I Camosci del Resegone

I primi ad insegnarmi ad andare in montagna furono degli anziani cacciatori che seguivo tra i monti occupandomi dei loro cani. Gente alla maniera vecchia da cui ho imparato a rispettare il silenzio del bosco e a conoscere i grandi animali che vi abitano.

Quando sono stato un po’ più grande gli alpinisti mi hanno insegnato ad arrampicare e a raggiungere le cime rocciose ed innevate che fino ad allora mi sembravano irraggiungibili. Qualcosa in questi lunghi anni credo di averlo imparato ma di certo non dimenticherò le lezioni impartite dalle quelle figure-grigio verdi che, in un passato ormai remoto e quasi scomparso, custodivano i segreti più profondi di questa natura selvaggia.

Spesso chi frequenta la montagna lo fa in modo distratto e rumoroso, presi dalle proprie mire alpinistiche gli escursionisti sembrano ciechi a gran parte di quello che li circonda e che, a loro insaputa, li osserva invece con attenzione. Per questo, quando mi è possibile, cerco di uscire per monti quando nessun’altro lo fa, quando sulla montagna regnano solo il silenzio e le ombre.

Sul Resegone non vi erano altri esseri umani ad eccezione di noi. In quell’oceano solitario fatto di prati e rocce puntavamo alla cima. Il ragazzo che era con me era stupito: «Gli siamo arrivati a meno di cinque metri! Eravamo vicinissimi! Io i camosci li avevo visti solo sull’etichetta del formaggio!!» Ancora rido ripensando al suo meravigliato stupore: a volte si deve diventare invisibili, a volte semplicemente si deve dare prova di essere parimenti selvatici.

Erano il sole ed il silenzio a dominare la montagna ed in quella solitudine è stato “facile” ed “emozionante” avvicinarsi a quegli animali scattando qualche foto con la mia modesta macchina fotografica (FujiFilm FinePix S2950).

Giunti sulla vetta del Resegone, alla punta Cermenati, abbiamo abbracciato il panorama che ci circondava e, seduti con i piedi a penzoloni sulla roccia, avevamo la consapevolezza di essere stati accettati con benevolenza da quella sconfinata magnificenza. Grazie.

Davide Valsecchi