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Leh-Srinagar Road: secondo round!!

Leh-Srinagar Road: secondo round!!

Leh-Srinagar Road

Se i ragazzi della Farnesina vi dicono “state alla larga da quella strada” hanno i loro buoni motivi, tutti lì da vedere in ogni dannata curva che collega Leh a Srinagar!! Questa è la seconda volta che percorriamo questa strada, il racconto del primo viaggio è in questo vecchio articolo. Avevo scritto bello chiaro che si dovrebbe evitare tale percorso ma qualche giorno fa la strada che collega Leh con Manali è stata nuovamente bloccata, interrotta da una grossa frana che è costata la vita ad un paio di persone in transito. I prezzi per un biglietto aereo sono letteralmente triplicati nel giro di quindici giorni, così ci siamo detti:”Perchè no? Facciamoci un secondo round con quella strada maledetta!!”.

Due mesi fa i passi erano stati appena aperti e c’erano muraglioni di neve alti oltre tre metri, noi viaggiavamo di notte a bordo di una Jeep shared-taxi che faceva la spola tra le due città. In totale eravamo in otto, schiacciati come sardine avevo gente che mi dormiva addosso da entrambi i lati mentre i fari nella notte illuminavano le curve sul barato e le montagne innevate. Gli autisti, che si davano il cambio ogni due ore, correvano il più in fretta possibile per poter arrivare a Srinagar in tempo per organizzare una corsa di ritorno il mattino stesso. Quattordici ore di strada sterrata e neve vissuti pericolosamente troppo in fretta!!

Questo giro pensavo di essermi fatto furbo: jeep privata ed autista consigliato dal nostro amico AK, partenza la mattina presto per poter godere di tutta la luce della giornata. Credevo potesse bastare, ma mi sono clamorosamente sbagliato ed il secondo round è stato ancora più duro e massacrante del primo: questo giro ho avuto realmente paura di chiudere la partita e salutare la folla!!

Andiamo con ordine però, le prime dieci ore di viaggio sono state in verità molto piacevoli: la strada è quello che è, per lo più sterrata e a strapiombo, ma alla luce del sole fa molto meno impressione ed il panorama è talmente meraviglioso da rendere trascurabile ogni difficoltà. Lo scenario cambia in continuazione mostrando una natura magnifica e sempre diversa. Bene, ora dimenticatevi quello che vi ho appena detto sul panorama: quella strada è semplicemente da evitare!!!

Pensavo di avercela fatta, mancavano poco meno di 45km sui 530 da percorrere, solo un passo e poi via, strada liscia fino a Srinagar. L’altra volta questo passo, illuminato solo dai fari e dalla luna piena mi era piaciuto tantissimo: la strada era letteralmente scavata nella neve e costeggiata per lo più a muraglioni bianchi altri oltre tre metri. La salita stava andando bene, qualche difficoltà quà e là per dei buchi troppo grossi nella strada ma nulla di preoccupante. Aveva cominciato a grandinare ma neppure questo sembrava un grosso problema. Arrivati in cima sembrava fatta, si doveva solo scendere.

Quando hai 12 ore di jeep nelle ossa speri soltanto che l’ultima ora fili lisci ma a quanto pare la strada voleva la sua rivincita prima del gong. Erano ormai le otto e la grandine si era trasformata in pioggia battente ed il cielo ormai era buio, di nuovo notte, di nuovo fari. Scendendo ricordavo quel passaggio, uno di quelli esposti proprio prima di una curva cieca. La strada è totalmente sterrata ed è a strapiombo su un baratro di oltre 200 metri, non c’è appello o speranza se si sbaglia. Larga poco più di una corsia non permette a due veicoli di restare affiancati e non mi arrischierei a piedi su quei bordi, figurarsi in macchina.

E’ in quel momento che un pensiero mi sfiora: “Chissà che casino se dovessimo incontrare ora un camion che sale”. Nella vita basta chiedere alle volte. Dalla curva spunta uno di quei variopinti bisonti meccanici, sale sbuffando e dando di abbaglianti perchè non ha intenzione di dare strada. Il nostro autista è un montagnino e non sembra intenzionato a discutere se non con il clacson. Questi due imbecilli semplicemente si puntano come se lasciare spazio precipitando nella scarpata fosse un’opzione percorribile!!! Io ero seduto davanti ed essendo la guida inglese a sinistra ero sul lato che dava sul bordo. Sentire i freni bloccare le ruote e sentire la jeep scivolare sulla ghiaia in cerca di uno spazio nel lato esposto della strada è qualcosa che ricorderò a lungo. Il sangue ha abbandonato le gambe che disperatamente cercavano di opporsi al barato: bloccato nel mio sedile potevo solo sperare che tutto si fermasse prima che la strada finisse!!

Dio ci ha messo una pezza e ci siamo fermati, incastrati a mezza curva tra il camion ed il bordo. L’autista ha dato un bacio al suo anello, il suo portafortuna, e ha cominciato ad insultare l’autista del camion, anch’esso bloccato a mezza curva. I due hanno cominciato a discutere su chi dovesse spostarsi e dare strada mentre un altro camion si accodava al primo. Io sarei sceso volentieri da quella dannata jeep se ci fosse stato abbastanza terreno su cui appoggiare i piedi aprendo la portiera!!

Retromarcia nel fango, lasciamo passare una decina di camion e finalmente riusciamo a passare la curva. Lo spettacolo dall’altra parte è terrificante: tutta la strada a salire del passo è illuminata da una fila infinita di camion. In una strada a strapiombo e ad una sola corsia significa un maledetto incubo vissuto sul bordo di un barato!! Eravamo così vicino alla fine!!

La situazione era questa: la strada è in terra battuta ed è grande una corsia, quei bisonti di camion sono dei vecchi rottami agghindati come carnevale che stracarichi danno fondo a tutte le loro ridotte per salire lungo il passo. Hanno i peggiori pneumatici ricostruiti del pianeta ed affrontano uno dei terreni più difficili per simili pachidermi. L’unica possibilità per scendere, tralasciando la piombata diretta dalla scarpata, era riuscire a spostarsi lungo il bordo da uno spiazzo all’altro fermando i camion e lasciandoli passare un po’ alla volta.

Significa che ogni dieci o quindici metri ci si doveva fermare e discutere con una colonna di autisti e ad ogni fermata gli aiuto-autista dei camion dovevano bloccare con i cunei o con i sassi per aiutare qui bestioni a ripartire in salita. Si caricavano dando gas al massimo e poi dentro le marce sperando che non slittasse troppo e riuscisse a mettersi lentamente in moto lungo la salita. Quasi trecento camion significano una montagna di soste per percorre i quindici chilometri che restavano per uscire dal passo.

La pioggia non accennava a smettere creando un nuovo problema: all’improvviso tutti i camion hanno cominciato a dare fondo ai loro clacson e si sono messi a sgasare come una mandria impazzita mentre gli autisti urlavano ed imprecavano senza che nessuno potesse realmente muoversi: “Vengono giù i sassi!!” . Non si va nè avanti nè indietro, siamo bloccati lassù e la montagna comincia a scrollarsi sotto la pioggia: eravamo quasi arrivati, maledetta strada questo giro hai intenzione di farmi paura per davvero!!

Io non parlo la lingua dei camionisti e posso solo capire quello che mi traduce l’autista ed ormai è più il tempo che passiamo fermi a discutere sotto la pioggia di quello a bordo della jeep. Ero rassegnato, questo giro o finivano giù per la scarpata o ci diventavo vecchio su quella strada. Poi forse il cielo ha avuto pietà di me ed ha inviato il più improbabile dei soccorsi in mio aiuto: una croce-rossa!!

Una sgangherata ambulanza con una strozzata sirena ed un pallido lampeggiante blue si fa strada piano piano tra i camion scendendo dal passo.Ci raggiunge e ci sorpassa arrampicandosi sul bordo opposto della corsia fermandosi ed inevitabilmente nella strettoia che tieni bloccati. Dal mezzo scende un militare ed il marito della donna che viene trasportata. Il nostro autista parla un po’ con loro mentre il militare si avvia a piedi impartendo ordini a tutti i camionisti fermi lungo la strada.

Dopo anni di servizio ad insultare chi si piazza all’inseguimento delle ambulanze del 118 mi toccava farmi strada seguendo la croce rossa!! Il militare coordina i camion ed avanziamo sempre solo di una ventina di metri al colpo ma finalmente avanziamo con un po’ di metodo sebbene sempre sul bordo del precipizio. Sassi che vengono a basso nella poggia, camion che non ripartono, qualcuno ha persino bucato e nella notte si sentono solo i clacson e gli strilli degli autisti che discutono e litigano. Welcome in Wild India!!

Quindici chilometri di passo in cinque ore!!! Siamo partiti da Leh alle otto e mezza dopo una magnifica colazione in una giornata di sole, siamo arrivati a Srinagar a mezza notte sotto la pioggia, distrutti. Lo spettacolo che offre quella strada è magnifico ma ha vinto anche il secondo round ed ho veramente paura che se mi azzardo ancora a sfidarla mi metterà KO una volta per tutte. Come dice la Farnesina: “state alla larga da quella strada!!” e non accusatemi poi di non avervelo detto!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Scioperi, botte e legnate nella vecchia Leh

Scioperi, botte e legnate nella vecchia Leh

Leh on strike
Leh on strike

Dopo la vetta dello Stok Kangri siamo tornati a Leh. Qui abbiamo affittato, pagando in anticipo, una stanza in una guest house della città vecchia. E’ il nostro magazzino e il nostro rifugio quando torniamo in città ed io, questo giro, avevo davvero bisogno di riposare quasi comodo. La nostra guest house non è frequentata da turisti stranieri ma per lo più da famiglie indiane che scappano dal caldo del sud.

La borghesia indiana è in crescita a livello nazionale e mondiale grazie al forte sviluppo economico dell’India. Molti dei nuovi ricchi provengono da questo paese. Avevo sentito dire che gli alberghi di lusso francesi si rifiutavano di ospitare gli indiani sebbene molto facoltosi. Qui a Leh ho capito, a mie spese, le ragioni di questa sacrosanta discriminazione. Ogni maledetta mattina alle sei gli indiani si alzano ed accendono a tutto volume la televisione, spalancano le porte delle proprie camere e si mettono a strillare allegramente tra di loro nei corridoi. Non hanno il ben che minimo senso del rispetto e della convivenza. Più di una volta sono uscito in mutande gridandogli in inglese che erano delle “fottute scimmie ritardate” (fuked retarded monkeys) e che dovevano spegnere quella stramaledetta televisione ma il risultato è stato totalemente imprevisto: ridevano divertiti, per loro è normale fare quel puttanaio la mattina o nel cuore della notte. Non sono nemmeno riuscito a litigarci!!

Ma quello di cui voglio parlarvi è ben diverso e non rigurada i turisti indani ma la città di Leh ed i complicati meccanismi che la regolano. Io credo che sia istruttivo vedere come gira il mondo da queste parti, sopratutto perchè ci aiuta a mettere a fuoco i problemi più nostrani: mi sono alzato ieri mattina, incazzato con gli indiani casinisti come sempre, e sono uscito in strada. Leh era completamente deserta e tutte le serrande erano abbassate, uno scenario inconsueto per una caotica località turistica: strike, sciopero, tutto chiuso oggi. La maggior parte dei turisti se ne stava rintanata in albergo mentre io ed Enzo ce ne andavamo a zonzo per le desolate vie del centro in cerca di un posto aperto dove mangiare.

Mi piace capire e mi sono messo a fare domande a chi mi capitava sotto tiro: Il Ladakh è in qualche modo una zona “a statuto speciale” che gode di una specie di governo e statuto indipendente rispetto al resto dell’India. Questo sia per la posizione geografica molto complessa e per la massiccia presenza di militari sui confini caldi dell’India. In particolare in Ladakh i residenti non pagano le tasse nè sono sottoposti al VAT, l’equivalente della nostra IVA.

Ma la situazione negli ultimi anni è molto cambiata ed ora con i turisti, sebbene solo sei mesi l’anno, girano parecchi soldi ed i proprietari Ladakini sono diventati molto ricchi. Quasi nessun Ladakino lavora nei bazar o negli hotel, semplicemente affittano le varie botteghe ed i vari palazzi ai mercanti Kashmiri o ai ristoratori Nepalini occupando le principali cariche politiche della regione. Ho incontrato i Ladakini solo durante i giorni delle elezioni e la differenza economica dal resto della popolazione è inconfondibile. Sono una vera e propria classe economica e politica in piena crescita.

Il governo ha quindi deciso di introdurre la tassa per il valore aggiuto (VAT) ai Ladakini così come è applicata in tutta l’India, questo ha causato lo sciopero e la quasi completa paralisi di Leh. Aggirandomi per la città non capivo le ragioni dello sciopero, se non vuoi pagare le tasse non farlo ma non chiudere bottega perchè vuol dire solo perdere soldi e non effettuare alcun tipo di pressione efficace sul governo. Rompere le palle ai turisti non mi sembrava una gran scelta tattica.

Io ed Enzo ce ne siamo andati al Gismo, una piccolo Caffè dove mangiamo spesso e dove i cinque ragazzi nepalesi che gestiscono il locale sono diventati molto amici. Quando siamo entrati nel locale il prmo giorno di sciopero non abbiamo potuto che incazzarci a morte. Il ragazzo che gestisce la piccola sala, misera ma carina, è un tipo molto spigliato con un buon carisma ed una buona parlantina. Mi fa sempre molto ridere ma ieri ci si è presentato con la faccia mezza gonfia ed incredibilmente mogio. Non ci voleva un genio per capire che le aveva prese e che qualcuno gliele aveva date perchè probabilmente non aveva voluto aderire allo sciopero.

Il sangue mi si era già scaldato e vederlo così insolitamente sottomesso non migliorava la questione. Due minuti dopo entrano nel locale un gruppetto di cinque ragazzotti che parlano “duro” con il ragazzo alla cassa. Un attimo dopo i nepalesi si scusavano con i clienti invitandoli a lasciare il locale a causa delle sciopero. Io odio stupidità e violenza e anche ad Enzo “giravano” parecchio per quella brutta situazione in stile “Altrimenti ci arrabbiamo”.

Chiamo il ragazzo e gli chiedo se ci sono problemi che “possiamo aiutare a risolvere”, lui capisce cosa intendo ma mi risponde che possiamo rimanere a mangiare, dirà “loro” che siamo amici e non clienti. Sempre peggio, quasi fumavo dalla rabbia. Il bagno è dietro il locale e per raggiungerlo si deve uscire dall’ingresso e fare il giro dell’edificio. Prendo la scusa per dare un’occhiata e mi inbatto nei cinque che sono entrati e che ora fanno la “posta” all’ingresso e alla cucina del locale tenendo in mano degli espliciti pezzi di legno. Il cuoco è tutto “stropicciato”. Un paio di loro li ho già visti tra i bazar e come dei paraculi si affrettano a salutarmi come se niente fosse. Rispondo con un mezzo ghigno, sollevo gli Oakley sulla fronte e squadro quello centrale tra di loro che se ne stava zitto con un pezzo di legno di legno in mano.

Non importa quello che dici, importa come lo dici in certi casi. Gli ho chiesto a cosa servisse quel pezzo di legno e se avessero intenzione di “giocare a kricket”. Il tipo, dietro un paio di occhiali scuri aspetta un secondo, ha capito cosa intendo, riflette e poi mi rispode che sì, oggi è una giornata in cui a Leh si gioca a Kricket. Sono uno straniero e vado comunque trattato con rigurado, mi faccio in avanti in mezzo al gruppo e lo squadro ancora più stretto attraverso gli occhiali ringhiando: “…e chi vince?”

Il tipo non se l’aspettava un “puntata” diretta come quella, la domanda era stupida ma il tono e le intenzioni erano limpide tanto che ha fatto un mezzo passo indietro e poi mi ha risposto con una banalità evasiva: “…vince l’Inghilterra”. Credo che tutti e cinque abbiamo capito la “suonata” perchè trovarsi davanti uno straniero incazzoso era qualcosa d’inaspettato e per loro pericoloso a prescindere da quanto fossi bravo a “giocare a kricket”. Cacciarmele per loro era peggio che prenderle.“Vado a pisciare e poi torno dentro a finire il mio pranzo, non giocare a Kricket con i mie amici”. Il tipo annuisce. Che dannata voglia di prenderli a calci in culo!!

Quando ripasso dall’ingresso non c’erano più ma credo abbiano dato l’ultimatum ai nepalesi, noi eravamo gli ultimi per quel giorno. I nepalesi non la finiscono più di scusarsi ma è evidente che l’idea di spaccare la testa a quegli idioti non li sfiora nemmeno. Il mio sangue assese urla furioso ma il massimo che posso fare è lasciare una mancia di 100 rupie per un paio di caffè da 20. Quanto mi girano le palle, sopratutto perchè non capisco il senso di questo sciopero forzato e perchè ci debbano essere in giro delle squadre a minacciare i gestori dei locali. Un venditore indiano ci passa un paio di birre sotto banco e passiamo il pomeriggio sul tetto di un palazzo a bere con una ragazza del Canada e due infermiere Svizzere, l’unico aspetto positivo di questa stupida giornata di sciopero.

Ma i conti ancora non mi quadravano, tutto questo casino come può fare leva sul governo affinchè non applichi le tasse? Ma nel secondo giorno di sciopero ho cominciato a capire meglio. Il mio amico  mi si avvicina e mi dice che il padrone del locale ora sà che siamo “clienti speciali” e che se vogliamo possiamo avere da mangiare nel retro del locale. Il proprietario? Ed allora ho capito tutta la faccenda comprendendo quanto fosse più complessa di quattro stupidi con dei bastoni.

Tutti gli edifici e le attività commerciali di Leh appartengono ai Ladakini e sono affittati ai mercanti del kashmir ed i ristoratori che provengono per lo più dal sud dell’India o dal Nepal.Qui tutti pagano già le tasse all’India e l’affitto dei locali tranne i Ladakini, gli unici che sarebbero danneggiati dalle nuove tasse.Ecco qual’è il pensiero dietro tutto lo sciopero: “Governo Indiano, tu credi che qui a Leh girino troppi soldi? Bene, allora noi blocchiamo tutte le attività e facciamo tenere chiusa bottega a tutta la città”. Ai Ladakini i mercanti ed i ristoratori l’affitto di sicuro continuano a pagarlo per non perdere la stagione ma senza poter aprire il negozio possono solo perdere soldi giorno dopo giorno. Se il governo vuole colpire i Ladakini loro sono disposti a schiacciare a loro volta tutti quelli sotto di loro per calcare il polso al governo. Ci si rifà sempre sul più debole, ecco la leva.

“Tu mi paghi l’affitto ma tieni chiuso fino a quando al governo non gli passa l’idea di queste stupide tasse.” Se sei il propietario di qualche palazzo e di una decina di negozzi è qualcosa che ti puoi permettere, specie se fai lega con gli altri proprietari ed occupi le cariche pubbliche del governo locale. Da noi sarebbe inpensabile una cosa del genere, anche làddove non vi siano contratti scritti abbastanza forti ci sarebbe intesa cinque minuti dopo aver menzionato un paio di taniche di benzina pronte a riequilibrare questa strana trattativa tra inquilino e proprietario. Qui la maggior parte della gente ha una mentalità maledettamente pacifica ma le legnate volano secche e per molti questi pochi mesi di attività sono il sostentamento di tutto l’anno, ecco perchè accettano rassegnati anche questo sciopero imposto.

Quando vedi un buddista con in mano un legno che si comporta come un mafioso occidentale per una questione di percentuali ti rendi conto che il mondo è tutto uguale. In Italia ci insegnano a scioperare da quando siamo alle elementari, hanno smesso di usare il bastone passando alle lusinghe, puntando sugli studenti e sugli operai, i più stupidi ed i più deboli. Alla fine credo che sia lo stesso di quanto accade qui e che i mandanti siano sempre gli stessi: cani mafiosi che manipolano un paese intero per il proprio interesse.

Continuo a lasciare mance esagerate a quei poveri ragazzi ed ho smesso di prendere di punta i “bravi” locali, se i mandanti sono i padroni della città posso ottenere solo altri guai per i mei amici gonfiandone un paio. Ricchi ladakini, mercanti munsulmani, ristoratori nepalesi, profughi tibetani con passaporto Onu e poveri montanari mischiati con gli opulenti stranieri di tutto il mondo sulla linea di confine tra due potenze atomiche in conflitto. Che strano e complesso scenario abbiamo trovato quassù tra i monti, sono così lontano ma quante cose imparo su “casa” nostra.

Davide “Birillo” Valsecchi

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