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I love U: follia, maledizioni e serpenti

I love U: follia, maledizioni e serpenti

Io ti amo
Io ti amo

Erano le sette e mezza che, per l’ora zanzibarina, corrispondono alla seconda ora e mezza del mattino. Dormivo beato quando alla porta bussò uno dei pittori, un ragazzo napoletano arrivato da poco e con una gran passione per la pesca.“Ma dormite con la porta aperta?” domandò infilandosi nel piccolo bungalow. “Chi vuoi che cerchi guai entrando qui dentro?” pensai tra me e me mentre anche Enzo sembrava resuscitare nell’altra branda.

“Devo andare all’ospedale” disse il napoletano “Mi sono piantato un’amo in un dito”. La cosa li per lì mi sembrò buffa ma quando in contro luce vidi il dito con un piercing a forma d’amo da pesca gli chiesi di avvicianarsi. Mi infilai gli occhiali e guardai da vicino. Il napoletano si era alzato alle cinque per pisciare ed era inciampato travolgendo il tavolino della sua stanza su cui aveva riposto l’attrazzatura da pesca la sera prima. Il risultato era che un rapala, un piccolo pesce finto munito di ancorette, gli si era piantato nel dito sotto il peso di tutto il suo corpo.

Aveva già tagliato con il tronchesino il pesce finto ma era nei guai perchè un amo è come una freccia:l’unica soluzione era spingere l’amo ancora più in profondità fino a farne uscire la punta, tagliare l’ardiglione e sfilare poi l’amo di nuovo dalla parte opposta. L’alternativa era incidere ma poi sarebbero serviti un paio di punti di sutura. L’incognita erano nervi e tendini ma si sà, non tutte le ciambelle escono con il buco.

Erano ormai tre ore che aveva quell’arnese nel dito e fortunatamente si era già messo d’accordo con il driver per andare in città da un dottore: questo mi sollevava dalla responsabilità di “operare” prima ancora di aver bevuto il caffè. Se fosse successo ad Enzo probabilmente lui si sarebbe scarnificato il dito da solo prima di venirmi a dire che si era fatto male: lui è fatto così.

Così come era entrato il napoletano se ne uscì e fino a sera non se ne seppe più nulla nè dell’amo nè del dito. Scesi dalla branda, mi infilai i sudici pantoloncini cachi e mi avviai per il cantiere in cerca del toscano. Il toscano era il magazziniere ed in parte il giardiniere della struttura, parlava a perfezione il swahili e vivieva qui da qualche anno dopo essersi trasferito dal Messico: un tipo stavagante dall’accento inconfondibile.

La sera prima era entrato in mensa terribilmente agitato con una storia incredibile. Nel pomeriggio era arrivato un container di porte in legno che aveva fatto accatastare in diversi bungalow vuoti. Prima di sera però gli ascari, le guardie, gli si erano presentati dicendo che le porte erano 205 quando al toscano risultavano fossero 325. Chi avesse aperto i lucchetti agli ascari permettendo di contare le porte non fu mai scoperto così come non si capì mai perchè diavolo si erano messi a contarle. Sta di fatto che le porte furono di nuovo contate per ben tre volte ed ogni volta l’esito del conteggio era imprevedibile così come era incomprensibile il curioso giro di lucchetti che improvvisamente non funzionavano più o di cui si erano perse le chiavi o che erano stati inspiegabilemente sostituiti.

La paura del toscano era che durante la notte volessero far sparire le porte oltre la recinzione: una porta è facile da smerciare da queste parti. Appena fuori dal cantiere un ex-manovale aveva tirato in piedi una piccola baracca dove vendeva birra e cognach in bustine di plastica agli operai. Le male lingue dicevano che aveva recuperato i soldi per aprir bottega dopo che una pompa idraulica era misteriosamente sparita dal cantiere il giorno prima che si licenziasse. Il toscano sapeva che se le porte uscivano dal nostro perimetro e finivano nella baracca sarebbe stato difficile recuperarle ed avrebbero potuto farle sparire con tutta calma.

Così quella notte io, Enzo e “Blu Matisse” avevamo fatto un po’ di giri di ronda ed ora ero in cerca del toscano per sapere se la notte era passata senza portare sorprese al mattino (escludendo l’amo nel dito del napoletano…). Mentre vagavo trovai il toscano che discuteva animatamente con un capannello di operai attorno ad un baobab.

La prima volta che sentii parlare di un baobab ero alle medie. La maestra di francese ci aveva fatto tradurre un brano de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry ed io non avevo assolutamente capito che diamine fosse questo stramaledetto baobab che sul vocabolario si traduceva solo come “baobab” senza spiegare che diavolo fosse.Per me divenne una qualche strana forma di vita spaziale che minacciava il pianeta del Piccolo Principe: uno stramaledetto alieno sgretola-mondi verso cui il principe non aveva nessuna pietà!!

In realtà i locali credono che il baobab sia stata una pianta tanto vanitosa da aver sfidato Dio che, nella sua ennesima dimostrazione di comprensione e pazienza, l’aveva sdracicata dal terreno e ripiantata a testa in giù in modo che quelli che oggi appaio come rami siano in realtà le antiche radici. Questa è in parte la ragione per cui il baobab dai locali è considerato un albero magico in grado di creare un contatto con il mondo sotteraneo degli spiriti.

Bhe, quella mattina stavano tutti a discutere guardando tra le radici della pianta tanto che mi avvicinai con cautela pensando che vi fosse qualche animale strano: “Che succede?”. Il toscano mi spiegò che c’erano dei capelli umani in mezzo alle radici, che era stato compiuto un rito sulla pianta e che per questo tutti si rifiutavano di lavorare vicino al baobab per paura della collera degli spiriti.

Il toscano conosceva a perfezione la lingua ma tutte queste storie non lo convincevano, anzi, lo irritavano parecchio. In passato una ragazza si era sentita male ed aveva avuto delle convulsione svenendo e cominciando a sbavare. Tutti i presenti credettero che la ragazza fosse posseduta da uno shetani, uno spirito maligno, e si rifiutarono di aiutarla fino a quando non la trovò, un buon quarto d’ora dopo, il toscano. Furioso chiamò uno sgangherato taxi e bastone alla mano minacciò di scorticare la schiena a legnate al primo che si fosse rifiutato di aiutarlo a caricare la ragazza in macchina. Il toscano pagò il taxi e l’ospedale, solo poi si scoprì che la ragazza aveva avuto un’attacco epilettico.

Io conoscevo la storia e potevo capire quanto stessero “cominciando a girargli” al toscano per quella storia dei capelli. Così, per tagliare la testa al toro, dissi ad alta voce:“Ci penso io!!”. Mi avvicinai ad una ragazza e con un’ampio sorriso mi feci prestare la sua scopa. Impugnandola come un’improvvisato bastone magico dissi al toscano: “Spiega loro che sono un grande mago e che purifcherò l’albero con la mia magia!!”. Il toscano, esterrefatto, tradusse mentre io con versi incomprensibili toccavo con la punta della scopa la corteccia del baobab.

Nell’99 in Pakistan mi ero spacciato per dottore “guarendo” un ginocchio con del dentifricio: con il tempo ero migliorato spingendomi parecchio oltre!!

Tenendo la scopa con la sinistra, in alto verso il cielo, mi chinai a raccogliere il ciuffetto di capelli con la destra: è curioso come i capelli dei neri formino una specie di riccioluto batuffolo irsuto. Dissi al toscano che avrei chiesto l’aiuto del mare ed avrei gettato il feticcio di capelli tra le sue onde disperdendone le magia. Mi incamminai tra gli sguardi stupefatti dei presenti verso la scogliera e con fare solenne, scongiurando improvvisi scherzi del vento, gettai i capelli in mare.

Agitando la mia scopa in segno di vittoria tornai al baobab dove ora tutti ridevano contenti inneggiando al “mgamga”, il grande mago bianco. Soddisfatto guardai tutti gli uomini tornarsene al lavoro sotto lo sguardo scocciato ed enigmatico del toscano che, in verità, sebrava chiedersi silenziosamente se fossero più stupidi loro, io o forse lui. Del gruppetto solo una ragazza si fermò immobile e, a bassa voce, disse qualcosa in swahili al toscano che, scuotendo la testa in modo flemmatico, tradusse anche per me: “Lei dice che ha capito che sei un grande mago ma ora vorrebbe sapere se le puoi tornare la sua scopa per andare a lavorare….”.

Questo era l’inizio di un’altra giornata africana e, prima che la follia si impadronisse di me, avrei dato la caccia alla mia tazza di caffè: vivo in mondo strano forte alle volte…

Davide “Birillo” Valsecchi

PS. a fine serata il napoletano tornò in cantiere. All’ospedale i dottori cubani gli avevano fatto una “lastra domestica” e dopo avergli riempito il dito di anestetico gli “strapparono” l’amo trattenendolo in due per gambe e braccia. Gli fecero la lastra ma non gli medicarono nemmeno la ferita e toccò a me mettergli un paio di cerotti.

La sera stessa, per festeggiare, andammo a bere fuori spingendoci fino alla zona turistica. Il napoletano si mise a parlare appoggiandosi con la mano ad un piccolo muretto. Vidi Enzo avvicinarsi e con decisione e delicatezza afferrare il braccio del napoletano staccandolo con lentezza dal muro. Il napoletano non sembrava capire e stava per protestare quando Enzo gli disse: “Da queste parti ci sono un sacco di cose brutte che strisciano e che trovano il caldo dei muretti interessante. Di solito poi non amano essere disturbate”. Appena sopra il muretto c’era una serpente dal manto olivastro e scuro, lungo una trentina di centimetri e dalla testa piccola ed appuntita. Aveva la pancia chiara e gonfia come se si fosse appena nutrito.

La foto del serpente è ora nell’Iphone di Enzo. Non so che specie fosse anche se mi hanno detto che da queste parti si trova oltre ai grandi pitoni anche il mamba verde ed il mamba nero. Lo scorso anno sull’isola di mafia mi ero abituato a trovare piccoli cobra ma qui a zanzibar, tranne quello di mare che ha morso Enzo, questo è il primo serpente che mi capita di incontrare.

Comunque sia il napoletano ha decisamente imparato a tenere le mani apposto in Africa…

A caccia di Fantasmi

A caccia di Fantasmi

Blue Matisse
Blue Matisse

Il Sabato i quasi ottanta operai che lavorano nel cantiere tornarono verso casa e nella struttura rimanemmo solo noi sette europei e quindici ascari, le guardie locali. Sembrava una serata qualsiasi ed avevamo da poco finito cena quando il capo cantiere, che era in città, chiamò il capo squadra con una scomoda novità. C’era in giro la voce che quella notte sarebbero venuti a far razia nel cantiere con la compiacenza di alcune delle guardie: “…qualcuno degli ascari è con voi non so di quanti possiate fidarvi. Fate attenzione: senza fare gli eroi tenete gli occhi aperti”.

Il cantiere ospitava cinquanta bungalow e sette ville super lusso ormai quasi complete ed ammobiliate di elettrodomesti e condizionatori: una struttura imponente nel cuore dell’Africa a ridosso dell’Oceano Indiano.

L’area era vasta ed attraversata da piccoli vialetti immersi in un rigoglioso giradino esotico. I giardinieri non avevano ancora cominciato a potare le piante e nemmeno gli elettricisti avevano concluso l’istallazione delle luci: quei vialetti erano una dannata giungla buia a ridosso del muro di cinta verso la shamba, la campagna.

Andammo nel complesso principale ed accendemmo tutte le luci, salimmo sui tetti e puntammo alcuni fari nelle zone più buie ma, camminando lungo il perimetro, ci si rendeva conto di quanto fosse indifendibile quel posto senza le cancellate ed i fari di sicurezza che ancora dovevano essere installati. In quelle condizioni se una decina di uomini avesse deciso di entrare con un camion sfruttando l’appoggio delle guardie sarebbe stato impossibile impedirgli di portarsi via tutto.

Non mi andava di ritrovarmi ai ferri corti senza niente in mano e così tornai al cassone del rottame. Nel pomeriggio avevamo tagliato con il plasma una piastra da 3 millimetri sagomandola con una figura simile alla “donna blue” di Matisse. Uno degli scarti della sagoma mi aveva colpito per la sua forma allungata. Mi infilai i guanti di pelle e dopo una breve ricerca “impugnavo” di nuovo quel pezzo di metallo: un’ellissi allungata ed appuntita seguita da un sottile manico. Con una corda di nailon irrobustii l’impugnatura e fui soddisfatto del risultato.

La lama era frastagliata ma non aveva filo, era lunga circa cinquanta centimetri e terminava in una punta molto aguzza. Lo spessore la rendeva solida e l’impugnatura di una spanna rendeva facile afferrarla con una o due mani. Era artigianale ed improvvista ma era una buona arma. La arrotolai in una maglietta e me la misi sotto braccio. Sapevo che, per quanto buona, era solo una “piuma di pavone” e che la nostra unica concreta possibilità fosse far capire agli ascari corrotti che avevamo mangiato la foglia e che per quanto impreparati avremmo vigilato tutta la notte.

Al mio socio piacque il mio machete improvvisato ma, non trovando nulla di meglio, dovette accontentarsi di un semplice bastone di legno trovato nel laboratorio del carpentiere. Ci dividemmo in gruppi da due controllando i vari edifici e percorrendo in lungo ed in largo la struttura. Gli ascari erano sempre in giro e capirono che qualcosa di strano stava succedendo quella notte: noi guardavamo loro e loro guardavano noi. Quando nel buio dei vialetti ci incontravamo gridavo “Poa”, tutto bene, e loro facevano lo stesso dopo avermi riconsciuto. Era una strana situazione, nessuno si fidava più di nessuno ed ogni rumore ed ombra nella notte erano un buon motivo per trattenere il fiato.

Il carpentiere moldavo alla fine prese la pazienza ed affrontò il problema di petto. Si piazzo davanti all’ascari che dormiva sotto la mensa cucina e gli chiese duro, diritto negli occhi: “Dove è il problema questa notte?” L’ascari faceva finta di non capire, di non sapere ma il moldavo lo pressava: “Bungalow o ville? Dove?” L’ascari si ammutolì abbasando la testa. Il moldavo si convinse che non sapesse nulla e si voltò per continuare il suo giro. Fu quell’attimo che l’ascari sussurò “Bungalow” ed un brivido corse sulla schiena di noi tutti.

Avevamo deciso di montare la guardia tutta la notte e ci davamo il cambio rientrando in stanza per riposare un oretta. Io mi stesi sul letto e chiusi gli occhi. Ognuno di noi aveva sulle spalle una dura giornata di lavoro e dormire era ciò che avremmo sperato per la notte prima di quella telefonata.

Precipitai nel buio. Ero in un’albergo di montagna, uno di lusso. Eravamo nella Hall ed ero seduto ad un tavolino su di una poltrona di pelle. Davanti a me c’era un tipo biondo, occhi azzurri, aveva la mia stessa età ed altezza. Aveva i capelli un po’ lunghi ma ben curati e lo sguardo tagliente. Ben vestito aveva un grosso orologio in acciaio al polso. Io indossavo un hip-hop in plastica anni 80 che mi aveva prestato Bruna per tenere il tempo quando uscivo a nuotare in mare. Il tipo mi era già antipatico ancor prima di scoprire che era il nuovo fidanzato della mia ex.

Cominciò a raccontarmi che era il titolare di una piccola ma arrembate società di consulenza informatica e si mise a snocciolare i nomi dei prestigiosi clienti per cui lavorava quando al mio fianco apparve il padre della mia ex. Il vecchio era un tipo simpatico, eravamo molto amici anche se erano ormai anni che non ci vedavamo. Sorrideva ed aveva stampato sul viso un’espressione che letteralmente diceva: “…bhe, vedi, lui è un’altra cosa…”. Il biondo cominciava ad irritarmi seriamente.

Pensavo di essere al limite della sopportazione quando al tavolo si sedettero mio padre ed il padre di Bruna con il suo cappello da cow-boy e la sua passione per il Far-West. Il biondo cominciò a raccontare della sua collezione di Tex Willer anni ’60 e della sua ultima battuta di pesca in Canada in compagnia di un suo grosso cliente. Mio padre lo ascoltava interessato ed il padre di Bruna gli assestava compiatute pacche sulle spalle.

Ero furioso, il mio odio per il biondo era palpabile come il mio silenzio. Il peggio doveva ancora venire. Mi voltai e vidi Bruna e la mia ex camminare verso di noi chiacchierando tra loro come vecchie amiche: erano bellissime.Era la prima volta che vedevo insieme mia moglie e la mia ex-moglie e restai sorpreso da quanto onestamente volessi bene a quelle due donne. Per un attimo fui felice, almeno fino a quando il biondo, aggiustandosi la giacca, non si alzò in piedi per accoglierle sfoderando il suo sorriso migliore arrogantemente sicuro di essere il maschio Alpha tra noi due.

Era troppo, non ero più lì. Ero nella cucina dei miei, in compagnia di mia madre e guardavo fuori dalla finestra la nebbiolina di novembre che si alzava dalla valle del Lambro. Lei sapeva darmi una grande calma. In ogni mio viaggio più mi allontanavo da casa e più  spesso la rivedevo, più profodamente riemergeva dai miei ricordi. Rivederla era sempre terribile e magnifico. Mi guardò e mi disse: “Perchè ti dai il tormento?”.

Nei miei pantaloni cominciò a vibrare silenzioso il cellulare. Era la sveglia. Ero di nuovo in Africa, completamente vestito nella mia branda con lo scarto di un Matisse come arma. Ero sveglio ed era di nuovo il mio turno. Era il mio momento di tornare tra le tenebre a caccia di fantasmi.

Davide “Birillo” Valsecchi

Asso chiama Zanzibar #03

Asso chiama Zanzibar #03

Mkuyu, l'albero sacro di Stone Town - Ricordate di scattarvi una foto con i nostri cedri per Santa Appollonia!!
Mkuyu, l'albero sacro di Stone Town - Ricordate di scattarvi una foto con i nostri Cedri per Santa Appollonia!!

[In collaborazione con il laboratorio di giornalismo della Scuola Media di Asso coordinato dalla Professoressa Giulia  Caminada ecco i nostri racconti di viaggio dedicati ai giovani giornalisti]

Ciao ragazzi

come sapete Enzo è un’artista, in particolare uno scultore del ferro oltre che un fotografo e la sua abilità fa sì che spesso venga invitato per le sue doti artistiche nei posti più insoliti.

Io e lui facciamo squadra da quasi tre anni e così, in queste occasioni, mi tocca vestire “i panni dell’aiutante artista” e seguirlo in queste inconsuete avventure.

Per questo motivo ora ci troviamo a Zanzibar collaborando ancora una volta con un’altra artista originaria del comasco: Vivide Mantero.

Vivide vive qui sull’isola ormai da anni, parla benissimo il swahili ed è una profonda conoscitrice della cultura locale: lei è la prima fonte da cui attingo per rispondere alle vostre domande.

I due artisti lavorando il ferro mescolano soggetti e forme indigene con elementi artistici tipici del vecchio continente: oggi, ad esempio, hanno realizzato delle figure ispirate alla “donna blu” di Matisse che si integrano nel contesto di una rappresentazione africana con cui decorare un cancello.

Normalmente a me ed Enzo tocca dormire in tenda o in qualche sgangherata stamberga, spesso è capitato persino di dormire “all’addiaccio” sulle rive di un fiume o in mezzo ai campi. Questa volta, con un certo imbarazzo vista la mia natura piuttosto selvatica, siamo invece in un resort a cinque stelle tra i più lussuosi, costosi ed esclusivi dell’isola e di questa parte d’Africa.

L’unica particolarità è che questa stupenda struttura non è ancora completata ed è in buona parte ancora un cantiere. Proprio per questo Enzo è stato invitato per partecipare alla realizzazione di alcuni elemnti d’arredo in ferro. Quindi passeggiamo liberamente nella costruzione in Makuti più alta dell’isola, tra piscine, bungalow ed un’incredibile giardino. Un opera che riprende le linee e l’aspetto femminile del mare concepita dall’architetto italiano che fu allievo del famoso Carlo Scarpa.

Tra qualche mese i vialetti che percorro ogni mattina saranno calcati da alcuni tra le persone più facoltose e potenti del pianeta ma, per ora, ci siamo solo io, Enzo, altri otto europei e quasi ottanta operai zanzibarini. Quella che diverrà un oasi di quiete e lusso ora è un brulicante cantiere dove si mischiano lingue, culture e competenze diverse.

La particolarità degli interventi di Enzo fa sì che un giorno si collabori con la squadra dei muratori, il giorno successivo con i pittori, poi gli idraulici,  gli elettricisti, ecccetera. E’ divertente per noi cambiare lavoro ogni giorno ed inoltre, trovandosi gomito a gomito a faticare insieme sotto il sole,  è possibile conoscere la realtà locale e comprenderela al di là di quanto si legge sui libri o nelle riviste patinate.

La prima cosa che si impara è quanto sia diverso il nostro modo di vivere e le cose che conosciamo: stesso mondo, visioni spesso opposte.A volte sono solo dettagli ma che messi tutti insieme aiutano a comprendere le ragioni di tale diversità. Facciamo un esempio:

Ho visto sul vostro blog che state realizzando una bellissima ricerca geografica sui continenti corredando i vostri testi con imamgini satellitari e splendide cartine digitali. Quando avevo la vostra età anche noi facevamo qualcosa di simile ma avevamo a disposizione solo le grandi cartine appese alle pareti ed i mappa-mondo chiusi dentro l’armadio.

Lo scorso anno, in un paesino sperduto in mezzo alla Tanzania, ho fatto una scoperta interessante che mi ha fatto capire quanto sia importate la scuola che oggi state frequentando: quasi per scherzo, decisamente incredulo, ho mostrato il mondo intero ad un villaggio disegnandolo con un sasso nella polvere di un piazzale. La storia di quel curioso pomeriggio la trovate in quest’articolo che scrissi un anno fa e che per certi versi è tanto divertente quanto istruttivo: Lezioni di geografia

In quell’articolo si scopre quanto ci siano conoscenze che noi diamo per scontato e chi qui invece mancano. Allo stesso modo potrei portarvi un numero incredibile di nozioni importanti (sulla natura, sugli animali, ecc) che i locali possiedono e noi nemmeno sfioriamo. Ricordate: nelle differenze c’è sempre una conoscenza nascosta da esplorare.

Passiamo alle domande. La scorsa settimana mi avete chiesto delle spezie e per questo vedrò di infilarmi nella “shamba”, la campagna dell’entroterra, per scattare qualche foto alle piante da frutto locali ed alle piccole coltivazioni. Mi mangeranno vivo le zanzare ma vedremo di riuscirci lo stesso.

Mi avete chiesto anche dei grandi animali del mare e possi dirvi che qualche settimana fa è stata avvistata una coppia di balene proprio davanti alla nostra scogliera. Se volete leggere qualche racconto di mare  io ed Enzo abbiamo “scroccato” un giro su di una barca d’altura ed abbiamo avuto la fortuna di vedere molti pesci tra cui anche un numero incredibile di delfini: In alto mare con Dusko

Per ora vi lascio, devo correre ad aiutare Enzo che traffica con il saldatore e gli altri atrezzi da fabbro/scultore. Scrivetemi le vostre domande che qui ho un numero sempre crescente di persone pronta ad aiutarmi nel rispondervi: siete diventati abbastanza famosi da queste parti =)

Ricordatevi di cercare le foto del leone di Scarenna!!
Ciao

Davide “Birillo” Valsecchi & Enzo Santambrogio

L’albero nella foto sorge poco distante dalla House of Wonders ed è “molto” vecchio. La targa era in inglese e credo che la specie sia Ficus Religiosa (Mkuyu in Swahili) ed è una meta di pellegrinaggio per buddisti ed induisti ed ovviamente i locali gli attribuiscono poteri magici. E’ un monumento nazionale, testimone della storia di Stone Town. Se avete tempo per Santa Appolonia scattevi una foto con i Cedri di Asso per celebrare le nostre piante ma anche gli abitanti di Asso. Se i cedri avranno la forza di resistere altri 120 anni quelle foto diverranno un magnifico ricordo per coloro che verranno dopo di noi. Chissà, forse i bambini di oggi mostreranno la loro foto con le piante  nel giorno di festa ai nipotini di domani.

Asso chiama Zanzibar #02

Asso chiama Zanzibar #02

Raccoglitrici di alghe
Raccoglitrici di alghe

[In collaborazione con il laboratorio di giornalismo della Scuola Media di Asso coordinato dalla Professoressa Giulia  Caminada ecco i nostri racconti di viaggio dedicati ai giovani giornalisti]

Cari Davide e Enzo

inutile dire che abbiamo aspettato con impazienza la vostra  prima lettera, che abbiamo letto in classe. Del resto abbiamo deciso di studiare il continente africano in questo momento proprio per accompagnarvi in questo viaggio virtuale. Ora che tocca noi scrivere ci risulta però molto difficile scegliere gli argomenti di cui parlare o su cui fare le domande.

Siete arrivati a Zanzibar e sappiamo che l’isola è uno dei luoghi più rappresentativi della cultura Swahili. Ci avete detto che siete attraccati al porto di Stone Town e noi sappiamo che lì ci sono gli antichi palazzi dei sultani e che la cucina è rinomata per i suoi insoliti abbinamenti di sapori. Inutile dire che ci piacerebbe visitare il Beit El-Sahel e il Palazzo delle meraviglie.

Per quanto riguarda la cucina immaginiamo che nella preparazione dei piatti gli abitanti del luogo utilizzino molte spezie. Come sono le coltivazioni delle spezie? Sono estese piantagioni oppure, come da noi, piccoli campi? E quali sono le spezie che si coltivano? Questi campi quanto paesaggio occupano?

Ci avete scritto che siete nell’isola di Unguja che si affaccia sull’Oceano Indiano ed è circondata dalla barriera corallina. Che cosa vi ha colpito di questo ambiente? E’ veramente così stupenda come la vediamo nei documentari? Ci sono squali e balene nell’Oceano Indiano?

Zanzibar è un arcipelago dove si vive in pace? Sappiamo che la maggior parte delle guerre che si combattono nel mondo si svolgono in Africa anche se la TV ne parla poco. In questi giorni ci hanno molto colpito le forti tensioni che stanno scoppiando in Egitto…

Abbiamo molto discusso sulla formula di saluto e non siamo giunti concordi a un saluto condiviso.
Però è certo che il vostro viaggio è anche il nostro e che quindi, perchè salutarci se siamo con voi?

Vi auguriamo le cose più belle e alla prossima lettera
Noi di bloggiornalismo.scuoleasso.it



Mambo, u hali gani? Come va?

Scuste il ritardo nel rispondervi ma l’Humeme, l’energia elettrica, in questi giorni va e viene ed abbiamo avuto qualche difficolà a raggiungere Internet. Vi ringraziamo per la vostra lettera e per le vostre domande: ci vorrà del tempo per trovare tutte le risposte!!

Purtroppo sì, l’Africa è un continente funestato dai conflitti. La guerra è terribile ed ha origine solo e sempre per due motivi: ignoranza ed avidità. Per questo, fintanto che siete giovani, nutrite la vostra mente di conoscenza perchè è l’unica soluzione per evitare la guerra o, nel caso peggiore, non per perderla.

Asante sana (molte grazie!)

Davide “Birillo” Valsecchi & Enzo Santambrogio

Asso chiama Zanzibar #01

Asso chiama Zanzibar #01

Milano, Cairo, Dar es Salaam
Milano, Cairo, Dar es Salaam

[In collaborazione con il laboratorio di giornalismo della Scuola Media di Asso coordinato dalla Professoressa Giulia  Caminada ecco i nostri racconti di viaggio dedicati ai giovani giornalisti]

Buongiorno giovani giornalisti, chi vi scrive è Davide Valsecchi ed Enzo Santambrogio.

Visto il buon lavoro e l’ottima ricerca che abbiamo fatto insieme l’ultima volta si è deciso, in collaborazione con la vostra insegnante, di portarvi in viaggio con noi: ogni settimana vi manderemo una lettera aspettando di ricevere le vostre domande, la settimana successiva vi risponderemo raccontandovi qualcosa di nuovo.

Settimana dopo settimana, lettera dopo lettera, realizzeremo insieme un’avventura condividendo quello che si scoprirà durante il viaggio.

La nostra destinazione questa volta è la {it:Tanzania}, uno stato africano a sud dell’{it:equatore}. Per chi non lo ricordasse l’equatore è la linea immaginaria che sulle carte geografiche divide in due il globo terreste: l’Italia è sopra e noi siamo sotto di cinque gradi per l’esattezza. Questo vuol dire che mentre da voi ancora nevica ed è inverno da noi è piena estate e, come se non bastasse, siamo in una zona tropicale: quindi fa un caldo terribile!!

Lascio a voi il compito di cercare sulla wikipedia cosa sia l’equatore e cosa siano i {it:tropici}: sono sicuro che senza difficoltà, studiando anche il moto terrestre e la rivoluzione attorno al Sole, capirete perchè le stagioni sono invertite. Sì, serve conoscere un sacco di cose per andare in giro per il mondo!

Vediamo un po’ i dettagli del viaggio che abbiamo fatto fino ad adesso:

Siamo partiti dall’Aereoporto di {it:Malpensa} Giovedì 20 Dicembre alle ore 14:00 alla volta dell’aereoporto internzionale del {it:Cairo} dove abbiamo fatto scalo, ossia abbiamo cambiato aereo. Per arrivare al Cairo, la capitale dell’{it:Egitto}, abbiamo impiegato più o meno 3 ore di volo ma dall’aereoplano è stato possibile non solo vedere tutta l’Italia ma anche il {it:Mediterraneo} ed il {it:deserto}. Atterrando si sorvola anche tutta la città e si riesce a vedere dall’alto anche le {it:piramidi} più vicine.

Dopo un paio di ore di attesa ci siamo imbarcati sul volo in partenza per {it:Dar Es Salaam}, la città più importante della Tanzania. Abbiamo volato di notte e quindi questa volta non è stato possibile vedere il {it:Kilimangiaro}, la montagna più alta dell’Africa, che si erge abbastanza vicino a questa rotta.

Alle 5 del mattino di Venerdì 21 siamo finalmente atterrati dopo quasi sette ore di volo. In totale abbiamo trascorso in aereo quasi dieci ore percorrendo oltre 7000 km ad una velocità media di 700 km orari ad un altezza di 10.000 metri.

La Tanzania si trova più ad ovest dell’Italia e per questo ha un {it:fusorario} differente. Questo perchè il Sole, per effetto della rotazione della Terra, sorge prima qui che in Italia da voi. Quando da noi sono le 9:00 del mattino da voi sono solamente le 7:00 perchè qui il giorno inizia due ore prima.

Dar Es Salaam è una città molto grossa ma anche molto differente dalle metropoli europee: in questi grandi aglomerati africani si deve sempre fare molta attenzione perchè tutto è molto più caotico e disordinato che da noi. In pratica hanno il nostro stesso livello tecnologico ma lo sviluppo urbanistico e culturale è stato molto più disorganizzato e questo fa sì che vi sia una situazione densa di contrasti e di contraddizioni per il nostro modo di intendere una città.

Qui tutti hanno la pelle scura e parlano il {it:Swahili}, la lingua nazionale, tuttavia se consocete l’inglese dovreste essere in grado di farvi comprendere dalla maggior parte delle persone che incontrate. Nelle strada si guida alla maniera anglosassone e quindi le corsie di marcia sono inverite: si deve fare attenzione attraversando!!

Dall’aeroporto abbiamo raggiunto il porto della città imbarcandoci su di una piccola motonave ed attraversando il mare verso l’isola principale dell’arcipelago di {it:Zanzibar}: {it:Unguja}. Ci sono volute due ore perchè la distanza tra l’isola e la terra ferma è molta ma, fortunatamente, solo Enzo soffre di mal di mare e quindi io mi sono goduto l’attraversata. L’isola si affaccia sull’{it:Oceano Indiano}ed circondata dalla {it:barriera corallina}.

Sull’isola abbiamo attraccato al porto di {it:Stone Town}, una città molto antica e carica di storia che non molti anni fa è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’{it:Unesco}, l’organizazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Vi parlerò ancora di Stone Town perchè è una città ricca di curiosità e misteri che sicuramente sapranno affascinarvi. Da Stone Town abbiamo attraversato l’isola fino a Nungwi, un villaggio di pescatori che si trova all’estremo nord dell’isola e dove un piccolo faro avvisa le imbarcazioni della presenza degli scogli.

Cosa siamo venuti a fare qui? Enzo deve realizzare degli scatti fotografici per un libro sull’isola e, in virtù dello scambio artistico dello scorso anno, realizzare due imporanti cancelli ornati in ferro. Io come al solito gli darò una mano curiosando come è fatto il mondo.

Bene, credo che ora abbiate un po’ di informazioni per cominciare a curiosare su come è fatta questa parte di Africa e su come organizzare i vostri articoli preparando le vostre domande per noi. Aspetto con impazienza le vostre curiosità ed i vostri quesiti!!

Vi lascio con un saluto locale: Karibu Zanzibar, che significa benvenuti a Zanzibar

Davide “Birillo” Valsecchi & Enzo Santambrogio

Operation Nungwi

Operation Nungwi

Siamo a Nungwi: Tanzania, all’estremità settentrionale di Unguja, la principale isola dell’arcipelago di Zanzibar. Siamo partiti con la neve ed ora, cinque gradi a sud dell’Equatore, ci troviamo nella torrida estate africana davanti all’oceano Indiano.

I “Due di Asso” stoicamente sopportano i sacrifici, le difficoltà e le privazioni che le loro esplorazioni li portano ad affrontare: guardate dove sono finiti questa volta i due disgraziati!!

Karibu gente: l’operazione Nungwi ha avuto inizio!!

Davide “Birillo” Valsecchi

[note] I “Due di Asso”, giunti nell’arcipelago di Zanzibar, trovano alloggio ed ospitalità a Nungwi presso amici italiani.

Tanzania the Movie

Tanzania the Movie

Verso l'Hanang
Verso l'Hanang

Sono passati ormai quasi otti mesi dal 21 Aprile 2010: sembra trascorsa un eternità da quella mattina buia in cui, Enzo ed io, ci siamo incamminati su per il monte Hanang nel cuore dell’Africa.

Ricordo che mi mancava il fiato quella mattina, avevamo fatto un lungo e scomodo viaggio  fino a Kathesh ed avevamo riposato solo mezza giornata: cominciavo ad essere stufo di mangiare solo  pollo arrostito a pezzi e mi sentivo stanco.

Mi mancava il fiato quella mattina ed al buio respiravo lento ad ogni passo perchè le gambe ed il corpo si adattassero a quella piacevole sensazione che è camminare: rotto il fiato e scaldati i muscoli potevo immergermi nell’avventura della scoperta.

Il vento soffiava forte come se scappasse nel buio dall’alba incalzante che nasceva sulla pianura. Enzo camminava davanti a me: la montagna, il vecchio vulcano, era coperto di vegetazione ed il ripido sentiero saliva lento ed incessante lungo il suo fianco occidentale.

Nei suoi 3415 metri svettava al di sopra delle nuvole che spinte dal vento si ammassavano sulle sue pendici: un emorme piramide posta nel mezzo di una sterminata pianuta verde costellata di laghi.

Mi ero quasi dimenticato di quella salita, il ricordo si era quasi assopito nella memoria per tornare ora, riguardando le foto, nuovamente vivo e vibrante: che bella montagna, solitaria e magnifica in un mare di nuvole.

Ho finalmente “montato” i filmati di quel giorno in una piccola clip. Spero vi faccia piacere vedere l’Africa dall’alto così come abbiamo potuto fare noi quel giorno:

Qui trovate il racconto di quella gioranta che scrissi la notte stessa quando tornammo finalmente a valle: Sopra le nuvole d’Africa

Davide “Birillo” Valsecchi

Il viaggio continua!!

Il viaggio continua!!

Racconti dall'Africa
Racconti dall'Africa

Piove e fa un freddo terribile ma siete sicuri sia Primavera da questa parte di mondo?! Così, per sconfiggere il cattivo tempo che ci affligge, ci rituffiamo tra i ricordi dell’Africa tratti dal “più che recente” viaggio in Tanzania.

Via Internet ho conosciuto Marco ed Andrea, i due fondatori un portale Facebook dedicato all’Africa: African Voices.

Il progetto si prefigge di raccontare l’Africa come di solito non avviene sui media e sulle Tv. Collaborano alla loro iniziativa amanti di questo continente, persone che ci vivono o vi lavorano ma anche coloro che hanno dovuto lasciare quella terra: medici, scrittori, professionisti, blogger, studiosi e tanta gente comune.

Marco ed Andrea sono rimasti colpiti dai nostri racconti e mi hanno chiesto di poter pubblicare sui loro spazi le nostre storie. Ogni due o tre giorni ri-pubblicano un mio articolo e, a quanto pare, sembrano sempre più apprezzati. In parte è  buffo: è come se il nostro viaggio, solitamente raccontato in diretta, sia ricominciato e continui ancora.

Mi ha fatto molto piacere il loro invito. Nei prossimi giorni hanno organizzato una specie di “incontro virtuale con l’autore” sempre via internet. Una specie di “botta e risposta” con i loro lettori. Vedremo cosa accadrà.

Intanto, spulciando sul web, ho trovato qualcosa che volevo sentire mentre ero in Africa. Qualche giorno prima di partire verso casa avevo inviato via e-mail un “riassunto” del nostro viaggio ad Ariele ed Eleonora, i due conduttori di Passengers, il programma del mattino di LifeGate Radio.

Quei due, a bordo del loro ecobus a zonzo per l’Italia, mi fanno impazzire: hanno letto la nostra storia come solo loro due erano in grado di fare. Se ve la siete persa eccola di nuovo: Ariele ed Eleonora ne “La letterina di Birillo dall’Africa

Ascolta la registrazione:

Un abbraccio a tutti voi!!

Davide “birillo” Valsecchi

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