IV Novembre in Iraq

Sunset in Irak
Sunset in Iraq

Il 4 Novembre si  festeggia la fine della Prima Guerra Mondiale che nel 1918, con il Bollettino della Vittoria, annuncia la vittoria dell’Italia contro l’Austria. Sindaci e politici impagliati si prodigheranno in discorsi dal sapore medioevale sull’unità d’Italia.

Il 4 novembre è una data strana: Firenze è stata invasa dall’acqua due volte in questo giorno, nel 1933 e nella storica alluvione del 1966; nel 1980 viene eletto presindete USA il repubblicano Ronald Regan e nel 2008, 28 anni più tardi, viene eletto  il deomocratico Barak Obama, il primo presidente di colore.

Se vi interessa il Bollettino della Vittoria lo trovate in un mio articolo di qualche anno fa: IV Novembre 1918 – “…è finita!” Ma  non voglio parlarvi di una guerra vecchia di cent’anni, voglio raccontarvi una storia più recente sul mondo strano in cui viviamo oggi.

Cercando musica su youtube sono finito ad ascoltare le canzoni acustiche dei Rancid, il mio gruppo Punk-Rock preferito. Mi è sempre piaciuto pensare che dall’altra parte del mondo, attraverso quei testi, ci fosse qualcuno che condividesse le mie stesse esperienze: suonate solo con la voce e la chitarra quelle canzoni si addensano di nostalgia.

Tra i commenti lasciati su Youtube ce ne è stato uno che mi ha colpito e che vi voglio tradurre:“hey gente, sono seduto qui in Iraq e questa canzone mi ha portato a casa… Ascolto i Rancid fin da quando Tim si faceva chiamare Lint negli Operation Ivy. Questo è il suono della baia, il suono con cui sono cresciuto! Grazie”

Una delle canzoni più famose degli OpIvy è Unity, il cui ritornello recita “Stop this war: Unity as one stand together. E’ una canzone dal suono ruvido scritta da un gruppo di adolescenti californiani in un garage ma che fece il giro dell’America nel 1989. Forse anche per questo ho scritto, sempre via Youtube, a questa persona che, pochi giorni dopo, mi ha risposto: è un addestratore di 26 anni dell’esercito USA, uno degli ultimi rimasti in Irak dopo i sette anni di scontri, dopo il ritiro delle truppe

Quando non sono in servizio i militari possono usare Internet per comunicare a casa o per svagarsi. Così ci siamo scambiati qualche messaggio: non volvevo pressarlo chiedendogli dell’Irak e per questo parlavamo sopratutto di musica e di viaggi. Inevitabilmente qualcosa però mi ha raccontato: lettere vive da un fronte moderno.

Mio fratello, che ha meno di 18 anni, mi ha chiesto del Vietnam e della guerra. Io gli ho risposto che avevo un amico che era stato in Somalia con il contingente italiano durante gli anni ’90 nella missione “Restore Hope“. Questa è una storia che mi raccontò molti anni più tardi, in una notte di servizio in croce rossa, dopo avermi mostrato la foto della sua bambina appena nata:

«Ero di servizio come autista per un capitano medico. Rientrando alla base con il camion ci siamo imbattuti in una zuffa tra locali. Il mio capitano è sceso a medicare uno che sembrava ferito ma, mentre era chinato, hanno cominciato a tirargli pietre. Lo hanno colpito alla testa ed è crollato a terra. Io sono sceso dal camion con il fucile in mano: non avevo mai sparato a nessuno e mi litavo ad agitarlo minaccioso. Ho preso il mio capitano e l’ho messo sul camion che ormai era circondato da una folla che ci tirava sassi da tutte le parti. Io non sapevo che fare, continuavo a sentire i colpi sul camion: ho chiuso gli occhi, ho cominciato a piangere ed ho messo la prima schiacciando a tavoletta il gas mentre suonavo il clacson. Ho chiuso gli occhi e li ho riaperti solo quando eravamo fuori nel deserto. Il giorno dopo è dovuto intervenire una delle nostre squadre perchè avevo demolito mezzo villaggio passando attraverso un paio di quelle case in terra che costruiscono loro. Non sappevo davvero cosa fare quel giorno, il capitano sanguinava dalla testa, io avevo meno di vent’anni ed io non avevo mai avuto così tanta paura…»

Questa è la guerra: un intreccio di piccole drammatiche storie in uno schema più grande sulla scacchiera dei politici. “Ma qui in questo cimitero è sempre Terra di Nessuno, le infinite croci bianche stanno a muta testimonianza della cieca indifferenza umana verso il prossimo, per un’intera generazione massacrata e abbattuta.”

C’è solo un modo per me di celebrare il VI novembre:  Dropkick Murphys – The Green Fields Of France
[qui trovate la traduzione di questa canzone scozzese].

Davide “Birillo” Valsecchi