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Le foto de “Il Napoletano”

Le foto de “Il Napoletano”

Il Napoletano
Il Napoletano

Come avrete letto qualche giorno fa abbiamo incontrato un nuovo amico che, amichevolmente, chiamiamo “Il Napoletano” nelle nostre storie. Abbiamo cominciato a parlavi di lui quando si è piantato un grosso amo da pesca in un dito ed ha dovuto sperimentare gli ospedali africani per estrarlo.

Io lo chiamo “Il Napoletano” soprattutto per omettere nei mei articoli il suo vero nome, per conferirgli un’aura di mistero ma anche per lascairgli un po’ di riservatezza.

In realtà “Il Napoletano” è uno volto molto noto dello spettacolo che ha lavorato sia per la televisione che per il cinema realizzando diversi Film italiani sopratutto negli anni ’80 / ’90. Ma non è qui per far spettacolo: è un “soggetto” più che originale e la sua grande passione è la pesca.

Per questo motivo ora è qui con noi in cantiere per pescare ma anche  per collaborare alla decorazione di alcune parti del resort per cui Enzo sta realizzando il cancello. Il Napoletano si definisce un “semplice imbianchino” ma in realtà è un ottimo ed appassionato decoratore. Orbene, visto che non mi va di rompergli le scatole mettendo il suo nome su Internet continuerò a chiamarlo “Il Napoletano” anche se per questo non smette di ridere quando legge i miei articoli.

L’altro giorno, quando i ragazzi del laboratorio di giornalismo delle scuole di Asso hanno mandato un sacco di accorati messaggi per la brutta ( …e buffa ) vicenda dell’amo, “Il Napoletano” ne è rimasto colpito ed ha deciso di sdebitarsi per la gentilezza preparando un regalo.

Di comune accordo ho chiesto lui di fotografare ciò che in una giornata l’avesse colpito in modo da avere un punto di vista nuovo con cui mostrare l’Africa, o quanto meno quella che ci circonda, ai ragazzi del laboratorio.

La nostra linea Internet è abbastanza limitata ma con un po’ di pazienza sono riuscito a caricare sul sito un po’ delle sue foto. Ecco il regalo de “Il Napoletano” per i ragazzi della scuola di Asso:


Davide “Birillo” Valsecchi

Asso chiama Zanzibar #05

Asso chiama Zanzibar #05

L'ombra del cancello realizzato da Enzo
L'ombra del cancello realizzato da Enzo

[In collaborazione con il laboratorio di giornalismo della Scuola Media di Asso coordinato dalla Professoressa Giulia  Caminada ecco i nostri racconti di viaggio dedicati ai giovani giornalisti]

Cari Davide e Enzo,
siamo in aula informatica e anche qui piove. E’ una giornata grigia ma nell’aula si avvertono i colori dei nostri pensieri. Infatti il Laboratorio di giornalismo ci sta prendendo molte energie perchè – per come ogni giornalista che si rispetti – il lavoro aumenta di settimana in settimana… scriviamo due volte al mese sul quotidiano la Provincia di Como, abbiamo da fare quattro pagine in tre mesi sul quotidiano IL GIORNO, lavoriamo per un giornalino che si chiama L’EDICOLA che distribuiscono mensilmente e gratuitamente in giro per bar e negozi, ad aprile registreremo il nostro primo podcast  e il blog da controllare e nutrire di notizie…

Sono appena entrate nell’aula la giornalista e la fotografa de IL GIORNALE DI ERBA. Abbiamo così raccontato a loro della lettera che ci avete appena inviato e che abbiamo appena letto insieme e loro publicheranno un articolo sulla nostra corrispondenza sul giornale di sabato prossimo. Come potete vedere siamo molto impegnati! Dobbiamo pensare e scrivere, scrivere e pensare e qualche volta sembra una grande corsa con le parole. Però bello! Bello perchè da cosa nasce cosa e quando le cose prendono una certa piega bisogna imparare a essere all’altezza delle situazioni, bisogna prepararsi per affrontarle.

Eravamo  col fiato sospeso mentre leggevamo dell’intervista che avremmo potuto fare a Marco Pugliese e alle 12.000 persone di “African Voices”, il portale di Marco, e ci ha molto entusiasmato comprendere che fanno riferimento al portale appassionati che vivono, lavorano o semplicemente amano l’Africa.

Ci ha fatto molto piacere che voi abbiate contattato Marco parlandogli di noi, dicendogli che siamo in viaggio con voi e naturalmente ci interessa tentare il nuovo esperimento.  Bloggiornalismo comporrà una lettera indirizzata ad “African Voices” proponendo una decina di domande che Marco provvedrà a presentare ai suoi utenti ponendole al centro di un piccolo dibattito, proprio come da piano concordato. Aspetteremo le varie risposte e realizzeremo un’intervista a 12.000 persone scoprendo un intero continente attraverso esperienze concrete di persone reali. Abbiamo deciso di parlarne insieme e di darvi le domande non prima di martedì prossimo.

Ora vi lasciamo, fra poco torneremo a casa ma la testa dovrà continuare a funzionare… Vi sembra facile avere l’impegno di dover pensare a quale domande è più opportuno mettere sul portale?

Noi di bloggiornalismo.scuoleasso.it: Carlo, Giandomenico, Andrea, Edoardo, Eleonora, Simona, Francesco, Martina, Giulia, Debora, Ines, Piercarlo, Michela, Gloria, Jessica, Martina, Francesca, Lucia, Giovanni, Aisha, Martina, Cristina, Dalila,  profcamiNada.


Come promesso eccovi una foto del cancello di Enzo che, pole pole (piano piano), sta prendendo forma. Per adesso dovrete accontentarvi di questa piccola anteprima dove si vede il disegno d’ombra che traccia il sole del pomeriggio. Spero che vi piaccia perchè c’è ancora molto lavoro da fare per ultimarlo e rifinirlo. Riuscite a capirne le figure dall’ombra?

Se siete invece preoccupati per le sorti de “il napoletano preso all’amo” posso dirvi che sta bene e che gli ho chiesto di prepararvi una sorpresa per rigraziarvi dei messaggi che gli avete inviato.

Davide “Birillo” Valsecchi ed Enzo Santambrogio

Fiamme viola nella notte africana

Fiamme viola nella notte africana

Acqua bassa sotto il pontile
Acqua bassa sotto il pontile

La parola swahili per “corrente elettrica” è “humeme”. La cosa divertente è che lo stesso termine era usato già in precedenza per la parola “fulmine”. Quindi parlando in swahili si ha l’impressione che siano i fulmini a far funzionare tutti gli strani marchingegni elettrici che gli europei hanno introdotto sull’isola. La realtà non è poi cossì dissimile perchè la corrente elettrica è effettivamente parente stretta di un fulmine ma, nel nostro linguaggio, il tutto appare meno pittoresco, meno denso di mistero. Forse soprattutto perchè, da noi, quando i fulmini si mettono a correre nell’impianto elettrico di casa non è affatto nè normale nè un bene.

La parola “moto” invece indica il “fuoco” ed “anga” indica il “cielo”. In swahili “fuoco e fulmini nel cielo” suonerebbe più o meno così: “moto na umeme katika anga”.

Questa notte è una notte strana, intensamente strana. In Madagascar si è abbattuta una tempesta tropicale ed anche qui, nonostante la distanza, se ne sentono gli effetti. Come sapete “il napoletano”, un nostro nuovo amico italiano, è appassionato di pesca ma da ben tre giorni non riesce a prendere alcun pesce: in realtà non è colpa sua perchè la marea sembra assente ed il livello del mare è rimasto per giorni basso ed immutato.

Nel mese in cui siamo qui non era mai successo prima. La marea cambiava spesso l’aspetto del mare crescendo lungo la scogliera anche di tre o quattro metri. Ormai era abitudine durante la notte ascoltare il rifrangersi delle onde contro la roccia. Da giorni tutto tace. Probabilmente è la luna o qualche cambiamento stagionale ma l’effetto è particolare, disorientante.

Come se non bastasse la notte è rischiarata da incredibili fulmini viola che in lontananza sull’oceano sfrecciano all’orizzonte. Il mare quieto e lampi viola che silenziosi corrono nel buio senza che se ne possa ascoltare il tuono. Sono grandi a tal punto che l’occhio li vede arrampicarsi attraverso le nuvole così come vedrebbe un rivolo d’inchiostro correre lungo un foglio di carta aprendo il suo tratto in mille ramificazioni. Fulmini grandi come mai visti prima, ma muti, resi silenti dalla distanza che ci separa: lampi senza voce illuminano la notte.

Io, Enzo ed il Napoletano ci siamo incamminati lungo un pontile di legno lungo quasi 120 metri che dalla scogliera si spinge nel mezzo della baia. Da là, in fondo eravamo immersi nel mare, circondati dall’acqua guardando da un lato la terra ferma e dall’altro l’orizzonte ed il suo spettacolo di saette. Su tutto l’oceano silenzioso e quieto come mai l’avevo ascoltato.

Sì, una notte strana. Mi ricorda un piccolo libro a fumetti a cui ero decisamente affezionato che racconta proprio di una notte come questa dove tutto può succedere, persino l’incredibile: La notte del Saraceno. Spero che la signorina che ora custodisce quel mio tesoro di infanzia ne abbia debita cura, era una storia delicata di avventura ed amore che non dovrebbe andar persa.

Io ora resto qui, a guardare il fuoco del cielo ed il silenzio del mare. E’ una notte strana di cui ancora nessuno conosce l’alba.

Davide “Birillo” Valsecchi

Con noi  non abbiamo l’attrezzatura fotografica per “catturare” i fulmini ma quest’immagine, presa da fenomenitemporaleschi.it, si avvicina molto, sebbene in piccolo, a quello che possiamo vedere noi da qui. Giulio, il nostro ingegniere al “Campo Base Le Zie”, poi mi/ci spiegherà perchè i fulmini sono viola qui =)

Asso chiama Zanzibar #04

Asso chiama Zanzibar #04

African Voices
African Voices

[In collaborazione con il laboratorio di giornalismo della Scuola Media di Asso coordinato dalla Professoressa Giulia  Caminada ecco i nostri racconti di viaggio dedicati ai giovani giornalisti]

Buongiorno ragazzi

In Madagascar ieri si è abbattuto Bingiza, una tempesta tropicale. Noi siamo a qualche migliaio di chilometri più a nord sull’Oceano Indiano ma anche qui si è visto il cielo oscurarsi durante il pomeriggio ed oggi era colmo di nuvole,  su ogni cosa pesava una terribile cappa. I fenomeni atmosferici qui sono molto più violenti ed estesi di quanto siamo abituati in Europa.

Il nostro cancello prosegue bene e presto vi mostrerò alcune foto in anteprima: promesso!!

Nelle passate settimane avete fatto un ottimo lavoro di ricerca dimostrando curiosità ed interesse per la vita e la realtà Africana. Per questo motivo oggi voglio presentarvi qualcuno di molto più esperto di me a cui potrete porre domande ancora più difficili: Marco Pugliese.

Io ho conosciuto Marco lo scorso anno al mio rientro dalla Tanzania attraveso Internet: Marco era rimasto colpito dai nostri racconti di viaggio e voleva proporli ai lettori del suo portale interamente dedicato all’Africa. Fui molto contento di come le nostre storie furono accolte ed insieme a Marco realizzammo anche una piccola intervista/conferenza dove raccontai la nostra esperienza interagendo con gli utenti del portale.

“African Voices”, il portale di Marco, si avvale della piattaforma Facebook e conta oltre 12.000 iscritti: tutti appassionati che vivono, lavorano o semplicemente amano l’Africa. E’ uno dei punti di riferimento italiani, uno strumento di condivisione sull’Africa e punto di riferimento “live” per chi vuole conoscerla nei suoi vari aspetti storici, sociali, culturali, di vita vissuta. Uno spazio dedicato agli africani nel mondo e per chi vive o lavora in Africa o per l’Africa.

Qualche giorno fa ho contattato Marco raccontandogli che ci sono dei giovani giornalisti affamati di conoscenza in cerca di qualcuno da intervistare e a cui porre domande. Marco è rimasto molto colpito dalla nostra iniziativa che unisce  viaggio e scuola. Per questo, dopo esserci confrontati con la professoressa Caminda, abbiamo deciso di tentare un nuovo esperimento.

Il piano è questo: il vostro laboratorio di Blogiornalismo comporrà una lettera indirizzata ad “African Voices” proponendo una decina di domande che Marco provvedrà a presenterà ai suoi utenti ponendole al centro di un piccolo dibattito. Dopo una settimana raccoglieremo le varie risposte ricevute fornendo al vostro laboratorio il materiale necessario per continuare la vostra ricerca. Se tutto va come speriamo avrete la possibilità di realizzare un’intervista a 12.000 persone scoprendo un intero continente spaziando dalle coste del Mediterraneo fino alla punta estrema del Sud Africa!!

Per cui, sempre insieme alla Professoressa Giulia Caminada, cominciace ad ingegniarvi su cosa domandare in questa vostra nuova inconsueta intervista. Io, Marco ed altre dodicimila persone attenderemo i vostri quesiti pronti a fornirvi il meglio della nostra esperieza e delle nostre conoscenze.

Forza ragazzi: all’opera!!

Davide “Birillo” Valsecchi

I love U: follia, maledizioni e serpenti

I love U: follia, maledizioni e serpenti

Io ti amo
Io ti amo

Erano le sette e mezza che, per l’ora zanzibarina, corrispondono alla seconda ora e mezza del mattino. Dormivo beato quando alla porta bussò uno dei pittori, un ragazzo napoletano arrivato da poco e con una gran passione per la pesca.“Ma dormite con la porta aperta?” domandò infilandosi nel piccolo bungalow. “Chi vuoi che cerchi guai entrando qui dentro?” pensai tra me e me mentre anche Enzo sembrava resuscitare nell’altra branda.

“Devo andare all’ospedale” disse il napoletano “Mi sono piantato un’amo in un dito”. La cosa li per lì mi sembrò buffa ma quando in contro luce vidi il dito con un piercing a forma d’amo da pesca gli chiesi di avvicianarsi. Mi infilai gli occhiali e guardai da vicino. Il napoletano si era alzato alle cinque per pisciare ed era inciampato travolgendo il tavolino della sua stanza su cui aveva riposto l’attrazzatura da pesca la sera prima. Il risultato era che un rapala, un piccolo pesce finto munito di ancorette, gli si era piantato nel dito sotto il peso di tutto il suo corpo.

Aveva già tagliato con il tronchesino il pesce finto ma era nei guai perchè un amo è come una freccia:l’unica soluzione era spingere l’amo ancora più in profondità fino a farne uscire la punta, tagliare l’ardiglione e sfilare poi l’amo di nuovo dalla parte opposta. L’alternativa era incidere ma poi sarebbero serviti un paio di punti di sutura. L’incognita erano nervi e tendini ma si sà, non tutte le ciambelle escono con il buco.

Erano ormai tre ore che aveva quell’arnese nel dito e fortunatamente si era già messo d’accordo con il driver per andare in città da un dottore: questo mi sollevava dalla responsabilità di “operare” prima ancora di aver bevuto il caffè. Se fosse successo ad Enzo probabilmente lui si sarebbe scarnificato il dito da solo prima di venirmi a dire che si era fatto male: lui è fatto così.

Così come era entrato il napoletano se ne uscì e fino a sera non se ne seppe più nulla nè dell’amo nè del dito. Scesi dalla branda, mi infilai i sudici pantoloncini cachi e mi avviai per il cantiere in cerca del toscano. Il toscano era il magazziniere ed in parte il giardiniere della struttura, parlava a perfezione il swahili e vivieva qui da qualche anno dopo essersi trasferito dal Messico: un tipo stavagante dall’accento inconfondibile.

La sera prima era entrato in mensa terribilmente agitato con una storia incredibile. Nel pomeriggio era arrivato un container di porte in legno che aveva fatto accatastare in diversi bungalow vuoti. Prima di sera però gli ascari, le guardie, gli si erano presentati dicendo che le porte erano 205 quando al toscano risultavano fossero 325. Chi avesse aperto i lucchetti agli ascari permettendo di contare le porte non fu mai scoperto così come non si capì mai perchè diavolo si erano messi a contarle. Sta di fatto che le porte furono di nuovo contate per ben tre volte ed ogni volta l’esito del conteggio era imprevedibile così come era incomprensibile il curioso giro di lucchetti che improvvisamente non funzionavano più o di cui si erano perse le chiavi o che erano stati inspiegabilemente sostituiti.

La paura del toscano era che durante la notte volessero far sparire le porte oltre la recinzione: una porta è facile da smerciare da queste parti. Appena fuori dal cantiere un ex-manovale aveva tirato in piedi una piccola baracca dove vendeva birra e cognach in bustine di plastica agli operai. Le male lingue dicevano che aveva recuperato i soldi per aprir bottega dopo che una pompa idraulica era misteriosamente sparita dal cantiere il giorno prima che si licenziasse. Il toscano sapeva che se le porte uscivano dal nostro perimetro e finivano nella baracca sarebbe stato difficile recuperarle ed avrebbero potuto farle sparire con tutta calma.

Così quella notte io, Enzo e “Blu Matisse” avevamo fatto un po’ di giri di ronda ed ora ero in cerca del toscano per sapere se la notte era passata senza portare sorprese al mattino (escludendo l’amo nel dito del napoletano…). Mentre vagavo trovai il toscano che discuteva animatamente con un capannello di operai attorno ad un baobab.

La prima volta che sentii parlare di un baobab ero alle medie. La maestra di francese ci aveva fatto tradurre un brano de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry ed io non avevo assolutamente capito che diamine fosse questo stramaledetto baobab che sul vocabolario si traduceva solo come “baobab” senza spiegare che diavolo fosse.Per me divenne una qualche strana forma di vita spaziale che minacciava il pianeta del Piccolo Principe: uno stramaledetto alieno sgretola-mondi verso cui il principe non aveva nessuna pietà!!

In realtà i locali credono che il baobab sia stata una pianta tanto vanitosa da aver sfidato Dio che, nella sua ennesima dimostrazione di comprensione e pazienza, l’aveva sdracicata dal terreno e ripiantata a testa in giù in modo che quelli che oggi appaio come rami siano in realtà le antiche radici. Questa è in parte la ragione per cui il baobab dai locali è considerato un albero magico in grado di creare un contatto con il mondo sotteraneo degli spiriti.

Bhe, quella mattina stavano tutti a discutere guardando tra le radici della pianta tanto che mi avvicinai con cautela pensando che vi fosse qualche animale strano: “Che succede?”. Il toscano mi spiegò che c’erano dei capelli umani in mezzo alle radici, che era stato compiuto un rito sulla pianta e che per questo tutti si rifiutavano di lavorare vicino al baobab per paura della collera degli spiriti.

Il toscano conosceva a perfezione la lingua ma tutte queste storie non lo convincevano, anzi, lo irritavano parecchio. In passato una ragazza si era sentita male ed aveva avuto delle convulsione svenendo e cominciando a sbavare. Tutti i presenti credettero che la ragazza fosse posseduta da uno shetani, uno spirito maligno, e si rifiutarono di aiutarla fino a quando non la trovò, un buon quarto d’ora dopo, il toscano. Furioso chiamò uno sgangherato taxi e bastone alla mano minacciò di scorticare la schiena a legnate al primo che si fosse rifiutato di aiutarlo a caricare la ragazza in macchina. Il toscano pagò il taxi e l’ospedale, solo poi si scoprì che la ragazza aveva avuto un’attacco epilettico.

Io conoscevo la storia e potevo capire quanto stessero “cominciando a girargli” al toscano per quella storia dei capelli. Così, per tagliare la testa al toro, dissi ad alta voce:“Ci penso io!!”. Mi avvicinai ad una ragazza e con un’ampio sorriso mi feci prestare la sua scopa. Impugnandola come un’improvvisato bastone magico dissi al toscano: “Spiega loro che sono un grande mago e che purifcherò l’albero con la mia magia!!”. Il toscano, esterrefatto, tradusse mentre io con versi incomprensibili toccavo con la punta della scopa la corteccia del baobab.

Nell’99 in Pakistan mi ero spacciato per dottore “guarendo” un ginocchio con del dentifricio: con il tempo ero migliorato spingendomi parecchio oltre!!

Tenendo la scopa con la sinistra, in alto verso il cielo, mi chinai a raccogliere il ciuffetto di capelli con la destra: è curioso come i capelli dei neri formino una specie di riccioluto batuffolo irsuto. Dissi al toscano che avrei chiesto l’aiuto del mare ed avrei gettato il feticcio di capelli tra le sue onde disperdendone le magia. Mi incamminai tra gli sguardi stupefatti dei presenti verso la scogliera e con fare solenne, scongiurando improvvisi scherzi del vento, gettai i capelli in mare.

Agitando la mia scopa in segno di vittoria tornai al baobab dove ora tutti ridevano contenti inneggiando al “mgamga”, il grande mago bianco. Soddisfatto guardai tutti gli uomini tornarsene al lavoro sotto lo sguardo scocciato ed enigmatico del toscano che, in verità, sebrava chiedersi silenziosamente se fossero più stupidi loro, io o forse lui. Del gruppetto solo una ragazza si fermò immobile e, a bassa voce, disse qualcosa in swahili al toscano che, scuotendo la testa in modo flemmatico, tradusse anche per me: “Lei dice che ha capito che sei un grande mago ma ora vorrebbe sapere se le puoi tornare la sua scopa per andare a lavorare….”.

Questo era l’inizio di un’altra giornata africana e, prima che la follia si impadronisse di me, avrei dato la caccia alla mia tazza di caffè: vivo in mondo strano forte alle volte…

Davide “Birillo” Valsecchi

PS. a fine serata il napoletano tornò in cantiere. All’ospedale i dottori cubani gli avevano fatto una “lastra domestica” e dopo avergli riempito il dito di anestetico gli “strapparono” l’amo trattenendolo in due per gambe e braccia. Gli fecero la lastra ma non gli medicarono nemmeno la ferita e toccò a me mettergli un paio di cerotti.

La sera stessa, per festeggiare, andammo a bere fuori spingendoci fino alla zona turistica. Il napoletano si mise a parlare appoggiandosi con la mano ad un piccolo muretto. Vidi Enzo avvicinarsi e con decisione e delicatezza afferrare il braccio del napoletano staccandolo con lentezza dal muro. Il napoletano non sembrava capire e stava per protestare quando Enzo gli disse: “Da queste parti ci sono un sacco di cose brutte che strisciano e che trovano il caldo dei muretti interessante. Di solito poi non amano essere disturbate”. Appena sopra il muretto c’era una serpente dal manto olivastro e scuro, lungo una trentina di centimetri e dalla testa piccola ed appuntita. Aveva la pancia chiara e gonfia come se si fosse appena nutrito.

La foto del serpente è ora nell’Iphone di Enzo. Non so che specie fosse anche se mi hanno detto che da queste parti si trova oltre ai grandi pitoni anche il mamba verde ed il mamba nero. Lo scorso anno sull’isola di mafia mi ero abituato a trovare piccoli cobra ma qui a zanzibar, tranne quello di mare che ha morso Enzo, questo è il primo serpente che mi capita di incontrare.

Comunque sia il napoletano ha decisamente imparato a tenere le mani apposto in Africa…

A caccia di Fantasmi

A caccia di Fantasmi

Blue Matisse
Blue Matisse

Il Sabato i quasi ottanta operai che lavorano nel cantiere tornarono verso casa e nella struttura rimanemmo solo noi sette europei e quindici ascari, le guardie locali. Sembrava una serata qualsiasi ed avevamo da poco finito cena quando il capo cantiere, che era in città, chiamò il capo squadra con una scomoda novità. C’era in giro la voce che quella notte sarebbero venuti a far razia nel cantiere con la compiacenza di alcune delle guardie: “…qualcuno degli ascari è con voi non so di quanti possiate fidarvi. Fate attenzione: senza fare gli eroi tenete gli occhi aperti”.

Il cantiere ospitava cinquanta bungalow e sette ville super lusso ormai quasi complete ed ammobiliate di elettrodomesti e condizionatori: una struttura imponente nel cuore dell’Africa a ridosso dell’Oceano Indiano.

L’area era vasta ed attraversata da piccoli vialetti immersi in un rigoglioso giradino esotico. I giardinieri non avevano ancora cominciato a potare le piante e nemmeno gli elettricisti avevano concluso l’istallazione delle luci: quei vialetti erano una dannata giungla buia a ridosso del muro di cinta verso la shamba, la campagna.

Andammo nel complesso principale ed accendemmo tutte le luci, salimmo sui tetti e puntammo alcuni fari nelle zone più buie ma, camminando lungo il perimetro, ci si rendeva conto di quanto fosse indifendibile quel posto senza le cancellate ed i fari di sicurezza che ancora dovevano essere installati. In quelle condizioni se una decina di uomini avesse deciso di entrare con un camion sfruttando l’appoggio delle guardie sarebbe stato impossibile impedirgli di portarsi via tutto.

Non mi andava di ritrovarmi ai ferri corti senza niente in mano e così tornai al cassone del rottame. Nel pomeriggio avevamo tagliato con il plasma una piastra da 3 millimetri sagomandola con una figura simile alla “donna blue” di Matisse. Uno degli scarti della sagoma mi aveva colpito per la sua forma allungata. Mi infilai i guanti di pelle e dopo una breve ricerca “impugnavo” di nuovo quel pezzo di metallo: un’ellissi allungata ed appuntita seguita da un sottile manico. Con una corda di nailon irrobustii l’impugnatura e fui soddisfatto del risultato.

La lama era frastagliata ma non aveva filo, era lunga circa cinquanta centimetri e terminava in una punta molto aguzza. Lo spessore la rendeva solida e l’impugnatura di una spanna rendeva facile afferrarla con una o due mani. Era artigianale ed improvvista ma era una buona arma. La arrotolai in una maglietta e me la misi sotto braccio. Sapevo che, per quanto buona, era solo una “piuma di pavone” e che la nostra unica concreta possibilità fosse far capire agli ascari corrotti che avevamo mangiato la foglia e che per quanto impreparati avremmo vigilato tutta la notte.

Al mio socio piacque il mio machete improvvisato ma, non trovando nulla di meglio, dovette accontentarsi di un semplice bastone di legno trovato nel laboratorio del carpentiere. Ci dividemmo in gruppi da due controllando i vari edifici e percorrendo in lungo ed in largo la struttura. Gli ascari erano sempre in giro e capirono che qualcosa di strano stava succedendo quella notte: noi guardavamo loro e loro guardavano noi. Quando nel buio dei vialetti ci incontravamo gridavo “Poa”, tutto bene, e loro facevano lo stesso dopo avermi riconsciuto. Era una strana situazione, nessuno si fidava più di nessuno ed ogni rumore ed ombra nella notte erano un buon motivo per trattenere il fiato.

Il carpentiere moldavo alla fine prese la pazienza ed affrontò il problema di petto. Si piazzo davanti all’ascari che dormiva sotto la mensa cucina e gli chiese duro, diritto negli occhi: “Dove è il problema questa notte?” L’ascari faceva finta di non capire, di non sapere ma il moldavo lo pressava: “Bungalow o ville? Dove?” L’ascari si ammutolì abbasando la testa. Il moldavo si convinse che non sapesse nulla e si voltò per continuare il suo giro. Fu quell’attimo che l’ascari sussurò “Bungalow” ed un brivido corse sulla schiena di noi tutti.

Avevamo deciso di montare la guardia tutta la notte e ci davamo il cambio rientrando in stanza per riposare un oretta. Io mi stesi sul letto e chiusi gli occhi. Ognuno di noi aveva sulle spalle una dura giornata di lavoro e dormire era ciò che avremmo sperato per la notte prima di quella telefonata.

Precipitai nel buio. Ero in un’albergo di montagna, uno di lusso. Eravamo nella Hall ed ero seduto ad un tavolino su di una poltrona di pelle. Davanti a me c’era un tipo biondo, occhi azzurri, aveva la mia stessa età ed altezza. Aveva i capelli un po’ lunghi ma ben curati e lo sguardo tagliente. Ben vestito aveva un grosso orologio in acciaio al polso. Io indossavo un hip-hop in plastica anni 80 che mi aveva prestato Bruna per tenere il tempo quando uscivo a nuotare in mare. Il tipo mi era già antipatico ancor prima di scoprire che era il nuovo fidanzato della mia ex.

Cominciò a raccontarmi che era il titolare di una piccola ma arrembate società di consulenza informatica e si mise a snocciolare i nomi dei prestigiosi clienti per cui lavorava quando al mio fianco apparve il padre della mia ex. Il vecchio era un tipo simpatico, eravamo molto amici anche se erano ormai anni che non ci vedavamo. Sorrideva ed aveva stampato sul viso un’espressione che letteralmente diceva: “…bhe, vedi, lui è un’altra cosa…”. Il biondo cominciava ad irritarmi seriamente.

Pensavo di essere al limite della sopportazione quando al tavolo si sedettero mio padre ed il padre di Bruna con il suo cappello da cow-boy e la sua passione per il Far-West. Il biondo cominciò a raccontare della sua collezione di Tex Willer anni ’60 e della sua ultima battuta di pesca in Canada in compagnia di un suo grosso cliente. Mio padre lo ascoltava interessato ed il padre di Bruna gli assestava compiatute pacche sulle spalle.

Ero furioso, il mio odio per il biondo era palpabile come il mio silenzio. Il peggio doveva ancora venire. Mi voltai e vidi Bruna e la mia ex camminare verso di noi chiacchierando tra loro come vecchie amiche: erano bellissime.Era la prima volta che vedevo insieme mia moglie e la mia ex-moglie e restai sorpreso da quanto onestamente volessi bene a quelle due donne. Per un attimo fui felice, almeno fino a quando il biondo, aggiustandosi la giacca, non si alzò in piedi per accoglierle sfoderando il suo sorriso migliore arrogantemente sicuro di essere il maschio Alpha tra noi due.

Era troppo, non ero più lì. Ero nella cucina dei miei, in compagnia di mia madre e guardavo fuori dalla finestra la nebbiolina di novembre che si alzava dalla valle del Lambro. Lei sapeva darmi una grande calma. In ogni mio viaggio più mi allontanavo da casa e più  spesso la rivedevo, più profodamente riemergeva dai miei ricordi. Rivederla era sempre terribile e magnifico. Mi guardò e mi disse: “Perchè ti dai il tormento?”.

Nei miei pantaloni cominciò a vibrare silenzioso il cellulare. Era la sveglia. Ero di nuovo in Africa, completamente vestito nella mia branda con lo scarto di un Matisse come arma. Ero sveglio ed era di nuovo il mio turno. Era il mio momento di tornare tra le tenebre a caccia di fantasmi.

Davide “Birillo” Valsecchi

Asso chiama Zanzibar #03

Asso chiama Zanzibar #03

Mkuyu, l'albero sacro di Stone Town - Ricordate di scattarvi una foto con i nostri cedri per Santa Appollonia!!
Mkuyu, l'albero sacro di Stone Town - Ricordate di scattarvi una foto con i nostri Cedri per Santa Appollonia!!

[In collaborazione con il laboratorio di giornalismo della Scuola Media di Asso coordinato dalla Professoressa Giulia  Caminada ecco i nostri racconti di viaggio dedicati ai giovani giornalisti]

Ciao ragazzi

come sapete Enzo è un’artista, in particolare uno scultore del ferro oltre che un fotografo e la sua abilità fa sì che spesso venga invitato per le sue doti artistiche nei posti più insoliti.

Io e lui facciamo squadra da quasi tre anni e così, in queste occasioni, mi tocca vestire “i panni dell’aiutante artista” e seguirlo in queste inconsuete avventure.

Per questo motivo ora ci troviamo a Zanzibar collaborando ancora una volta con un’altra artista originaria del comasco: Vivide Mantero.

Vivide vive qui sull’isola ormai da anni, parla benissimo il swahili ed è una profonda conoscitrice della cultura locale: lei è la prima fonte da cui attingo per rispondere alle vostre domande.

I due artisti lavorando il ferro mescolano soggetti e forme indigene con elementi artistici tipici del vecchio continente: oggi, ad esempio, hanno realizzato delle figure ispirate alla “donna blu” di Matisse che si integrano nel contesto di una rappresentazione africana con cui decorare un cancello.

Normalmente a me ed Enzo tocca dormire in tenda o in qualche sgangherata stamberga, spesso è capitato persino di dormire “all’addiaccio” sulle rive di un fiume o in mezzo ai campi. Questa volta, con un certo imbarazzo vista la mia natura piuttosto selvatica, siamo invece in un resort a cinque stelle tra i più lussuosi, costosi ed esclusivi dell’isola e di questa parte d’Africa.

L’unica particolarità è che questa stupenda struttura non è ancora completata ed è in buona parte ancora un cantiere. Proprio per questo Enzo è stato invitato per partecipare alla realizzazione di alcuni elemnti d’arredo in ferro. Quindi passeggiamo liberamente nella costruzione in Makuti più alta dell’isola, tra piscine, bungalow ed un’incredibile giardino. Un opera che riprende le linee e l’aspetto femminile del mare concepita dall’architetto italiano che fu allievo del famoso Carlo Scarpa.

Tra qualche mese i vialetti che percorro ogni mattina saranno calcati da alcuni tra le persone più facoltose e potenti del pianeta ma, per ora, ci siamo solo io, Enzo, altri otto europei e quasi ottanta operai zanzibarini. Quella che diverrà un oasi di quiete e lusso ora è un brulicante cantiere dove si mischiano lingue, culture e competenze diverse.

La particolarità degli interventi di Enzo fa sì che un giorno si collabori con la squadra dei muratori, il giorno successivo con i pittori, poi gli idraulici,  gli elettricisti, ecccetera. E’ divertente per noi cambiare lavoro ogni giorno ed inoltre, trovandosi gomito a gomito a faticare insieme sotto il sole,  è possibile conoscere la realtà locale e comprenderela al di là di quanto si legge sui libri o nelle riviste patinate.

La prima cosa che si impara è quanto sia diverso il nostro modo di vivere e le cose che conosciamo: stesso mondo, visioni spesso opposte.A volte sono solo dettagli ma che messi tutti insieme aiutano a comprendere le ragioni di tale diversità. Facciamo un esempio:

Ho visto sul vostro blog che state realizzando una bellissima ricerca geografica sui continenti corredando i vostri testi con imamgini satellitari e splendide cartine digitali. Quando avevo la vostra età anche noi facevamo qualcosa di simile ma avevamo a disposizione solo le grandi cartine appese alle pareti ed i mappa-mondo chiusi dentro l’armadio.

Lo scorso anno, in un paesino sperduto in mezzo alla Tanzania, ho fatto una scoperta interessante che mi ha fatto capire quanto sia importate la scuola che oggi state frequentando: quasi per scherzo, decisamente incredulo, ho mostrato il mondo intero ad un villaggio disegnandolo con un sasso nella polvere di un piazzale. La storia di quel curioso pomeriggio la trovate in quest’articolo che scrissi un anno fa e che per certi versi è tanto divertente quanto istruttivo: Lezioni di geografia

In quell’articolo si scopre quanto ci siano conoscenze che noi diamo per scontato e chi qui invece mancano. Allo stesso modo potrei portarvi un numero incredibile di nozioni importanti (sulla natura, sugli animali, ecc) che i locali possiedono e noi nemmeno sfioriamo. Ricordate: nelle differenze c’è sempre una conoscenza nascosta da esplorare.

Passiamo alle domande. La scorsa settimana mi avete chiesto delle spezie e per questo vedrò di infilarmi nella “shamba”, la campagna dell’entroterra, per scattare qualche foto alle piante da frutto locali ed alle piccole coltivazioni. Mi mangeranno vivo le zanzare ma vedremo di riuscirci lo stesso.

Mi avete chiesto anche dei grandi animali del mare e possi dirvi che qualche settimana fa è stata avvistata una coppia di balene proprio davanti alla nostra scogliera. Se volete leggere qualche racconto di mare  io ed Enzo abbiamo “scroccato” un giro su di una barca d’altura ed abbiamo avuto la fortuna di vedere molti pesci tra cui anche un numero incredibile di delfini: In alto mare con Dusko

Per ora vi lascio, devo correre ad aiutare Enzo che traffica con il saldatore e gli altri atrezzi da fabbro/scultore. Scrivetemi le vostre domande che qui ho un numero sempre crescente di persone pronta ad aiutarmi nel rispondervi: siete diventati abbastanza famosi da queste parti =)

Ricordatevi di cercare le foto del leone di Scarenna!!
Ciao

Davide “Birillo” Valsecchi & Enzo Santambrogio

L’albero nella foto sorge poco distante dalla House of Wonders ed è “molto” vecchio. La targa era in inglese e credo che la specie sia Ficus Religiosa (Mkuyu in Swahili) ed è una meta di pellegrinaggio per buddisti ed induisti ed ovviamente i locali gli attribuiscono poteri magici. E’ un monumento nazionale, testimone della storia di Stone Town. Se avete tempo per Santa Appolonia scattevi una foto con i Cedri di Asso per celebrare le nostre piante ma anche gli abitanti di Asso. Se i cedri avranno la forza di resistere altri 120 anni quelle foto diverranno un magnifico ricordo per coloro che verranno dopo di noi. Chissà, forse i bambini di oggi mostreranno la loro foto con le piante  nel giorno di festa ai nipotini di domani.

Lo Shetani PopoBawa

Lo Shetani PopoBawa

Doctor Voodoo
Marvel Doctor Voodoo

Enzo era al chiosco a bere birra ma io ne avevo già avuto abbastanza e forse per questo sentivo il richiamo del mare, delle onde. La spiaggia di notte, totalmente buia, è il posto meno indicato per passaggiare e vagare senza meta, ma quella notte non possedevo nè denaro nè anima, non avevo nulla per rapinatori o demoni. Quella notte senza luna mi attendeva, mi chiamava, ed io lasciavo che mi trasportasse dove voleva.

Fu tra la sabbia bianca e le stelle che lo incontrai: una figura curva, seduta al margine delle palme dove nessuna luce penetra l’oscurità. Gli intravidi il volto quando aspirò avidamente dalla sua sigaretta ed il tabacco ardente ne illuminò i lineameni e gli occhi: “Mzungu, dove vai tutto solo?” mi chiese in italiano.

Mi fermai cercando di capire chi fosse prima di rispondere. Fu allora che lo vidi alzarsi e nell’oscurità mi apparve gigantesco e minaccioso. Un’ altra boccata e vidi il suo sinistro e terribile ghigno: “Sei tui il mpanga bianco che crede di poter competere con gli Shetani?” L’aria s’ impregnò di un odore acre, pungente, spaventoso. “Certo che sei tu” lo sentii ridere “Vedrai che ci divertiremo Mzungu magico!!”

Una massa scura ed informe si muoveva verso di me. Sentivo i mei sensi venir meno, cercavo di restare lucido mentre la vista si offuscava e tutto il mio corpo sembrava trafitto da mille spilli: ero finito in un gran casino!!

Era ormai a pochi passi da me e continuava a ridere, sentivo le mie gambe irrigidirsi e le forze svanire come risucchiate dal mio avversario. Ero sul punto di svenire quando una mano delicata si posò sulla mia spalla e, a quel tocco, un brivido elettrico mi percorse la schiena scuotendomi dal torpore in cui sembravo precipitato. Al mio fianco apparve suadente il corpo di una giovane donna di colore. Lei si  voltò verso di me e vidi il suo sorriso e l’ambra dei suoi occhi: era Maika, la bellissima strega del mare.

Si pose tra me ed il mio aggressore pronunciando parole che non riuscivo a comprendere. L’ombra si mise a ridere sguaiata tirando nuovamente una luminosa boccata dalla sua sigaretta. I tratti del suo viso apparivano ora bestiali e terribili, resi oltremodo furiosi dall’arrivo della donna.

Lei parlò ancora e lui rispose nella stessa incomprensibile lingua con parole inequivocabilmente dure ed aggressive. Avevo nuovamente i capogiri e sentivo le gambe cedere quando vidi la strega aprire le braccia e rispondere all’ombra con altrettanta furia e sdegno. A stento riuscivo a reggermi in piedi ed ero sul punto di cadere a terra quando apparve il piccolo Makame a sorreggermi: “Non temere, Mzungo”– sorrideva il bimbo –“Lei non lascerà che PopoBawa abbia ciò che Le è stato negato”.

Ecco chi avevo difronte: Maika la strega del mare e PopoBawa lo spirito malvagio più temuto di Zanzibar.

La strega parve illuminarsi di fuoco e fulmini mentre riprese a parlare:  il demone questa volta sembrò volerla ascoltare, sembrò costretto ad ubbidirle. Con un’ultima risata l’ombra gettò la sigaretta tra la sabbia e scomparve tra le tenebre ingoiata dal buio.

Chiusi gli occhi un istante cercando di respirare di nuovo normalmente. Prima di riaprirli sentii le morbide spalle di Maika, la sua delicata pelle, appoggiarsi al mio petto mentre i suoi glutei premevano maliziosamente contro la mia vita. Aprii gli occhi di sovrassalto e sentii la sua sua mano accarezzarmi il viso mentre la sua bocca e le sue labbra sfioravano le mie.

La donna più bella che avessi mai incontrato ancora una volta mi tentava ed il desiderio di cingere quel corpo con le mie braccia bruciava ardente nella mia mente: sarebbe bastato abbracciarla, precipitare su quelle morbide labbra, abbandonarsi alle sue sinuose forme per godere della sua disarmante bellezza esotica perduto per sempre.

I miei sensi erano di nuovo confusi e disorientati dal suo profumo, mentre tutto il mio corpo era travolto e sconvolto dalla sua magia: Maika, la stupenda strega del mare, quanto avrei voluto essere sconfitto, essere una delle sue vittime almeno per un attimo. Chiusi gli occhi e respirai, mi inebriai un’ultima volta del suo sensuale tocco e tornai padrone di me stesso.

Lei lo capì, mi sorrise ed il suo sguardo passionale si sciolse in occhi materni. Scivolando tra le mie braccia mi sfiorò di nuovo il viso allontanandosi sulla sabbia.“Tu le piaci, Mzungo, anche se non capisco il perchè” Mi disse il piccolo Makame mentre ancora affascinato guardavo la sua padrona. Il bambino mi prese per mano e mi invitò a seguirlo “Lei vuole sentire la storia delle tue piante magiche, Mzungo. Ora dovrai offrirle da bere per ringraziarla di averti aiutato a salvarle.”

Maika si girò a gardarci ed il suo sorriso mi conquistò ancora una volta. Era un demone nel corpo di un angelo: Enzo sarebbe stato davvero felice di rivederla…

Davide “Birillo” Valsecchi


Questo racconto di fantasia è la continuazione della storia iniziata lo scorso anno con Into the House of Voodoo”. Quel piccolo racconto fece talmente tanto rumore nella mia piccola, e spesso bigotta, Asso che intervennero giornalisti e persino esorcisti (incredibile ma vero).

Tutta la storià finì sui quotidiani con tanto di reprimenda pubblica da parte del mio ranocchio preferito: ancora oggi rido della cosa sebbene, per quanto mi lusinghi come canta-storie, trovo incredibile che qualcuno possa esserne rimasto veramente spaventato.

Maika, la strega del Mare, è un personaggio da me inventato che si ispira alla fattucchiera voodoo protagonista nel precedente racconto. Una figura femminile di cui ho voluto rimarcare la forte sensualità che caratterizza le donne africane agli occhi di un occidentale. Makame è il suo “famiglio”, un bambino che le fa da interprete e che vede in lei non il fuoco della passione ma il calore di una madre.

Popobawa è invece un vero shetani, uno spirito maligno, ed è tra i più famosi e temuti sull’isola di Zanzibar. Il suo nome significa “ali di pipistrello” ed è un mutaforma in grado di attraversare i muri. Aggredisce e violenta sessualmente le sue vittime, siano essi uomini, donne o bambini. Con PopoBawa si “rischiano le chiappe” (letteralmente!!) visto che sodomizza le sue vittime e per questo è seriamente temuto anche da coloro che dicono di non crederci. Il demone, inoltre, minaccia le vittime intimandogli di rendere pubblica la sua aggressione: chi, per vergogna o pudore, non lo facesse verrà di nuovo aggredito da PopoBawa.

Per quanto possa apparire incredibile nel 1995, non nel medioevo, PopoBawa provocò una vera e propria crisi di isteria di massa in tutto l’arcipelago di Zanzibar: le popolazioni locali si barricarono in casa vivendo in un clima di terrore per alcuni mesi e persino la polizia fu coinvolta nella caccia a Popobawa. Numerosi “attacchi” sono stati registrati anche negli anni successivi ed in alcune zone, specie nelle isole minori. Gli indigeni possono seriamente adirarsi se solo si prova a negare l’esistenza di PopoBawa o a trattare l’argomento con leggerezza.

Purtroppo molti antropologi sospettano che il mito di PopoBawa sia nato come giustificazione ad atti di violenza domestica. Con un simile mito è possibile giustificare ogni tipo di violenza sessuale, specie in un ambiente rigido come quello islamico. Non va dimenticato che sull’isola di Zanzibar l’omosessualità è punita con la prigione e che, a quanto pare, l’unico che possa praticarla liberamente sia proprio PopoBawa (e le sue vittime).

E’ stupefacente osservare come il mito di PopoBawa sia nato solo negli anni sessanta e condizioni, così come altri miti, la vita sociale della gente del luogo. Per chi non comprendesse il significato di tutto ciò basterebbe ricordare come ancora oggi in molti villaggi, specie quelli più isolati, l’uomo bianco sia ancora visto con sospetto e diffidenza.

Tuttavia, dopo quanto successo ad Asso nel 2010, non ho alcuna difficoltà a comprendere come ignoranza e suggestione possano condizionare la vita di questi pescatori sperduti sulle isole dell’Oceano Indiano (… e non solo!!).

“Valsecchi scrive cose offensive e prive di senso, bla bla bla … non si scherza con le religioni”. Chissà se ora, snocciolando i grani del rosario al buio delle sue colpe, avrà compreso ciò che disse la mia bellissima Maika ma anche e sopratutto il Sovraintendente: “Mzungu, ora farebbero meglio a non toccare le tue piante!”

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