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Rudyard Kipling: Se saprai

Rudyard Kipling: Se saprai

Rudyard Kipling
Rudyard Kipling

Se saprai conservare la testa, quando intorno a te
tutti perderanno la loro e te ne incolperanno;
se crederai in te stesso, quando tutti dubiteranno,
ma saprai intendere il loro dubbio;

se saprai aspettare senza stancarti dell’attesa,
o essere calunniato senza calunniare,
o essere odiato, senza dar sfogo all’odio,
e non apparir troppo bello, né parlar troppo saggio.

Se saprai sognare e non rendere i tuoi sogni padroni;
se saprai pensare e non fare dei pensieri il tuo fine,
e trattare questi due impostori nello stesso modo;

se saprai sopportare di sentire quello che hai detto di giusto
falsato da ribaldi per farne trappole ai creduli,
o vedere le cose per cui hai dato la vita, spezzate
e curvarti e ricostruirle con utensili logorati.

Se saprai fare un mucchio di tutte le tue vincite
e rischiarle in un giro di testa e croce,
e perdere, e ricominciare da capo
e non fiatar verbo sulle tue perdite;

se saprai forzare il tuo cuore e i nervi e i tendini
per aiutare il tuo volere, anche quando sono consumati,
e così resistere quando non c’è più nulla in te
tranne che la Volontà che dice “reggete!”.

Se saprai parlare con le folle e mantenere le tue virtù,
o passeggiare coi Re e non perdere la semplicità;
se né nemici, né prediletti amici avranno il potere di offenderti,
se tutti gli uomini conteranno, ma nessuno conterà troppo;

se saprai riempire il minuto che non perdona
coprendo una distanza che valga i sessanta secondi,
tuo sarà il mondo e tutto ciò che contiene,
e – ciò che conta – sarai un uomo, o figlio!

Rudyard Kipling

Questa è la seconda volta che cito Kipling. La prima ero in India. Questa poesia è strana, alle volte la guardi, spesso stampata su improponibili piastrelle da appendere, e ti sembra la cosa più stupida e banale del mondo. Altre volte, leggendola, ti commuove quasi alle lacrime giungendo come pioggia nella stagione arida.

Mi piaceva riportarla qui, mentre i piccoli giornalisti seguono le nostre avventure africane, perchè anche loro possano conoscerla, per donarla loro per la vita affinchè ne traggano ispirazione quando più ne avranno bisogno.

Davide “Birillo” Valsecchi

Dark Varanasi

Dark Varanasi

Varanasi
Varanasi

Il clima natalizio rende tutti piuttosto insopportabili e questo fa sì che anche la mia stoica pazienza sia spesso messa in crisi. Quando questo accade, quando qualcuno fa il “furbo” con me, di solito mi basta aprire il vaso di Pandora e lasciare uscire qualcuno dei demoni che vigilano con me su quella menzogna che chiamiamo “speranza”.

Così oggi vorrei rispondere ad Erik Singh che mi scrive dall’Italia il seguente commento in riguardo ad un mio articolo su Varanasi (“Vuoti a perdere”): “bah, si può facilmente capire che quella foto del teschio è un fotomontaggio -.-” coglione ke ti ha fatto di male l’india? è una terra bellissima, ovviamente c’è la povertà ma non ha a ke fare con la religione”

Il modo in cui Erik brutalizza l’Italiano con le “k” definisce la sua età e la sua persona. Caro Erik, in tutta onestà io sono l’ultimo a cui dovresti dar fastidio, specie dandogli del bugiardo.

Ho appreso in questi mesi che con gli “stupidi” non ci si deve andare leggeri: hanno la tendenza a prosperare se trascurati. Così, giusto per stabilire chi sia il “coglione” tra noi due, ho montato un piccolo filmato con alcune foto che per rispetto, sia di chi legge che di chi appare sotto forma di cadavere, non avevo mai pubblicato.

Inoltre, Erik, ricorda: quando guardi nell’abisso anche l’abisso ti guarda. Io sono l’abisso, sono uno che cammina in una landa colma di cadaveri che vengono divorati da cani randagi e corvi, sono uno a cui hai dato del coglione e del bugiardo, sono uno che ha tutti i tuoi dati e le tue cordinate geografiche. Quando mi vedrai balenare nei tuoi incubi ad occhi aperti ricorda come ti sentivi arguto giudicandomi, ricorda e prega, prega che i tuoi passi siano saldi lungo il tuo cammino incerto.

Ed ora, Erik, succhiati il pollice e vaffanculo…

Davide “Birillo” Valsecchi

Attenzione: il filmato è realmente sconsigliato a chi è impressionabile.
[la pubblicità la aggiunge YouTube, basta chiuderla ed ignorarla]

 

In gita alla Centrale Atomica: Gösgen

In gita alla Centrale Atomica: Gösgen

Enzo e la centrale atomica
Enzo e la centrale atomica

«Tu non ne capisci niente!! Parli solo per sentito dire!!» In Italia ogni discussione diviene pretetesto per una rissa da stadio, per un litigiosa comparsata in un salotto Tv. Quando poi si parla del ritorno dell’energia nucleare in Italia la zuffa sembra inevitabile

Non ci sto ad adeguarmi a questo cliché e così, dopo aver scritto l’articolo sul Pian di Spagna, ho cominciato ad approfondire la questione con  Giulio, l’insostituibile ingegnere della squadra Cima-Asso. «Vuoi sapere come è fatta una centrale? Andiamo a vederla!!» E così, tempo due settimane, siamo stati in viaggio verso Gösgen, uno dei cinque impianti nucleari attivi in Svizzera. L’equipaggio era formato da Giulio, Enzo, Io, Alberto ed una new entry: il “pischello”.

Sveglia alle quattro e mezza, quattro ore di macchina ed alle dieci siamo all’ingresso di quello che appare come un museo d’arte contemporanea più che la Hall di un impianto industriale. Chiunque può visitare gratuitamente la centrale dopo essersi adeguatamente accreditato con qualche settimana di anticipo: il Governo svizzero offre la più ampia trasparenza ed informazione sulla sua attività nucleare.

Noi cinque veniamo accolti dalla nostra guida, Angela, che ci ha accompagnato durante la visita. Enzo anni fa ha visitato Černobyl realizzando un documentario fotografico sul dopo-incidente: questo ci ha permesso di affrontare con Angela soprattutto la questione “differenze” e “sicurezza”.

Superati i controlli di sicurezza, simili a quelli per gli aeroplani, entriamo nel perimetro interno dell’impianto. Siamo in Svizzera dentro ad una centrale atomica progettata e costruita alla fine degli anni settanta. Tutto è in perfetta efficienza, tutto luminosamente pulito mentre il design, i colori e le linee delle strutture danno l’impressione di muoversi nel migliore dei futuri ipotizzabili in quegli anni: un futuro che appartiene già al passato.

Visitiamo il museo tecnologico, visioniamo diversi filmati e veniamo condotti attraverso l’impianto vero e proprio: la sala di controllo, la sala delle turbine, entrando persino nella nebbia dell’enorme camino di raffreddamento. Nel grande edificio sferico risiede il reattore nucleare, il vero cuore della struttura, ma lì può accedere (ovviamente) solo personale qualificato ed autorizzato.

Enzo davanti al sarcofago di Černobyl
Enzo davanti al sarcofago di Černobyl

La centrale si basa su tre principali circuiti posti a contatto ma rigorosamente separati tra di loro. Il reattore è in pratica una grossa “stufa” all’interno della grande sfera, il calore qui prodotto viene a contatto con un circuito a vapore che attiva le turbine della grossa “dinamo” mentre un terzo circuito, che disperde vapore acqueo attraverso il camino, serve a raffreddare e controllare la temperatura del vapore.

Il secondo ed il terzo circuito sono imponenti ma, sotto il profilo industriale, non hanno nessuna caratteristica eccezionale nè tantomeno sono legati al nucleare o alla radiottività. Il mistero atomico è isolato da tutto e tutti all’interno della grande sfera  le cui pareti di cemento armato sono spesse oltre un metro e sessanta.

Al suo interno, dentro una seconda cupola in metallo, vi è l’ampio vano del reattore. Contrariamente a quanto pensassi l’energia atomica, o nucleare che dir si voglia, non è un segreto di stato: se ti venisse in mente di costruire una centrale non devi far altro che alzare il telefono e chiamare a scelta una delle cinque società al mondo a realizzarlo, in questo caso la Siemens, e farti fare un preventivo (…ammesso che tu abbia i soldi ed un giardino abbastanza grande con vicini consenzienti).

Diverso è invece il discorso per la raffinazione del materiale fissile, il pellet atomico, che può essere realizzato solo da chi ha una speciale autorizzazione internazionale. In Europa è solo la Francia a produrre tale materiale. Una pasticca di pellet atomico sembra una grossa caramella  Tabù ed è completamente inerte fino che non la usiamo per caricare le barre del reattore.

Le radiazioni, sebbene siano costantemente attorno a noi, sono un concetto abbastanza difficile, vediamo di semplicare un po’. Il reattore è pieno d’acqua ed al suo interno sono poste le barre di alimentazione contenenti il pellet. Immaginate che il pellet sia come delle pasticche di idrolitina: quando vengono estratte dalle loro custodie metalliche cominciano a “busciare” scaldando l’acqua. L’acqua infatti si scalda parecchio visto che, mantenendo lo stato liquido grazie alla pressione, raggiunge i 300 gradi centigradi!!

Il nostro reattore è quindi un enorme stufa gonfia di acqua calda in pressione. Se qualcosa andasse storto la nostra barra di “idrolitina” ricadrebbe nel proprio astuccio separandosi dall’acqua e smettendo di “busciare”. Tutta la sfera verrebbe inondata di acqua con l’obbiettivo di raffreddare il reattore, grazie all’idrogeno l’H2O (l’acqua) è in grado di agire come efficace moderatore isolando da eventuali radiazioni.

Questo può avvenire anche in totale assenza di elettricità ed anche se tutto il personale di una delle due sale di controllo fosse morto o reso incapace: la “paranoia” è il primo dei requisiti necessari per chi si occupa di sicurezza e Gösgen, nonostante la disponibilità e la gentilezza che ci offriva, soddisfava adeguatamente questa mia esigenza.

L'impianto nucleare di Gösgen
L'impianto nucleare di Gösgen

Mentre facevamo la sauna nella nebbia a 40 gradi del camino di raffreddamento (sì, proprio li dentro eravamo in mezzo al vapore!!) gustavo il benefico effetto di quel calore sul mio raffreddore: aerosol atomico, non avevo mai pensato di fare i fumenti grazie all’energia nucleare!!

Ma ora è il momento di tirare le somme: Gösgen sopperisce da sola al 13% del fabisogno energetico svizzero. E’ una centrale che, contrariamente a quella di Černobyl, ha imponenti sistemi di sicurezza in grado di rendere possibile arresti d’emergenza della struttura (Come avvenne nel 1990 per fronteggiare il problema esterno  di un guasto sulla dorsale elettrica europea). Gösgen è una centrale atomica che sbuffa silenziosa nuvole di vapore  a ridosso di un piccolo e tranquillo paese circondato da pascoli verdi animati da placide mucche sdraiate sull’erba: tuttavia se prendendessi atto di questo dimenticando che si trova nella rigorosissima svizzera tedesca sarei disonesto!!

La centrale di Gösgen e le quattro ore in macchina per tornare a casa mi hanno fatto sopratutto riflettere su qualcosa di semplice: noi non siamo la Svizzera. L’energia atomica è qualcosa di concretamente gestibile e controllabile, anche la questione scorie (questione che voglio affrontare in un prossimo articolo) non è così drammatica come spesso viene dipinta. Anche i vantaggi offerti, in termini economici ed energetici, sono concreti ed appetibili. Tuttavia, sebbene non sia preoccupato da quello che fanno a Gösgen non posso dire altrettando del ritorno del nucleare in Italia.

In Italia abbiamo certamente i migliori ricercatori ed esperti al mondo (sarà ancora vero?) ma qui non è una questione tecnologica ma bensì politica e culturale. Siamo sinceri con noi stessi: crediamo veramente che questa classe politica, al di là dei partiti e dei colori, possa affrontare con onestà e responsabilità la sfida nucleare? Dopo aver dato prova di corruzione ed inefficienza nella realizzazione delle opere pubbliche, nello smaltimento dei rifiuti, persino nella ricostruzione post terremoto, vogliamo affidare loro un simile progetto critico? La costruzione di un gigantesco impianto che a fronte di qualche quintale di uranio prevede l’impiego di migliaia di tonnellate di cemento armato? Siete pronti a rischiare che una centrale atomica sia gestita come l’Alitalia o sia piegata agli interessi, spesso loschi, di qualcuno? C’è una sola certezza con il nucleare: o fai le cose come si deve o lasci stare!

Ognuno ha la classe politica che si merita, noi siamo chi ci rappresenta ed è per questo che forse oggi come nazione, nonostante l’innata presunzione che ci contraddistingue, non credo siamo pronti per il Nucleare. Ora non vedo il paese abbastanza maturo nè vedo qualcuno in grado di raccogliere tale responsabilità senza che questo possa togliermi il sonno:  se un giorno l’Italia vincesse con se stessa la sfida nucleare, con il salto culturale e sociale che rappresenterebbe, sarei il primo ad esserne felice!!

Davide “Birillo” Valsecchi

L’orologio

L’orologio

E=mc2
E=mc², l'energia supera i vincoli del tempo

Nel corso della storia questa civiltà ha imparato a misurare il tempo e a farne un bel tracciato, clessidre e meridiane no non posso sopportare, nessuno può fermarmi se voglio rallentare.

Sul meridiano zero scienziati ben armati sezionano il cadavere di tutti i miei minuti, mandan disposizioni a schermi e tabelloni, comandan tutti quanti per mezzo dei quadranti.

Tutti i meccanismi mi hanno oliato ma io sono un ritardato, l’orologio ho già smontato per poter vedere le lancette e poi le sfere, le rotelle e il bilanciere rotolare e poi cadere senza potere.

Rallentano i rintocchi, non esiste fuso orario perchè le mie lancette ora corrono al contrario.

Cantavi già vittoria per avermi sabotato, mi sono trasformato in un ordigno carico e innescato che ora posso far saltare nel frangente che mi pare contro chi pensava di poter sincronizzare i meccanismi del mio corpo. Qualcosa è andato storto e nel tuo mondo io non affondo!

Scocca l’ora ma ora il tempo abbiam fermato e riprogrammato in un conto alla rovescia che semina l’angoscia a chi credeva di giocare con le nostre ore senza pensare, né ragionare.

Questo è il testo di L’Orologio, una canzone realizzata da un gruppo musicale italiano nato nel triangolo tra Legnano, Rho e Saronno: i Punkreas. la canzone è stata pubblicata nel marzo del 1995 sull’album “Paranoia e Potere” grazie alla T.V.O.R. (testa vuota ossa rotte), una storica etichetta indipendente che pubblicava i piccoli gruppi in vinile, poi in musicassetta e sui primi CD che cominciavano a circolare solo nei primi anni di Università.

Mi sono svegliato canticchiando [questa canzone] del mio passato, giocando con la fisica e la filosofia mentre bevevo il caffè che Bruna mi aveva lasciato nella caffettiera:

E=mc², la formula più famosa di Einstein, ci mostra come il tempo non sia più un concetto assoluto, come sia posibile superare i vincoli imposti dal rigido sistema di riferimento Newtoniano. Un corpo possiede una massa e quindi, anche immobile, una propria innata quantità di energia: agitate la vostra massa con una spruzzata di velocità e sarete in grado di superare lo spazio, il tempo ed ogni dannato sistema di riferimento con cui vogliano imprigionare il vostro moto.

Pensate che io sia un visionario, uno che mischia punk rock nostrano ad oscure teorie fisiche? Non mi credete? Bene se volete vedere cosa ci attende nel futuro allora date una letta qui: Teoria delle stringhe: da Newton a Einstein e oltre. L’intero Universo, la sua materia e le sue dinamiche spiegate soltanto con tre forze e dodici oggetti elementari attraverso l’interazione di dieci dimensioni: ecco la base di partenza della teoria delle stringhe.

Potete continuare a credere che la terra sia piatta ma il nostro potenziale si spinge ben oltre la mediocrità del “sistema di riferimento” e dei “preconcetti” che vogliono imporre alle nostre scelte.

Forse il “sound” sarebbe stato un po’ troppo “spinto” per Albert ma credo che il testo gli sarebbe piaciuto…

Davide “Birillo” Valsecchi

Un esempio pratico della relatività? Eccolo, è nel vostro navigatore satellitare GPS:  gli orologi satellitari sono affetti dalle conseguenze della teoria della relatività. Infatti, a causa degli effetti combinati della velocità relativa, che rallenta il tempo sul satellite di circa 7 microsecondi al giorno, e della minore curvatura dello spaziotempo a livello dell’orbita del satellite, che lo accelera di 45 microsecondi, il tempo sul satellite scorre ad un ritmo leggermente più veloce che a terra, causando un anticipo di circa 38 microsecondi al giorno, e rendendo necessaria una correzione automatica da parte dell’elettronica di bordo.

La Ninfa Siringa ed il Dio Pan

La Ninfa Siringa ed il Dio Pan

Siringa di Arthur Hacker
Siringa di Arthur Hacker

Qualche settimana fa ero a Como con Enzo in piazza del Duomo. Era il periodo del Palio del Baradello e per le vie della città passeggiavano figuranti in constume medioevale. Noi eravamo seduti ai tavolini del Nova Comum bevendo birra quando ci si avvicina niente meno che l’Imperatore Barbarossa con tanto di mantello e scettro. Mi squadra e mi dice “Tu andresti bene per fare la parte di un Germanico“. Enzo è praticamente scoppiato a ridere sapendo che,  grazie a mia nonna, buona parte del mio sangue è Made in Germany: “Maestà ho idea che Birillo sia germanico più di quanto Lei creda!

Il figurante ci gardava un pò disorientato, poi ho pensato che in fondo il Castello di Asso è stato uno dei pochi che, volente o nolente, il Barbarossa fù costretto a risparmiare e rispettare. Così ho risposto:“Io vengo da Asso, Imperatore, chiederò alla nostra gente se per l’anno prossimo potrà mandare degli armigeri in rappresentaza del nostro paese.” Ovviamente sfoggiando il mio sorriso più truce perchè gli assesi non hanno mai abbassato la testa con l’Imperatore…

Apparire come due “strani” ad un omone adulto che si aggira in calzamaglia con una barba tinta di rosso e  la corona di tolla è un bel primato anche per Enzo e me. Tuttavia credo che partecipare, come Assese, al prossimo palio è qualcosa su cui rifletterò.

Oggi una mia amica, invece, mi ha proposto di entrare nei Bei di Erba, uno dei gruppi folkloristici della nostra zona che viene invitato ad esibirsi in tutta Europa. “Ma che dovrei fare oltre a vestirmi?“- le ho chiesto e lei mi ha risposto “Basta che impari a suonare il Flauto di Pan per iniziare“.

Il Fluto di Pan, accidenti. L’armonica dell’antichità comune a tutte le culture del pianeta. Le ho chiesto se conoscesse l’altro nome di quello strumento e lei, che non lo sapeva, mi ha risposto  ridendo che era impossibile si chiamasse Siringa. Così abbiamo fatto una piccola scommessa su chi avesse ragione, nulla di particolare o sconveniente intendiamoci, e questo mio piccolo articolo ha lo scopo di dimostrarle (come previsto) che ho vinto ma anche di raccontare come si deve il piccolo mito greco da cui trae origine il nome:

«Un giorno il dio Pan, lo spirito di tutte le creature naturali e delle foreste, si aggirava lungo le rive di un fiume. Allegro e spensierato come sempre vide una ninfa degli alberi il cui nome era Siringa (Syrinx) e se ne innamorò perdutamente. Quando la ninfa vide il dio, per metà uomo e per metà capra, rimase terrorizzata e scappò verso il fiume nascondendosi tra i canneti.  Spaventata non voleva ricambiare in alcun modo l’amore del dio e supplicò le ninfe dell’acqua che abitavano il fiume di trasformarla in una della canne del canneto. Così avvenne. Il dio Pan la rincorse ma riuscendo a trovarla comprese cosa era accaduto. Sconsolato ed afflitto prese una canna e la taglio riunendo ed allinenadone in pezzi. Il dio cominciò a soffiarci dentro cercando conforto nella musica di quello strumento musicale che era appunto Siringa,  il primo flauto di Pan della storia.»

Credo di aver vinto ed alla mia amica toccherà indossare il vestito tradizionale in un occasione piuttosto inconsueta ma pubblica, non pensiate male (purtroppo!!). D’altro canto credo che viste le affinità con il dio Pan, protettore della foresta mezzo uomo e mezzo becco, mi toccherà davvero imparare a suonare questo strumento dalla storia così malinconica.

Ultima curiosità, di cui non ero a conoscenza ma che ho scoperto cercando un’immagine di Siringa, è l’origine della parola “Panico“. Deriva infatti proprio dalla paura irrefrenabile che il dio Pan era in grado d’ instillare con le sue urla. La tradizione vuole che fosse in grado di spaventare eserciti interi e gli stessi Dei. Potenza del suono che scuote gli animi! E’ curioso scoprire che lo sprito greco della natura padroneggiava probabilmente una delle prime forme di Kiai, l’urlo giapponese del guerriero.

Il termine Pandemonio invece non ha nessun legame con Pan e nemmeno con il mondo classico essendo stato coniato addirittura nel 1600 da Jhon Milton nel suo libro Paradiso Perduto. Oggigiorno viene usato per indicare fracasso o confusione mentre Milton lo utilizzava per indicare il palazzo edificato da Satana e la camera di consiglio dei Demoni. Incredibile come il tempo trasformi il senso delle parole!

Davide “Birillo” Valsecchi

A Moderate Hard Trekking!!!

A Moderate Hard Trekking!!!

Luang Nam Tha
Luang Nam Tha

Abbiamo appena varcato il confine laotiano, prima destinazione Luang Nam Tha, piccola cittadina a nord del Laos, immersa tra foreste verdeggianti, il fiume Nam Ha e una popolazione umile, serena ed estremamente socievole.

Il nostro primo scopo è quello di comprendere ed immergersi nel reale stile di vita e nella cultura locale: quale altro modo se non un trekking “moderate hard“, come dicono loro, tra la giungla più estrema fino a raggiungere un villagio Lantan?

E così si parte: zaino in spalla, lo stretto necessario e tanta voglia di fare e vedere. La prima buona notizia è il tempo che, a discapito della stagione piovosa, è poco nuvoloso e lo sarà per tutta la durata del trekking.I nostri compagni di viaggio saranno Robert e Jade (una coppia, lui americano e lei cinese) e Noi, la nostra guida.

Si inizia a camminare, si sale, si scende poi si risale e poi si scende di nuovo: quello intorno a noi è una sempre lussureggiante foresta tropicale, folta di piante di banane, bambù, alberi della gomma, insetti di ogni forma e colore.

Tutti ingredienti molto distanti dalla nostra cultura e dalla nostra Vallassina. Per non parlare dei rumori: gli insetti e gli animali ci accompagnano per tutto il tragitto (sanguisughe comprese!!) rendendo la nostra scampagnata ancor piu’ unica.E’ solo un peccato non aver potuto ammirare nessuna strana specie di animale che dalle nostre parti sarebbe visibile solo nei documentari.

Al tramonto, dopo 9 ore di camminata intensa, raggiungiamo il tanto atteso villaggio Lantan, dove ci attendono gli abitanti locali, circa un centinaio (scarso) di persone, che ci allietano con una buona cena (bambù, verdura, riso e un po’ di manzo), tanta ospitalità, dei sorrisi veri e un “confortevole letto” tanto meritato.

Ci sono sicuramente più bambini che adulti ed e’ bello giocare con loro con una palla di legno, vederli sorridere e divertirsi con poco e osservare il loro stupore nel vedere le nostre foto.

Il villaggio: non c’e’ acqua, non c’è corrente, si beve l’acqua del fiume bollita (la stessa dove ci si lava) ed ogni comodità prettamente occidentale è evidentemente assente. Il letto è semplicemente un manufatto di legno, forse di bambù, intrecciato, nulla più. Tra le case, oltre agli abitanti, maiali, cani e polli scorazzano felicemente, liberi e indisturbati.

Di buon mattino lasciamo questo fantastico luogo: un’esperienza che ti fortifica e ti riempie di gioia.
Ci prepariamo alla prossima avventura!

Sawadee!

Nico, Cristian e Luca

Asso Expo Racing 2009

Asso Expo Racing 2009

AssoRally
AssoRally

Luca, il presidente del MotoClub Asso, mi ha scritto infomandomi di una nuova iniziativa organizzata dal Club per il periodo estivo.

Si tratta di provare, come navigatore, un giro per le vie di Asso sulle auto da rally del Team ABS Sport di Valmadrera. Io, da qui, non ho molti dettagli ma sembra una cosa interessante!!

Tutti i soci e i simpatizzanti sono invitati a partecipare a ASSO EXPO RACING 2009 – Domenica 12 Luglio 2009 ASSO (CO) Piazza del Mercato:

  • h. 10.00 – 00.00 Esposizione vetture Rally – Fast & furious
  • h. 17,00 Moto-aperitivo Happy hour organizzato da Moto Club Asso

Organizzazione: Assessorato allo Sport, Turismo e tempo libero Comune di Asso – Scuderia ABS sport  – Moto Club Asso Ristorazione: Amici dei Portici

Speriamo si ricordino di mandarmi qualche foto da pubblicare =)

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