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Asso nello Specchio del Tempo

Asso nello Specchio del Tempo

Il tempo alle volte è uno specchio inclemente ma non è sempre è così facile cogliere il proprio riflesso. Ecco la storia di queste due “riflessi” a confronto: Oggi e Ieri.

Confesso che mettere insieme queste due foto mi è costato un bel po’ di fatica. Tutto è cominciato ieri dopo che ho pubblicato una vecchia fotografia realizzata dal Signor Paredi. Quella foto ha colpito molte persone e persino da Morbegno, dove vive il mio amico Cristian, mi hanno scritto:”scatta oggi la stessa foto!

Così ieri sera ho cercato di geocodificare il punto in cui era stato fatto lo scatto incrociando le immaginarie linee rette dei tetti all’interno di Google Earth, un modellatore tridimensionale di immagini satellitari. Quindi ho ristretto il campo approssimando un area di interesse.

Dopo pranzo avevo un paio d’ore e mi sono arrampicato su per il Dosso Deo, sopra le scogliere che sovrastano Villa Vita, partendo da Pagnano e Megna. Tutto il crinale un tempo doveva essere ben tenuto e falciato perchè sono ancora presenti molti dei muretti che terrazzavano il fianco della montagna. Purtoppo ora è un bosco abbandonato invaso dai rovi e gli unici passaggi sono offerti dai sentieri che creano l’acqua piovana e gli animali.

Ci sono molte piante abbattute e molti punti sono esposti sulle rocce e decisamente pericolosi: non mi aspettavo simili difficoltà ed in alcuni momenti, aggrappato ai rovi con la terra che cedeva sotto i piedi, ho decisamente maledetto la mia naturale avventatezza. Guandando in basso, ho pensato tra me e me: “Se Bruna scopre che sono venuto qui da solo sarà decisamente contrariata al mio funerale… se mai mi troveranno!!”

Una volta trovata un’inquadratura compatibile mi sono imbattuto in un nuovo problema: gli alberi. Quando fu scattata la foto originale era infatti tutto prato e per trovare uno spiazzo aperto, per ricreare l’inquadratura, ho dovuto arrampicarmi su di una pianta alle spalle di un’albero abbattuto.

Sovrapponendo le immagini si individua una leggera discrepanza che è il margine d’errore delle due inquadrature: la vecchia foto è stata scattata leggermente più in alto e leggermente più a sinistra. Purtroppo il bosco non mi concedeva spazi aperti più precisi ma, come primo esperimento, mi sembra un’approssimazione più che accettabile.

Sconsiglio di avventurarsi da quelle parti, specie sopra le rocce, ma se qualcuno, magari tra una cinquantina d’anni, volesse ripetere l’esperimento lascio qui il tracciato GPS della mia esplorazione.

Davide “Birillo” Valsecchi

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Come era verde la mia valle

Come era verde la mia valle

In questi giorni sto preparando le fotografie del libro «Asso come era» per presentarle ai ragazzi delle Scuole Medie di Asso. Lo scopo è di realizzare con loro una ricerca storica in collaborazione con le insegnanti e le famiglie.

Credo sia giusto mostrare loro le foto perchè conoscano ciò che è stato e possano “interrogare” nonni e genitori alla scoperta della storia del nostro paese.

Mentre preparavo le immagini sono rimasto colpito ancora una volta dalle trasformazioni del tempo. “Una volta qui era tutta campagna” è una frase spesso scontata ma mentre vi scrivo da Scarenna non posso che rendermi conto di quanto sia vera.

Nel dettaglio della foto si distingue il cotonificio Oltolina, le grandi piante che componevano il suo parco ed i magazzini che ora si trovano a ridosso del ponte nuovo. Oltre c’era solo verde e verdi erano anche le colline sopra Scarenna sul fianco del montagna nella Valle Scuri.

“Quanto è cambiata Asso”.  Onestamente non vi è un giudizio in questa mia frase, solo stupore, incredulità di fronte ad una trasformazione difficile da comprendere ma che appare chiara ed inconfutabile in una simile immagine.

“Un paese che non si ricorda del proprio passato è un paese senza futuro” ammoniva qualcuno. Ecco perchè raccolgo foto e testimonianze da lasciare a chi sarà assese dopo di noi.

Nel libro vi è uno scritto del Dottor Pagani che fa da prefazione storica alle immagini che seguono e che vorrei salvare nel tempo riproponendolo anche qui:

Come era verde la mia valle

Alcune sequenza fotografiche degli anni passati ricordano la Asso “perduta” ma che è sempre bello ricordare. Non si tratta di inutile nostalgia per i “giorni perduti” bensì si intende ritrovare un tipo di cultura umanistica che probabilmente il tessuto sociale di molte comunità attuali ha troppo facilmente dimenticato e che quindi si spera potrebbe ancora ritrovare.

Solo ricordando il passato si può tentare di ricostruire meglio il necessario progresso futuro, altrimenti sarebbe inutile studiare la storia e le umane lettere e scienze umane.
Virgilio, Dante, Leopardi, Foscolo, insegnano che ricordare il passato nel bene e nel male è come riscoprire le sorgenti della nostra esistenza, migliorando la vita ed evitando gli errori compiuti con la spinta dell’animo alle “egregie cose”.

Questo è lo scopo di questa iniziativa anche nella nostra comunità civile e sociale. La solidarietà, la comunanza, il senso di appartenenza, il sentire comune appaiono oggi certamente in declino. Forse negli anni meno ricchi ci sentiamo più uniti? Le attuale non floride e preoccupanti condizioni economiche nazionali e mondiali ci insegnano a cambiare stili di vita e modo di pensare!

Come è significativo ricordare a questo proposito il bellissimo verso ed insegnamento poetico del nostro illustre brianzolo Giuseppe Parini, anche Lui pensoso del bene civico comune, quando in un agitato Consiglio civico di Milano disse: “Io volsi i fasti e l’Itale muse a render buoni e saggi i cittadini miei”

Flamen Civium

1911: Giolitti e l’Italia in Libia

1911: Giolitti e l’Italia in Libia

Tripoli: corso Vittorio Emanuele Terzo
Tripoli: corso Vittorio Emanuele Terzo

“Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”

Questa è una delle frasi attribuite a Giovanni Giolitti, più volte presidente del Consiglio dei ministri  in un periodo storico dell’Italia legato al suo nome: l’età giolittiana.

Curiosa è la storia ed il suo rifluire come una ruota sul destino del nostro paese: Giolitti, il 29 settembre 1911, diede inizio alla conquista della Libia ed allo scontro con l’Impero Ottomano.

Il “Sublime stato ottomano” aveva la sua capitale ad Instambul, nell’attuale Turchia, e dominava gran parte dei territori affacciati al sud-est del Mediterraneo.

Doveva essere una guerra rapida ma si prolungò oltre le aspettative: per costringere l’Impero Ottomano alla resa fu necessario richiamare alle armi quasi mezzo milione di uomini ed occupare militarmente, con una serie di sbarchi, le isole del Dodecaneso, un arcipelago Grecia compreso tra l’odierna Turchia e l’isola di Creta a Sud, le Cicladi ad Ovest e l’isola di Samo a Nord.

Non era nemmeno la prima volta che italiani invadevano la Libia: nel 1146, una grossa flotta siciliana al comando di Giorgio d’Antiochia, ammiraglio di Ruggero II, partì da Trapani e conquistò la città di Tripoli che rimase sotto il Regno di Sicilia sino a fine secolo.

Nel 1912, quindi, gli italiani erano stabilmente in Libia e gradualmente il loro numero raggiunse il 37% della popolazione. Con il Trattato di Losanna del 1923 l’occupazione italiana fu riconosciuta ufficialmente a livello internazionale. Nella foto qui riportata si ha uno scorcio del Corso titolato a Vittorio Emanuele Terzo ed è curioso vedere la scritta GARAGE FIAT sull’insegna.

Con la sconfitta italiana nella Seconda Guerra mondiale nel 1946 Tripoli passava sotto il controllo inglese e tale sarebbe rimasta fino alla rivoluzione guidata da Gheddafi nel 1969: quello che oggi si proclama come il padre della rivoluzione di fatto divenne il discusso e contraddittorio dittatore della Libia.

Il 7 ottobre è celebrato ufficialmente dal Governo Libico, anno dopo anno, come il  “giorno della vendetta”. La commemorazione di quando, nel 1970, il Colonnello Gheddafi cacciò 20.000 italiani dal suolo libico espropriandoli di ogni bene.

Per motivi puramente economici nel 2008 l’Italia ha firmato un accordo “chiusura del passato” con cui il governo di Roma si è impegnato  a realizzare infrastrutture in Libia per un valore di 5 miliardi di dollari, tramite l’esborso di 250 milioni di dollari all’anno per 20 anni. Coloro che hanno tratto maggiore beneficio da questi accordi sono stati petrolieri, costruttori e sopratutto le Banche Italiane che ora hanno il Governo Libico tra i propri azionisti.

Gheddafi era un terrorista da ben prima che io nascessi. I suoi proclami, le sue gesta ed i suoi misfatti sono parte della mia infanzia così come i tentativi di porre fine a quella che  per l’occidente è sempre apparsa come follia. Ora massacra il suo popolo in rivolta: nessuno si lascierà scappare una simile occasione.

1911- 2011 Quest’anno, dove curiosamente ricorre il centenario di quell’impresa bellica di Giolitti, è iniziata “Odyssey Dawn”, Alba dell’Odissea, uno strano nome per una missione militare: « Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme, che tanto vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia».

Non promette nulla di rapido…

Davide “Birillo” Valsecchi

Gheddafi? Spero lo ricorderemo così: Discorso Gheddafi (traduzione)

Il Tricolore del Lario

Il Tricolore del Lario

Il Tricolore a cura dell'Associazione Nazionale Alpini
Il Tricolore a cura dell'Associazione Nazionale Alpini

«Siamo contrabbandieri sul lago, spalloni tra i monti. Siamo gente di confine: nè paltanelli, nè magna cola, nè ciuccia nebbia. Per noi Milano è a Sud tanto quanto Roma.

Non credano di venir a dettar legge tra noi, siamo gente del Lario, abbiamo quarantotto bandiere ma un solo Tricolore: quello per cui hanno combatutto i nostri nonni e quello per cui siam pronti a menar le mani anche noi.

Lo tengano a mente!!»

Questo è il pensiero, amareggiato e furioso, con cui mi sono addormentato ieri dopo aver letto che due consiglieri del Comune di Como si sono offesi “lanciandosi in faccia” il Tricolore durante il Consiglio Comunale.

Comincio a credere che siano sempre meno e sempre troppo pochi i politici di cui si possa avere rispetto e stima.

Il numero di “studipi” che assurge a cariche pubbliche è ormai imbarazzante e credo, proprio per amor di Patria, non si possa più tacere.

I Padri della Patria erano tra le menti più illuminate del risorgimento: perchè questi ignoranti, illetterati, maleducati, cafoni ed opportunisti devono guidare la mia gente? Condurre la mia Nazione?

E questi due, tale Vittorio Mottola e tale Diego Peverelli, non mi diano fastidio più di tanto, non sveglino il gigante quieto,  perchè l’articolo 292 del codice penale, vilipendio o danneggiamento alla bandiera, parla chiaro e come cittadino indignato ho il pieno diritto di biasimare il loro comportamento, specie se accade durante l’ufficialità di un consiglio ed in qualità di rapprensentante pubblico (due anni di carcere e 10mila euro di multa per entrambi!!)

Si tirano la bandiera berciando come bambini all’asilo: vi tiriamo schiaffi in faccia, giù le mani dal Tricolore!!

Nessuno è obbligato ad essere patriota così come nessuno è obbligato ad essere una persona onesta ma tutti siamo tenuti a comportarci in modo onesto o a pagarne le conseguenze: questa è la stracazzo di democrazia!!

Se si fossero cavati gli occhi con le penne stilo non avrei aperto bocca ma mettere in piedi una simile buffonata è inaccettabile ed ho provato tristezza nel vedere che l’unico che abbia cercato di non far cadere il Tricolore a terra sia stato un semplice usciere: tutti in quella sala si sono macchiati di vigliaccheria davanti alla bandiera semplicemente tacendo!!

Questa gente deve smetterla di credere in una nostra inesauribile tolleranza alla loro stupidità.

Davide “Birillo” Valsecchi

Per chi volesse farsi il sangue amaro ecco il pessimo spettacolo messo in piedi da “gianni e pinotto” immortalato dalle telecamere di QuiComo.it:  Seduta di Consiglio Comune di Como

150°: l’Italia chiamò

150°: l’Italia chiamò

Unità d'Italia
Unità d'Italia

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta. Dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa.Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, ché schiava di Roma Iddio la creò!! Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte: l’Italia chiamò.

Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un’unica bandiera, una speme: di fonderci insieme, già l’ora suonò!! Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte: l’Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore; Giuriamo far libero Il suolo natìo: uniti per Dio chi vincer ci può? Stringiamci a coorte Siam pronti alla morte:l’Italia chiamò.

Dall’Alpi a Sicilia dovunque è Legnano, ogn’uom di Ferruccio ha il core, ha la mano. I bimbi d’Italia si chiaman Balilla, il suon d’ogni squilla i Vespri suonò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte: l’Italia chiamò.

Son giunchi che piegano le spade vendute: già l’Aquila d’Austria le penne ha perdute.Il sangue d’Italia, il sangue Polacco bevé col cosacco ma il cor le bruciò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte: l’Italia chiamò

Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell’autunno del 1847 dall’allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l’Austria.

L’immediatezza dei versi e l’impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell’unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale,ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi,nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani – e non alla Marcia Reale – il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese. Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l’Inno di Mameli divenisse l’inno nazionale della Repubblica Italiana.

Il 17 Marzo 2011 si festeggiano i 150 anni d’Unità d’Italia e tutti coloro che per tale unione hanno combattuto, scritto e sofferto. Nel 1861 si unificava l’Italia in un unico regno che sarebbe diventato Repubblica nel 1946.

Festeggiando questa data per ricordare un passato che appare lontano ma di cui dobbiamo tenere memoria per ricordare a tutti gli italiani gli ideali e le speranze di chi è stato italiano pima di noi.

Davide “Birillo” Valsecchi

Io sono di Cranno, di Asso, della Vallassina, del Triangolo Lariano, sono Comasco e del Lago di Como, sono Lombardo ed innegabilmente sono Italiano prima ancora di essere Europeo ed abitante del Pianeta Terra all’interno del Sistema Solare: per me è una ricchezza appartenere a tante realtà diverse in un’unica Unità.

Berliner Fallout: capitolo #04

Berliner Fallout: capitolo #04

Nel 1975 il canadese John Runnings tentò di abbattere il muro con un martello ma fu ferito dai proiettili delle guardie sovietiche.
Nel 1975 il canadese John Runnings tentò di abbattere il muro con un martello ma fu ferito dai proiettili delle guardie sovietiche.

Francis Gary Power, un nome che può sembrare distante ma che invece gioca un ruolo solo apparentemente marginale nella storia del muro di Berlino. Alla fine della seconda guerra mondiale la Germania fu divisa in quattro parti ed anche la città di Berlino fu ripartita in quattro settori: americano, francese, inglese e sovietico.

Questa soluzione, adottata alla Conferenza di Potsdam dell’agosto 1945, doveva durare solo fino alla firma definitiva del trattato di pace ma purtroppo diede vita ad una situazione di instabilità che si risolse solo nel 1990, ben 45 anni dopo.

Se la Germania era di fatto semplicemente divisa in due, Est ed Ovest, Berlino era una città governata da quattro nazioni all’interno della Germania dell’Est controllata dai Sovietici. Con la chiusura delle frontiere nel ’52, Berlino divenne in tutta la Germania dell’Est il posto migliore da cui tentare la fuga verso l’Ovest:  un “loophole” dove si accentravano tutte le tensioni e gli accordi delle quattro superpotenze.

Attraverso Berlino circa tre milioni e mezzo di tedeschi dell’Est, il 20% dell’intera popolazione, scappò all’Ovest. A fuggire erano soprattutto tecnici, lavoratori specializzati, ingegneri e figure professionali a cui i Sovietici non erano intenzionati a rinunciare.

Nel Novembre  del 1958, il Premier Sovietico Nikita Khrushchev diede un ultimatum alle potenze occidentali: “Entro sei mesi lasciate Berlino e permettete alla città di tornare una zona demilitarizzata all’interno della Germania dell’Est”. I paesi alleati risposero ribadendo il loro diritto legale di presidiare la città.

La situazione si stava facendo seria ma americani e sovietici decisero di incontrarsi ed è significativa la fra se che Eisenhower, Presidente Usa, disse a Khrushchev, Premier Sovietico, durante l’incontro a Camp David: “Non c’era niente di più inopportuno in questa situazione che parlare di ultimatum, dal momento che entrambe le parti sanno molto bene che cosa accadrebbe se un ultimatum dovesse essere attuato”.

Krusciov rispose che non capiva come un “trattato di pace” (peace treaty) potesse essere considerato dal popolo americano come una “minaccia alla pace” (threat to peace). Eisenhower ammise  che la situazione di Berlino era “anormale” e che “le vicende umane prendono una brutta piega, alle volte.”

Krusciov sembrava fiducioso e riteneva possibile un accordo nella successiva conferenza che si sarebbe tenuta a Parigi. Purtroppo qui fa il suo ingresso nella storia Francis Gary Power, il pilota dell’aereo spia U2 che fu abbattuto negli spazi aerei sovietici: lo scandalo che ne emerse fece saltare la conferenza di Parigi e le sue speranze.

[ E’ interessante notare che gli U2 decollavano dal Pakistan e questo fa capire come già allora la “guerra fredda” coinvolgesse molti dei paesi che oggi sono parte della “guerra al terrorismo”. ndr]

Ad Eisenhower, che era nato alla fine dell’800 ed era stato comandante in capo delle Forze Alleate in Europa durante la Seconda guerra mondiale, succedette un giovane presidente, il primo nato nel ventesimo secolo: John Fitzgerald Kennedy.

Le prime parole che disse parlando di Berlino furono: “Noi cerchiamo la pace, ma non ci arrenderemo”. Successivamente chiese al Congresso di rafforzare la presenza militare nella Berlino Ovest.

“Niemand hat die Absicht, eine Mauer zu errichten!”, nessuno ha intenzione di costruire un muro, disse Walter Ulbricht, Presidente della Germania dell’Est, quando chiese con forza ai Sovietici di fermare l’esodo della popolazione del suo paese. Quella fu la prima occasione in cui si parlò del muro due mesi prima che fosse cominciata la sua costruzione.

Alla mezzanotte del 15 Agosto 1961 i confini furono chiusi: la gente andava fermata, andava impedito che lasciassero il paese, che decidessero dove vivere ed erano pronti a farlo anche con la forza se necessario, anche con un muro.

Il Presidente Kennedy ebbe a dire “It’s not a very nice solution… but a wall is a hell of a lot better than a war”. (Non è una soluzione molto buona… ma un muro è un inferno di gran lunga migliore di una guerra)

Davide “Birillo” Valsecchi

Il vento di Scarenna

Il vento di Scarenna

La Grigna da Scarenna
La Grigna da Scarenna

Ormai è due settimane che ho trasferito la mia “base” qui nella frazione, nella piana di Scarenna.  Nei giorni scorsi, quando pioveva, la montagna si è riempita di cascate e corsi d’acqua. Dal piccolo giardinetto della mia casa, a debita distanza dalla roccia, si potevano ammirare i grandi salti che l’acqua compie sulle bastionate della montagna al di sotto della sella che unisce Piazza Dorella al Croce Pizzallo.

Quando ero bambino ricordo che quella montagna, ora fradicia d’acqua, prese letteralmente fuoco e gran parte dei suoi boschi e prati arsero nella notte. Ci fu un gran trambusto di pompieri e volontari e mio padre, dopo aver convinto mia madre, mi portò nella notte a vedere le fiamme purché rimanessimo al di là del fiume: in macchina parcheggiammo al di là del Lambro, sul versante canzese di quello che era il “guado”  ora sostituito dal ponte nuovo.

Nell’oscurità fuoco rosso vivo avvolgeva la montagna squarciando di un tetro bagliore la notte: uno spettacolo terribile e magnifico al contempo.

Acqua, fuoco e terra: incuriosito qualche giorno fa sono andato a piedi fino alla vecchia palestra d’arrampicata, a poca distanza dalla grande frana venuta a basso giusto il gennaio del 2010. La strada è ancora bloccata e di fatto Scarenna è un “cul de sac”: una piana intera che, isolata, dipende interamente dal ponte nuovo.

Ma l’elemento che realmente domina la piana è uno solo ed ogni notte ribadisce la sua forza cantando ed urlando tra gli alberi e le case: il vento di Scarenna.

Il vento è stato una vera sorpresa per me che ho sempre abitato protetto dalla collina di Cranno o tra le case del centro storico di Asso: è una forza ed una presenza costante che si infila nella casa nonostante i doppi vetri, nonostante i serramenti nuovi. Lo senti fischiare guardando spingere le porte delle stanze come se avesse la forza di filtrare attraverso i muri tanta è la sua tenacia.

Una mattina di sole, dopo giorni freddi, finalmente mi è apparsa la grande madre del possente vento di Scarenna: la Grigna. Il panorama di cui gode la piana è unico ed invidiabile: sono 34 anni che vivo ad Asso ed è stata per me una sorpresa aprire la porta di casa e trovarmi di fronte una tale magnificenza.

Nella sua imponenza appare innevata al di là del lago mentre i venti che scendono dal nord del Lario, deviati nella loro corsa dal Moregallo e dal gruppo dei Corni, si  sfogano negli spazi della Vallassina superando la piana di Valbrona

E così, mentre il vento soffia e la Grigna brilla nel sole, vi lascio con il testo della canzone che mia mamma mi cantava sempre in omaggio a quella “montagna ripida e ferrigna”:

Alla guerriera bella e senza amore un cavaliere andò ad offrire il cuore; cantava: “Avere te voglio morire!”. Lei dalla torre lo vedea salire. Disse alla sentinella che stava sopra il ponte: “tira una freccia in fronte a quello che vien sù”.

Il cavaliere cadde fulminate. Ma Dio punì l’orribile peccato e la guerriera diventò la Grigna, una montagna ripida e ferrigna. Anche la sentinella, che stava sopra il ponte, fu trasformata in monte e la Grignetta fu.

Noi pur t’amiamo d’un amor fedele, montagna che sei bella e sei crudele. E salendo ascoltiamo la campana, d’una chiesetta che a pregare chiama. Noi ti vogliamo bella che diventasti un monte; facciamo la croce in fronte: non ci farai morir.

Davide “Birillo” Valsecchi

Foto Curiosa: nelle vecchie cartine vi è una zona di Scarenna denominata "bersaglio". Sebbene ora sia affollata di abitazioni un tempo era una pianura talmente isolata da venir usata come poligono di tiro sia militare che civile. Vedrò di recuperare qualche foto.
Foto Curiosa: nelle vecchie cartine vi è una zona di Scarenna denominata "bersaglio". Sebbene ora sia affollata di costruzioni un tempo era una pianura talmente isolata da venir usata come poligono di tiro sia militare che civile. Vedrò di recuperare qualche foto.
Libro fotografico «Asso come era»

Libro fotografico «Asso come era»

libro-copertina

Nonostante la neve di questi giorni, abbiamo portato in paese da Saronno le prime duecento copie di «Asso come era»: il libro fotografico realizzato con le immagini storiche del paese. Un elegante volume di sessanta pagine con cinquantasei foto che spaziano dai panorami ai particolari di Asso attraversando il tempo degli anni tra le due grandi guerre.

Asso come era

Fotografie inedite che riemergono dal passato e vengono descritte dalle didascalie realizzate insieme a Flaminio Pagani, storico sindaco di Asso e testimone assese della nostra storia. Fotografie dell’archivio personale della famiglia Paredi che per  due generazioni di fotografi ha immortalato il paese e la sua gente.

Lo spettacolo di una Vallassina incontaminata, di una valle verde le cui colline erano ancora coltivate fino alla sommità, di un paese elegante e prestigioso le cui strade erano percorse da nobili, signori ma anche da ruspanti contadini ed agricoltori.

La prima ambulanza, le prime autovetture, il mercato delle bestie, il circuito del Lario e le prime gare ciclistiche, la vallategna, la Circovallazione ancora in costruzione, il vecchio orologio della chiesa ed i merli della torre del castello: questo e molto altro.

Natura, storia e società in un’affascinante serie di scatti in bianco e nero in grado di catturare chi è nato e cresciuto in queste valli e che saprà ritrovare i dettagli ed i ricordi che ancora oggi sono visibili e presenti.

Un buon libro, molto delicato ma per nulla nostalgico, in grado di rafforzare un orgoglio, a volte sopito, per un glorioso passato che ancora ci appartiene.

Il libro ha due prefazioni,  la prima di Giovanni Cristiani, giornalista de La Provincia, che rappresenta la voce dei giovani, la testimonianza recente di chi abita il paese. La seconda è di Flaminio Pagani, storico sindaco ultraottantenne, che invece rappresenta la voce dei decani, di chi conserva le storie e le testimonianze del passato. Due pensieri, due ricordi, che si rianimano insieme in un vivido presente.

Il libro è disponibile presso lo studio fotografico FotoParedi Asso ed ancora una volta ringrazio la famiglia Paredi per l’aiuto offerto. Voglio inoltre ringraziare Emanuele Zappalà dello Studio Teconocasa Asso ed il Gruppo Supermercati EFFE3 per averci aiutato e sostenuto nello sforzo economico per dare vita a questo libro.

Vi invito tutti a visionare la pubblicazione ripromettendomi di organizzare una serata di presentazione ed incontro qui in paese per poter condividere le foto ed i racconti ad esse legati. Questo vuole essere il primo di una serie di progetti tesi a conservare il ricordo del passato cittadino e la valorizzazione delle sue risorse storiche culturali.

Vi lascio con un piccolo filmato realizzato con alcuni degli scatti utilizzati per comporre il libro.

Davide “Birillo” Valsecchi

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