “filippica” per una semplice riflessione: la piccola Andrea a volte si nutre al seno a volte è necessario utilizzare il tira-latte ed il biberon; Bruna nei giorni scorsi era preoccupata, a volte tanto da piangere, perché aveva la sensazione che il latte materno le stesse calando. Effettivamente ne produceva sempre meno. Io non ero molto preoccupato, oggi c’è una grande varietà di latte artificiale (ovviamente meno della varietà del cibo per cani e gatti disponibile in un qualsiasi supermercato). Il latte artificiale ovviamente costa abbastanza caro e questo, ad esempio, avrebbe comportato qualche adeguamento nelle mie scelte economiche e professionali (la nostra cultura è spesso più spietata e selettiva di quanto lo sia Darwin). Il primo effetto pratico è stato l’acuirsi di quell’opprimente dolore al fianco sinistro, appena sotto le costole. Dicono che l’intestino sia una specie di secondo cervello, un organo con capacità sensoriali e senzienti ancora non completamente comprese. “Cosa ti dice la pancia?” è la domanda che curiosamente mi pone sempre mia moglie quando sono pensieroso. Così a Pasquetta, dopo una cassa ghiacciata colma di cubetti e birre, ho riconfigurato tutte le mie priorità e, senza rendermene conto, ho attivato una sconfinata serie di trasformazioni che, ad effetto cascata, hanno stravolto lo scenario. All’improvviso mi sono ritrovato a spingere la carrozzina (prestata da mia sorella) in una magnifica giornata di sole primaverile: il monte Barro, il muro di Sormano, Spessola. La scelta più irrazionale sembra essere stata la migliore: mia figlia ride, mia moglie è felice, produce latte come una latteria, il dolore al fianco si è attenuato. Cosa mi ha insegnato tutto questo? Che ho bisogno di una carrozzina più robusta, con ruote più grandi ed ammortizzate, se voglio “esplorare” con Andrea strade nuove!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Quando tua figlia ha 30 giorni di vita ed avrebbe dovuto nascere solo tra 20… ma tu sei il nostromo e la nanerottola si spara con il passeggino il “Muro di Sormano” lasciando a bocca aperta i turisti indiani con la bicicletta da corsa: Cose da Tassi…

Il Sasso della Vecchia

Il Sasso della Vecchia

Il Monte Barro fa bella mostra di sè dal terrazzo di casa mia: ogni volta che vado in salotto me lo ritrovo davanti attraverso le grandi vetrate. Curiosamente i Corni, il Moregallo, il Birone, sono tutti alle spalle, visibili solo allungando il collo attraverso finestre più piccole. Nonostante questo non ero mai stato in cima al monte Barro: forse, perchè devo attraversare a piedi la ferrovia, perchè è meno alto, perchè c’è meno roccia, soprattutto perchè nell’immaginario collettivo è considerata una montagna da poco, quasi una “non-montagna”. In realtà, dopo esserci stato solo tre volte, credo sia un’assoluta falsità e che il Barro abbia delle potenzialità nascoste, ragguardevoli ed assolutamente inaspettate!

Bene, NikyBoy voleva fare un giro, due passi ed un paio di chiacchiere. Così dopo pranzo abbiamo puntato al Pian Sciresa e da lì siamo saliti verso il Sasso della Vecchia. Ancora non conoscevo quel nome, per me era solo il grosso monolito ben visibile tra i prati che osservavo da casa nelle giornate d’estate. Mi ero spesso chiesto se fosse “arrampicabile”, una volta avevo anche preso il binocolo per osservarlo meglio. Tuttavia mi ero convinto fosse una pila di sassi fragile, il classico scoglio che si sgretola. Invece, sorpresa, offre roccia di qualità magnifica!

Istintivamente ho appoggiato le mani trovandovi grandi maniglie e comode tacche. Prima di rendermene conto mi ero già alzato da terra curiosando tra le fessure in cerca di appigli e protezioni. Ciliegina sulla torta una solida pianta che sulla sinistra sembra chiamare a voce una fettuccia o un cordino. “Spettacolo! Qui puoi salire un po’ ovunque!”. La difficoltà, a naso, ricorda il primo passaggio impegnativo della Crestina Osa, però più lungo e continuo nella verticalità. Gioco un po’, senza trascurare che si è subito a tre o quattro metri da terra e che tutto il blocco sarà sui sei o sette metri, abbastanza da picchiare giù davvero duro. Uscire in alto alla cieca sarebbe pretestuoso e velleitario, se mi salta una presa finisce il divertimento, tuttavia la roccia sembra buona e promettente. Traverso e raggiungo un canalino alle spalle, che rimonta alzandosi sul prato. Da lì arrivo in cima senza difficoltà e sulla sommità trovo uno spit arrugginito: gira, è mezzo fuori ed è tremendamente pericoloso. Tuttavia, in modo grezzo, qualcuno ha avuto la mia stessa idea ed arrampicare sul Sasso della Vecchia forse appartiene alla tradizione. Quello spit è inutile e malmesso, ma fortunatamente con un paio di cordini si può realizzare una buona sosta anche senza.

Alla croce del Pian Sciresa avevo letto diverse lapidi, una era dedicata a due ragazzi. Il nome di uno dei due mi aveva particolarmente colpito perchè, Ercole Esposito, era omonimo del famoso Ruchin di Calolzio. Riccardo ed Ercole, insieme ad un Gianni aggiunto poi, sono i nomi del monumento alla base del Sasso. “Caduti nella generosità della salita” recitava a Pian Sciresa. Forse i due giovani sono caduti proprio sul sasso, forse cercando di imitare i grandi hanno tentato la salita con una corda facendosi sicura a spalla, forse la caduta li ha trascinati di sotto entrambi. Non so e purtroppo non saprei a chi chiedere, toccherà investigare…

Un’altro aspetto del Barro che non ti aspetti è la vista: un terrazzo magnifico sulle montagne e sui laghi. Nel cielo terso di queste atipiche giornate invernali era possibile curiosare ovunque, lasciando che il sole basso disegnasse ombre impreviste sulle pieghe delle montagne. Solo per questo il Barro meriterebbe molto più rispetto. Inoltre, tutti i canali e gli speroni del versante Est sono tutt’altro che “paglia”. Ci sono angoli brutalmente selvaggi in cui serve pelo e forse incoscienza per andare a curiosare. Io un pochino sono andato a metterci il naso ma non è cosa da prendere alla leggera. Un RavanoPark che offre solo due opzioni: o fai il giro o dai battaglia dura!

Visto che ero in compagnia chiedevo a NinkyBoy di aspettarmi sul sentiero, di farmi da guardia, e girovagavo alla base delle pareti più accessibili. La roccia è buona, un misto tra quella dei Corni e quella del Moregallo: quindi buona ma difficile. Non ci sono paretoni, non escono vioni infiniti, ma qualche buon monotiro o qualche vietta di due o tre tiri sì. Così mi sono messo a cercare vecchi chiodi, segni del passaggio di qualcuno. Alla fine qualcosa ho trovato!

Vecchi chiodi a pressione, un chiaro tentativo con le staffe che però si arresta su un chiodo ad anello da cui probabilmente si sono calati. Credo abbiano visto la grande onda strapiombante verso cui puntavano dritti ed abbiano deciso di tirare i remi in barca prima di essere travolti dallo tsunami. Tuttavia, complice forse la mentalità dell’epoca, avevano tentato una “diretta” senza rendersi conto delle opportunità che tutto intorno offre la roccia ( e che invece mi stuzzicavano!). Una spaccatura tra due pareti ed un sasso incastrato creano un bel camino in cui sono salito in opposizione quasi fino all’uscita: “Ma sai che è proprio bello qui! Per viver sereni servono un botto di chiodi – la roccia è sfuggente come quella dei Corni – ma le possibilità ci sono tutte!!”. Troppo ravanosa e troppo poco trendy per la spit-generation della falesia di Galbiate, difficilmente qualcuno verrà fin quassù a far danni con il trapano, tuttavia la zona è decisamente intrigante per gli amanti dell’esplorazione e delle salite vecchio stile.

Dalla cima siamo scesi lungo un crinale erboso sul versante est. Il sentiero che sembrava promettente si è poi perso tra il paglione e le roccette ma ero intrigato dalla costruzione senza tetto, dalla grande chiesa, che era ben visibile dall’alto. San Michele: la millenaria chiesa incompiuta, un’altra sorpresa imprevista del Barro. Di nuovo a Pian Sicresa si è fatto presto a rientrare a casa. Un giro ad anello decisamente interessante: seduto in salotto ora ho un’idea ben diversa del piccolo ma indomito Barro. Ringrazio NikyBoy per la compagnia e per le foto: davvero consigliabile farsi un giro da quelle parti!

Davide “Birillo” Valsecchi

 

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