Kailash, il centro tibetano dell’Universo

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KailashOra voglio raccontarvi la nascita di un idea, il germoglio da cui un idea trae origine.

Una piccola pianta che accudita con speranza forse sboccierà dando in dono il frutto della conoscenza.

Un frutto da assoporare quando sulla pelle senti la polvere del mondo, quando  sporco, livido ed arruffato attraversi con lo sguardo gli spazi sconfinati sentendo la vibrante scintilla della tua vita brillare come mai altrove.

Un frutto da assaporare sentendo il centro caldo dell’universo danzare con la propria sconsiderata follia.

Un attimo nell’immenso dello spazio e del tempo che appartiene solo a te, alla tua vita e ad ogni passo con cui l’attraversi:

La montagna più sacra del mondo si trova in Tibet. E’ il Monte Kailash, 6.714 m, una montagna venerata da oltre mezzo miliardo di persone in India, Tibet, Nepal e Bhutan, sacra ai fedeli di quattro religioni.

Per i tibetani di fede Bon, il Kailash è il “gigante di cristallo” sul quale Thonpa Shenrab, il fondatore della religione Bön, discese sulla Terra dal cielo. Essi  chiamano il Kailash con due nomi differenti: Tise “Gioiello di neve glaciale” e Kang Rimpoche, che è il titolo riservato ai lama di massimo rango, ossia ai sommi sacerdoti buddisti.

Gli induisti lo considerano la dimora di Shiva che vi risiede insieme alla consorte Parvati. Per i buddisti è la dimora della divinità tantrica Chakrasamvara e della sua consorte Vajravarahi. Gli jainisti lo adorano come Monte Ashtapada, il luogo dove il grande saggio e fondatore della religione Rishabanatha ricevette l’illuminazione.

Situato sull’Altopiano del Tibet dietro la catena principale dell’Himalaya il monte Kailash si erge solitario nel punto più elevato dell’altopiano del Tibet poco toccato dalle  piogge monsoniche, si staglia  contro un cielo limpido, ed è considerato il “centro dell’Universo”

In questa zona sgorgano i quattro principali fiumi del subcontinente indiano: il Karnali, importante affluente del Gange, l’Indo, il Brahmaputra e il Sutlej.  Le loro  sorgenti si trovano tutte  nel raggio di 100 km, da qui si diramano verso i rispettivi estuari che sono a più di 2000 km di distanza l’uno dall’altro.

Collocato su di un piedistallo di roccia striata, con la sua cupola di neve che scintilla al sole, il Kailash con la sua forma perfetta fonde insieme gli estremi dell’ascetismo spirituale e della ricchezza e bellezza materiale.

I tibetani spesso paragonano la sua vetta al tetto a pagoda della reggia di una divinità o al reliquiario di un santo. Per loro come per gli induisti dell’India, il Kailash è la montagna sacra per eccellenza, quella che sognano di contemplare almeno una volta nella vita.

Ritengono che il Kailash sia il centro di un mandala, o sacro cerchio, che rappresenta lo spazio divino di Demchog, dove possono recarsi per apprendere la potenza e la saggezza che li renderanno liberi dalla schiavitù della sofferenza.

Il pellegrinaggio alla montagna,  significa quindi raggiungere il centro stesso dell’universo, il punto cosmico dove ogni cosa ha inizio e fine, la sorgente divina di tutto ciò che esiste e ha significato.

I pellegrini sia i laici che i lama compiono lunghi viaggi di settimane o anche di mesi verso la  montagna sacra per apprendere la rivelazione che mostrerà loro la via per trascendere le passioni e le illusioni di questo mondo.

Il Kora, il percorso circolare che viene compiuto in senso orario attorno alla montagna sacra, è la meta finale del pellegrinaggio, occorrono di solito tre giorni, con frequenti soste ai santuari e ai templi per pregare e compiere riti.

Alcuni pellegrini tibetani, per accrescere il merito religioso della loro impresa, impiegano molto più tempo, prostrandosi a terra lungo tutto il percorso attorno alla montagna, imperturbabili di fronte alle asperità del terreno.

Il punto culminante del pellegrinaggio è il Dolma La, un valico situato sul versante nordorientale del monte Kailash ben oltre i cinquemila metri di altezza, adorno di bandiere di preghiera infilate tra rocce e massi. Appena prima del valico i tibetani lasciano indietro qualcosa di sé:  un capo di vestiario, una ciocca di capelli, un dente, come simbolo della propria morte e della rinascita ad una nuova vita più spirituale.

Questo è il seme, ora serve amore per farlo crescere.

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