Come va? Diciamo che si muove, che ci stiamo spostando. Ieri era l’ultimo giorno al mare, l’ultimo a Zanzibar. Enzo ha la fissa di andare a pesca con l’arpione e così, mentre io finivo di sistemare gli zaini e l’attrazzatura, ha preso le pinne e la mia maschera da sub e, armato di un pezzo di legno appuntito, è andato a fare l’aborigeno in mare. Gli ho visto fare qualcosa di simile anche sul lago di Como l’anno scorso, il risultato sembrava prevedibile e così l’ho lasciato andare da solo.
Cosa è successo? Bhe, mentre il nostro indomito pescatore inseguiva un pescetto si è imbattuto in un piccolo imprevisto: un serpente di mare. Non preoccupatevi, è vivo e fastidiosamente vegeto come sempre, però si è preso un bello spavento quando attaccato alla coscia con i denti nella ciccia si è ritrovato un biscione di quasi un metro, giallo e nero. Ovviamente è successo l’unica volta che non siamo usciti insieme…
Ad Enzo è mancato il coraggio di venirmelo a dire ma ha avuto il buon senso di andare dai pescatori a chiedere consulto. Il serpente non era fortunatamente velenoso, è più una specie di anguilla che un serpente, però gli ha dato un bel morso e, quando finalmente si è deciso a raccontarmi il tutto, la gamba si era un po’ gonfiata.Ora però, dopo 24 ore, è tutto tranquillo ed il morso, ben disinfettato, non desta preoccupazioni. Enzo avrà una ciccatrive nuova ed una storia da raccontare.
Per festeggiare che il “mostro marino” non l’avesse ucciso siamo andati a festeggiare ad un concerto di musica Taraab, letteralmente “gioia nella musica”. L’ospite d’onore della serata era Bi Kidude, una cantante di 105 anni considerata una leggenda vivente. Vedeste che grinta la nonnina!!
Stammattina con un Dalla-dalla siamo andati a Stone Town per imbarcarci su un frastornante traghetto. Due ore di mare e siamo giunti a Dar es Salaam. Domani mattina alle 5:00 abbiamo un pulman, uno Skandinavian Line, in partenza per Mbeya.
I prossimi giorni saranno abbastanza caotici, dobbiamo fare molta strada e molte tappe per avvicinarci il prima possibile al lago Tanganica attraversando la Tanzania meridionale. Vedremo di fare nel nostro meglio per tenervi aggiornati e mandarvi qualche bella storia.
Hakuna Matata
Davide “Birillo” Valsecchi
ps. purtroppo non ci sono novità sulla sorte del povero serpente che ha avuto la sfortuna di mordere Santambrogio…
Dopo sei settimane ecco alcune delle oltre venti sculture in ferro realizzate da Vivide ed Enzo. Lunedì mattina si parte per il continente, inizia il viaggio dei Flaghéé verso il lago Tanganica.
Mentre facevamo rifornimento a Stone Town, qualche giorno fa, mi sono infilato a curiosare in una piccola bottega piena di vecchi libri ammonticchiati alla rinfusa. Ingialliti e mezzi sfasciati molti erano per lo più romanzi, edizioni economiche probabilmente abbandonati dai turisti, c’erano un po’ tutte le lingue. Nel mucchio però anche vecchie guide dell’isola ed anche un malconcio libricino in inglese con stralci della storia di Zanzibar. Visto che mi piacevano le vecchie illustrazioni anche se era senza copertina me lo sono accaparrato per un pugno di Shellini.
La storia di Zanzibar è complessa, sull’isola sono passati un po’ tutti: portoghesi, sultani ottomani, consoli britannici e tedeschi. Dopo l’apertura del Canale di Suez, nel 1869, Zanzibar divenne la porta d’Africa per l’oro nero, che all’epoca non rappresentava il petrolio ma bensì la tratta degli schiavi. Qui hanno tenuto banco figure terribili come il celebre e spietato negriero Tippu Tip e, su tutta l’isola, si possono ancora vedere i segni di tale violenza nelle vecchie caserme di smistamento, le costruzioni dove venivano ammassati gli schiavi catturati nel continente in attesa di essere “esportati”.
Solo agli inizi del ‘900 fu posto fine ai traffici ma gli strascichi che lasciarono nella popolazione durarono a lungo. Nel 1964 una delle cause che portò alla violentissima rivoluzione sull’isola fu proprio l’odio dei neri contro gli arabi omaniti, eredi dei vecchi sultani schiavisti. In una notte, l’11 Gennaio del 1964, furono barbaramente uccise sulle bianche spiagge di Zanzibar quasi 14.000 persone!! Il famoso documentario “Africa Addio” mostra proprio i cruenti scontri di quel giorno. A guidare il massacro pare fosse una banda di 600 guerrieri addestrati dai cubani. Ernesto Che Guevara, per cui non nutro molta stima, ufficialmente arrivò a Dar er Salam solo nel Dicembre del ’64 ma è quasi certo che avesse personalmente allestito un campo di addestramento nella regione sud del Tanganica, regione dove siamo diretti anche noi e da cui prese vita la sua guerriglia in Congo. La guerra fredda ha avuto in Africa molti dei suoi più cruenti scontri, molti dei quali sconosciuti ai più.
Ma voglio raccontarvi un passaggio tratto dal libro meno legato ai giorni nostri che può dare un idea di cosa fosse il colonialismo agli inizi del secolo (ho fatto del mio meglio con la traduzione dall’inglese): Seyyid Khaled Bin Bargash irruppe alle ore 16 del 25 Agosto 1896 nel palazzo del Sultano, il Beit-el-Sahil, e con l’appoggio del consolato tedesco e di 2500 soldati si proclamò Sultano di Zanzibar in barba al protettorato britannico.
Il rappresentante di Sua Maestà, Sir Basil Cave, telegrafò al Foreing Office per ricevere istruzioni ed ottenne questa secca risposta:“Ha Carta Bianca per procedere come ritiene più opportuno”.
Due incorciatori della Royal Navy si trovavano già in porto, l’H.M.D. Philomel e l’H.M.S Trush. Dalle navi sbarcarono un contingente di marines e blue-jackets che si asserragliarono negli edifici della vecchia Dogana e nel Consolato inglese, presso il quale si erano nel frattempo rifugiati tutti i civili europei. Nel tardo pomeriggio arrivò in porto l’incrociatore leggero H.M.S Sparrow che gettò l’ancora 150 metri di fronte al Palazzo del Sultano. L’usurpatore, dal canto suo, si era barricato nel palazzo con i suoi duemila fedelissimi armati di moschetto, 2 cannoni da 12 libre, una mitragliatrice a canne rotanti Gatling ed addirittura uno dei tre cannoni in bronzo appartenuti ai portoghesi nel diciassettesimo secolo. La mattina seguente si aggiunsero in porto davanti al palazzo anche la cannoniera H.M.S Racoon ed il potente incrociatore H.M.S Saint George. Gli inglesi diedero un ultimatum al Sultano e quella, si narra, fù la notte più lunga e silenziosa di Zanzibar.
Il giorno successivo, in pieno stile inglese, alle ore 7:30 del 27 agosto 1896 tutti i civili furono invitati “a colazione” sul Saint George per “assistere alle operazioni belliche”. Alle ore 8:30 il Sultano inviò il seguente messaggio:“Non abbiamo nessuna intenzione di ammainare la nostra bandiera e non crediamo che abbiate il coraggio di far fuoco su noi”. Per dare forza alle sue parole alle 8:45 fece puntare i cannoni ad avancarica, vecchi di quasi tre secoli, contro le moderne navi da guerra inglesi. Alle ore 9:00 esatte il Racoon, lo Sparrow ed il Thrush aprirono il fuoco contro il palazzo del Sultano e sul Beit-el-Hukm, l’harem.
Dopo solo 45 minuti la bandiera del sultano fu ammainata ed il Contrammiraglio Rawson diede il cessate il fuoco. La quantità di colpi e proiettili sparati dalle tre navi aveva completamente disintegrato le facciate dei due palazzi, solo la House of Wonder non fu danneggiata mentre il resto fu quasi raso al suolo. Khaled si diede alla fuga tra i vicoli trovando rifugio a Dar es Salaam dove chiese asilo politico ai tedeschi.
Alle 11:00 dello stesso giorno fu procalmato il nuovo legittimo Sultano che venne salutato da una salva di 21 colpi (non avevano sparato abbastanza quel giorno!!) dalle navi da guerra in rada. I civili europei vennero gentilmente ricondotti a terra e fecero ritorno, sani e salvi, alle rispettive abitazioni giusto in tempo per il pranzo…
Questo era il mondo poco più di un secolo fa!!
Davide “Birillo” Valsecchi
Nota. L’albero nella foto sorge poco distante dalla House of Wonders ed è “molto” vecchio. La targa era in inglese e credo che la specie sia Ficus Religiosa (Mkuyu in Swahili), è una meta di pellegrinaggio per buddisti ed induisti ed ovviamente i locali gli attribuiscono poteri magici. E’ un monumento nazionale, testimone della storia di Stone Town. E’ irritante pensare che in Africa una pianta di fronte ad un palazzo storico sia tutelata come monumento mentre ad Asso spianano quelle davanti al Palazzo del Comune per farci una rotonda per camion: magari avessimo anche noi carta bianca per liberare il Palazzo del Sultano!!
(Cima-Asso.it: il punto di incontro tra mondi lontani ed il nostro amato paese….)
Io ed Enzo siamo sempre in bolletta ma, necessità virtù, non difettiamo mai di ingegno. Uscire in barca sull’oceano costa al giorno dai 300 dollari in sù, ben oltre le possibilità del nostro piccolo budget che, tra l’altro, deve sostenerci ancora per oltre un mese. Tuttavia la fortuna e il “Signur di Ciöc” ci assistono sempre.
Dusko è uno slavo che vive a Zanzibar da quasi vent’anni (da poco prima della guerra in Yugoslavia) e che gestiste una barca per la pesca sportiva d’altura: la fortuna ha voluto che Dusko abitasse proprio affianco al laboratorio di Vivide e che, ogni volta che rientrava a casa, ci trovasse indaffarati con cannello e saldatore a trafficare sulle sculture in ferro. Così, qualche settimana fa, ci ha chiesto se potevamo saldargli un bullone in acciaio per la barca. Enzo, che ha lavorato anche nella nautica, ha fatto un ottimo lavoro e da quel giorno è cominciato il pellegrinaggio di Dusko con i pezzi da riparare. Da queste parti trovare un buon saldatore è raro e così, per sdebitarsi, Domenica ci ha portato a pesca sull’Oceano. Spettacolo!!
La mattina, visto che è stagione delle piogge, c’è stato un grosso acquazzone ed il cielo era grigio mentre il mare rinforzava. A mezzogiorno, quando la marea ha cominciato a salire, ci siamo presentati sulla spiaggia. Con un piccolo tender abbiamo raggiunto il motoscafo d’altura di 15 metri, la Spellbound. A bordo Dusko, Mado, il capitano della nave anche lui slavo, e tre aiutanti zanzibarini. Caricato il tender abbiamo puntato il largo attraversando con cautela la barriera corallina.
Al di là della barriera il mare si è fatto subito scuro e le onde, le ochette, si sono fatte subito sentire agitando la barca. Sono salito sulla torretta, il pulpito da dove si guida la barca, insieme a Dusko e al Capitano e mi sono aggrappato ad un montante sporgendomi oltre il parapetto per guardare il mare. L’orizzonte era grigio carico di pioggia, il mare agitato si divertiva ad scuotere la barca come una giostra mentre le onde trasformavano il paesaggio in qualcosa di vibrante e vivo. I due confabulavano in slavo fino a che Dusko, con il suo pesante accento dell’ est, mi si è avvicinato per dirmi “Reggiti Davide, ora facciamo prova motori. Andiamo un po’ più veloce”. La barca ha sbuffato vibrando e ci siamo fiondati a tutta forza contro le onde precipitando lungo i pendii e le creste. In un attimo ero fradicio, con un sorriso compiaciuto da idiota mentre me ne stavo aggrappato a godermi lo spettacolo. Quando quattro delfini in formazione sono schizzati sotto di noi saltando affianco alla barca sono quasi scoppiato a ridere: i due strampalati assesi alla conquista dell’oceano!!
Dusko, non avendo clienti a bordo, approfittava dell’uscita per testare nuovi materiali e per addestrare il suo equipaggio zanzibarino. Non dava ordini ma si limitava a fare domande in inglese ai suoi ragazzi mentre montavano tutte le canne ed attrezzavano il necessario per la pesca. Per me è stata una gran fortuna, quasi come assistere ad una lezione: Dusko interrogava, ascoltava le risposte e correggeva spiegando. Su entrambi i lati della barca hanno posizionato in appositi supporti 3 pesanti canne da pesca con grossi mulinelli. Rapala grossi come il mio avambraccio e grossi pesci come esche, mentre le lenze venivano calate per quasi duecento metri dietro la barca. Due aste di quattro metri poste ai fianchi allargavano lo spazio orizzontale in cui disporre le lenze. Quando tutto è stato pronto i ragazzi controllavano le canne mentre Dusko coordinava la barca in slavo urlando con Mado al timone: la Spellboud era pronta, tutto era preparato per catturare i misteri del mare.
Nelle due ore successive le frizioni dei mulinelli hanno dato qualche falso segnale ma senza pesce, procedavamo verso il mare aperto e la costa quasi non si vedeva più. Enzo all’improvviso mi chiama mentre si aggrappa al parapetto: “Birillo, fammi la foto mentre vomito!!” Quello stupido tirava su l’anima salutandomi con il pollice alzato come Fonzie: è proprio tutto matto alle volte!! Io invece me la spassavo standomene appollaiato vicino alle canne e sperando in qualche segnale, aspettando il grande pesce.
Dusko mi ha offerto qualche biscotto mostrandomi la carta elettronica sul computer di bordo: “Oggi giornata difficile, poca luce. Pesce non vede bene e mangia poco. Ora andiamo qui. Qui sempre trova pesce”. La barca avanzava tra le onde ed io cercavo di utilizzare tutto il mio corpo per mantenere il mio barricentro come un cowboy a cavallo. Mi rendo conto che i marinai, quelli veri, diventano un tutt’uno con la barca, sembrano immobili perchè solidali ma, in fondo, l’effetto rodeo è ciò che mi piace dell’andare in mare. Enzo, che non la smetteva di vomitare, probabilmente direbbe il contrario.
“Guarda” Dusko mi indica un punto nel mare e l’acqua si riempie di schegge d’argento. Incrociamo un branco di delfini, oltre una cinquantina, che saltano fuori dall’acqua in piccoli gruppi. Riusciamo anche a sentire il loro tipico verso mentre ci schizzano attorno.“Dove c’è delfino c’è piccolo pesce ma troppa confusione per pesce grande che scappa” Mi spiega Dusko. Poi mi viene una domanda spontanea “Ma non abboccano i delfini alle nostre esce?” Dusko sorride “Delfino troppo inteligente per nostri piccoli trucchi, lui non casca in inganno”. Meglio così.
La Spellbound procede ancora ed ormai erano due ore e passa che era scossa dalle onde. Una frizione comincia a cantare mentre alle nostre spalle qualcosa salta fuori dall’acqua in un guizzo. La Spellboud si ferma mentre i ragazzi recuperano le canne e passano a Dusko quella dove è ferrato il pesce. Dusko si piazza sulla seggiola da pesca che assomiglia, in modo vago, a quella di un ginecologo. Bloccata nella sedia, Dusko, piega la canna e facendo forza sulle gambe la tira a sè. Quando ha guadagnato filo recupera con il mulinello sporgendosi di nuovo in avanti. Ad ogni trazione e recupero tira sempre più vicino il pesce che si dibatte a quasi duecento metri di filo dietro la barca.
Quando issano il pesce a bordo è un Dorado, quello che da noi si chiama Lampuga ed in Swahili è il Pange. Pesa oltre 5 kili, è lungo quanto la mia gamba con un colore dorato ed il muso tozzo. “Questa esca funziona, ora proviamo altra” Dusko stava facendo esperimenti e per questo le catture erano scarse. Tuttavia stavo imparando un sacco di cose sulla pesca in mare e sulle manovre degli aiutanti da essere comunque più che soddisfatto. Poi è toccato a me tirar su il pesce!!
Un altro Dorado si era attaccato all’amo e Dusko mi ha passato la canna per recuperarlo: una delle cose più faticose mai fatte in vita mia!! Il pesce, che era sui 4 kili e quindi “piccolo” per gli standard locali, si dibatteva ed il peso della lenza si faceva sentire come un macigno. Facevo forza sulle gambe coordinandomi nel recupero ma la mia imperizia era tutta da vedere. Qualche giorno prima Dusko aveva catturato un Marlin di 80 kili dopo 20 minuti di lotta: non ho idea di quanto possa essere duro un simile scontro. La mente correva nei ricordi de “Il vecchio e il mare” ed il “piccolo” Lampuga diventava in un attimo un gigante tra tutte le arborelle pescate da bambino sotto il ponticello di Cranno.
La cosa buffa è che Enzo, mentre recuperavo il pesce, faceva fotografie alle mie smorfie e poi, dopo lo scatto, si sporgeva oltre il parapetto a vomitare. Ho la sua autorizzazione a scrivere che “non ha lo stomaco per il mare aperto”, però gli va dato merito di un certo spirito nell’affrontare un simile disagio. In qualche modo, il “satanasso”, se la cava sempre.
Nelle ore successive abbiamo continuato ad esplorare il mare e a testare esche con risultati alterni. Nessun altro pesce ha deciso di lasciarsi prendere e così, quando ormai il sole era tramontato, abbiamo fatto ritorno verso casa illuminando le onde con il faro. Una volta alla barriera siamo rientrati affidandoci quasi interamente all’eco-scandaglio e alle mappe per superare indenni il corallo. Sembrava di stare sull’Ottobre Rosso.
Per chiudere la serata Dusko, dopo una rapida doccia, ci ha invitato a cena cucinando spaghetti ed uno dei Lampuga. Ci siamo scolati un po’ di birre ascoltando racconti di mare e di pesca per poi crollare quasi incoscienti per la stanchezza nelle nostre brande. Mentre avevo ancora il mare nel letto e le onde continuavano a scuotermi il materasso con il “mal di terra” mi sono tornati in mente i delfini e la sensazione viva del vento e degli spruzzi d’acqua salata. Un anno fa ero in Tibet sul tetto del mondo ed oggi ero a pescare nell’oceano. Ogni tanto mi sento uno stupido che sta perdendo il controllo della propria vita, ogni tanto però diventa così intensa che è impossibile non sentirla mia. Non so cosa diavolo stia combinando ma mi piace e forse può andar bene anche così, su una barca di slavi con Enzo che vomita in mezzo all’oceano.
Notte gente, aspettando l’Africa un abbraccio da quello squinternato di Birillo.
Qualche giorno fa vi ho parlato dell’equinozio e dell’arrivo, puntuale come un orologio svizzero, della stagione delle piogge.
Il clima qui è veramente strano, il cambiamento è stato radicale. Impossibile non accorgersi del cambio di stagione. Ogni giorno piove almeno un paio di volte, la temperatura si è solo leggermente abbassata ma il sole non morde più la pelle. La luce è diversa, i colori sono meno accesi, meno brillanti ed il cielo è affollato di nuvole. Lo sfavillio ed il brio dell’estate è sparito nel giro di una notte, ora tutto sembra più quieto. Non c’è più il vento che soffiava ogni sera ed il mare è quasi sempre piatto e di un colore meno brillante.
Anche gli ultimi turisti sono scomparsi e nessuno prende più il sole in spiaggia, i bambini sono finalmente liberi di giocare a palla sulla sabbia. I ragazzi che gestiscono i baretti ed i chioschi stanno cominciando i preparativi per tornare sul continente e si fermano volentieri a chiacchierare con i due nzungo coperti di ruggine. Fino alla fine di Luglio la magnifica isola tropicale di Zanzibar si riposerà nella tranquillità delle sue piogge pomeridiane.
Fino a pochi giorni fa i colori, i profumi, il rumore del mare e l’intenso calore del sole sembravano trasudare vita: era l’apice esplosivo di questa natura tropicale. Era impossibile non essere coivolti da quell’ambiente, da quella tensione quasi palpabile. Ora, raggiunto il suo massimo, perpetrata la vita attraverso i frutti dell’estate, sembra che ogni cosa si riposi. La quiete dopo la frenesia riproduttiva. Ho idea che Madre Natura, esausta e spettinata, si sia accesa una sigaretta e stia facendo grandi anelli di fumo compiaciuta: anche quest’anno la vita ha fatto il suo corso, ora preparerà la valigia per andare ad accoppiarsi dall’altra parte del mondo.
Anche noi abbiamo quasi terminato le nostre attività artistiche con Vivide e gli altri fundi. Tra poco più di una settimana lasceremo l’isola per cominciare la nostra esplorazione del continente, l’altra metà del nostro viaggio. Cosa ci aspetti ancora non lo so, Zanzibar è una piccola isola, quasi un’eccezione in Africa.
Io mi sento come dopo una festa, dopo una lunga serata ad una mostra di Enzo: hai lavorato, parlato con tante persone, raccontato viaggi, ti sei divertito ma la stanchezza comincia a farsi sentire e non vedi l’ora di smontare i pezzi e andartene a dormire. La musica è finita, le luci sono più morbide ed il locale è quasi vuoto e silenzioso. Ti concedi un goccio di rum o un montenegro al bancone per chiudere serata ma, mentre ti godi la “santa pace”, vedi la ragazza che hai tenuto d’occhio tutta la sera: si è fermata per un’ ultima sigaretta o forse solo per fare due chiacchiere. Guardi il bicchiere, potresti andartene a casa, far finta di niente, ma Lei è qui, ora. Devi scegliere. Lei ti guarda e prima che tu te ne renda conto hai attaccato bottone, stai scambiando due parole ma ancora non sai nemmeno se ti interessa, nemmeno se le piaci. Però sei lì, tra il bicchiere ed i suoi occhi che ti guardano.
Le luci ed i fasti dell’estate sono finiti lasciando posto al chiaro scuro e ai colori morbidi dell’autunno. La ragazza che mi guarda, appena al di là del mare, si chiama Africa. C’è gente che ha perso la testa per Lei. Potrei andarmene, è passato un mese e mezzo, potrei tornarmente a casa, ma Lei è qui. Mi guarda ed abbiamo già cominciato a parlare anche se non so molto di Lei. Speriamo di non far brutta figura, speriamo di piacerle.
L’esperienza mi ha insegnato che è inutile cercare di scoprire i segreti di una donna: non servono trucchi, ti mostrerà di Lei solo quello che ha già deciso di mostrarti. E’ più dignitoso spogliarsi dei preconcetti e semplicemente stare a guardare quello che succede. In fondo non è nemmeno la prima volta che mi ritrovo nudo con gli scarponi…
Enzo stava disegnando con il gesso sul pavimento dell’officina mentre discuteva con gli architetti su come ancorare alle pareti la statua fatta da Vivide. Visto che non era richiesto l’intervento nè dell’interprete nè dell’aiutante (che poi sarei sempre io!!) ne ho approfittato per sgattaiolare fuori. Un ragazzo in cantiere mi ha aveva prestato una bicicletta, una sgangherata graziella, e così ho potuto lanciarmi sulla spiaggia pedalando sulla sabbia compatta del bagnasciuga. Non ero mai andato in bici così vicino al mare: si fila come missili!!
Dopo quasi cinque chilometri la spiaggia finiva e la costa diventava una frastagliata scogliera di corallo scuro. Ho legato la bicicletta ad una palma nascondendola alla meglio prima di proseguire a piedi lungo la roccia. Le mie “informazioni” erano giuste. Il mare da lì a poco cominciava a filtrare in piccoli canali attraverso gli scogli formando una piccola laguna interna avvolta dalla vegetazione e dalla penombra. Con “circospezione” mi sono infilato in quell’antro verde. Quello che realmente stavo cercano non lo avevo trovato ma, in copenso, mi sono ritrovato davanti un anziano africano con uno scolorito cappellino azzurro in testa e la barba bianca: Babu Amcha. Mi ha salutato con un grande sorriso mentre provavo a fargli capire cosa stessi cercando: “Mambo. I’m looking for turtles. Kobe, Kobe. Where are Kobe?”
Sì, avevo fatto tutta quella strada perchè ero curioso di vedere le tartarughe di mare ma non riuscivo a scorgerne nessuna nell’acqua. Il vecchio si è messo a ridere, “Kobe, Kobe” ripeteva insieme a mille altre parole in Swahili che non capivo. Poi si è infilato in acqua con un secchio pieno di alghe credo, o quantomeno una strana insalta inzuppata d’acqua. Si è messo a battere con le mani lanciando quella strana roba verde ed invitandomi ad entrare in acqua. Potevo dirgli di no?
Così, in pantaloncini corti e sandali, mi sono infilato in acqua fino alla vita. Da un piccolo canale, silenziosa, è apparsa una tartaruga: le “gambe” davanti sembravano le pinne dell’aliscafo di Como mentre avanzava verso il vecchio ingoiando quella strana insalata. Il solo guscio era lungo più di mezzo metro, il collo e la testa erano più grandi del mio braccio. Quando è stata vicina ho potuto vedere bene il becco, inaspettatamente frastagliato, e le strane unghie a metà delle pinne davanti. Dopo la prima ne sono arrivate altre e così, prima che potessi rendermene conto, ero circondato da 8 altre tartarughe!!
Nove becchi ad altezza palle: non è che fossi del tutto sereno!! Ma ecco che, quasi a spintoni, si è fatta strada un’ altra tartuga, la più grossa. Ho recuperato la macchina fotografica e fatto qualche foto mentre il vecchio si divertiva a giocare con le tartarughe sbatacchaindole un po’. Ne ha sollevata una, la più piccola, e me l’ha passata. Nonostante fossimo in acqua pesava come un accidente!! Visto che non sapevo bene come maneggiarla l’ho rimessa subito al suo posto tenendo d’occhio quel dannato becco!!
Sono animali strani: goffi e lenti fino a che, dopo aver preso la mira, muovono il collo diventando saette. Sarei stato curioso di vedere come nuotano in mare senza l’impedimento delle rocce e del fondale basso.
Quando il vecchio è uscito dall’acqua se ne sono state ancora un po’ nella pozza e poi, alla spicciolata, se ne sono andate attraverso i canali da cui erano venute. “Il genio delle tartarughe” continuava a sorridere e così, visto che ormai era chiaro, gli ho allungato un biglietto di scellini tanzani con l’elefante sopra. A quel punto sorrideva anche di più…
Visto che ormai si faceva tardi me ne sono tornato alla bicicletta con la speranza che nessuno se la fosse fregata ma, averla ritrovata, non mi ha facilitato molto il viaggio di ritorno. Se all’andata, con la bassa marea ed il vento a favore, me l’ero spassata al rientro, con il vento contro, l’alta marea ed il culo bagnato, non è stato altrettanto spassoso!!
Ieri eravamo a nord dell’isola di Zanzibar, in visita ad un cantiere gestito da italiani dove lavorano quasi 400 operai locali alla costruzione di un resort. Le donne africane, che lavorano con gli uomini nonostante l’isola sia di religione islamica, sono abituate a portare di tutto in equilibrio sulla testa. Ho visto una di loro appoggiare sulla testa una mazza da carpentiere come se nulla fosse, camminare per una trentina di metri e fermarsi a parlare con la stessa naturalezza di chi indossi un semplice cappellino. Se ne andava in giro con un martello sulla testa e, quando le ho fatto una foto, mi ha sorriso facendomi persino una linguaccia per nulla imbarazzata.
La ragazza con il martello
Posso dirvi che mentre camminano in quel modo, con quell’incedere leggero nonostante il peso in equilibrio, diventano magnifiche. Il loro corpo assume una postura che è l’essenza stessa della femminilità: la testa alta, la schiena dritta, il petto in avanti, i fianchi si muovono senza lasciare che le spalle si abbassino mentre i piedi scivolano leggeri. Magnifiche statue di donna che si illuminano in un sorriso.
Se siete a caccia di un fidanzato fate qualche giro per casa con un libro in testa: la differenza sarà abissale!!
Mentre Enzo confabulava con un architetto italiano ed un’arredatore francese mi sono eclissato approfittandone per andare ad esplorare la scogliera corallina che dava sull’oceano. Da quegli scogli, neri da sembrare vulcanici, ho potuto imparare altre cose sulle donne locali, godermi sul mare uno spettacolo inatteso: con la bassa merea un gruppo di ragazze, con i loro colorati vestiti e gli sgargianti copricapo, camminavano sul fondale roccioso con l’acqua appena sopra il ginocchio. Due di loro avanzavano tenendo tesa una fitta rete verso le compagne che, a loro volta, avanzavano battendo le mani in acqua e cantando. Quando alla fine si ritrovano strette in cerchio raccoglievano i pesci catturati prima di spostarsi di nuovo. Cantavano allegre e, sebbene distante, potevo capire dalle loro risate come stasse andando la pesca o se avevano avvistato un gruppo di pesci.
Certo, in città molte indossano il velo ed è ritenuto offensivo mostrarsi troppo discinte in spiaggia, ma Zanzibar è il primo paese mussulmano in cui vedo le donne godere di tanta libertà, sia nei modi che nei confronti degli uomini. E’ qualcosa che mi fa ben sperare, soprattutto perchè gli uomini sono aperti con le donne ma comunque molto rispettosi.
Le donne di qui sono molto dolci e molto belle nei loro lineamenti esotici. Tutte estremamente gentili. Tuttavia sono pur sempre donne e per questo sanno essere pericolose quanto ingenue. Dalla quantità di marmocchi scuri con i lineamenti occidentali che vedo gironzolare ho l’impressione che purtroppo spesso qualcuno se ne aprofitti. E’ un peccato che sorrisi così allegri siano ingannati da illusioni e false promesse. In compenso quelle pericolose sono pericolose per davvero: non ho ancora ben capito ma nel spingere le ragazze alla prostituzione oltre al denaro qui si tira in ballo persino il vodoo. Qui la stregoneria africana è apertamente praticata e vi è persino una piccola isoletta dove vivono gli stregoni il cui accesso è rigorosamente proibito agli stranieri. Come al solito vedrò di scoprire di più senza finire nei soliti guai.
Ma Birillo e le donne africane? Bhe io sono un montagnino:“Mogli e buoi dei paesi tuoi”. Per di più questa volta prima di partire mi sono fatto “incastare” da una tipa scorbutica e vendicativa proprio ad Asso. Ho paura che me lo faccia lei il vodoo se non sto attento!! Niente esotici frutti della passione per me!!
Un bacio alla mia “pita”!!
Davide “Birillo” Valsecchi
Riporto qui alcune “Cianotipie” realizzate da Enzo Santambrogio: da più di dieci anni Enzo vive stabilmente a Zanzibar, dove continua la sua ricerca artistica sia come fotografo, sia come scultore ed ora anche come profumiere.
(Per Info “Enzo Santambrogio Facebook” e “Aqua di Zanzibar”).