Indiana Enzo ed il monastero perduto!!

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Monasteri, stupa, templi e moschee. Nel nostro viaggio abbiamo visitato i luoghi di culto delle più disparate e disperate religioni. Qulacuno ben conservato, qualcuno trasformato in una piccola Gardaland ma molti, purtroppo, in rovina o addirittura semi-distrutti. Se devo essere onesto i miei preferiti sono questi ultimi.

I monasteri sono ed erano luoghi di aggregazione religiosa e culturale molto importanti ma, alla luce del secondo millennio, conservano ai miei occhi più un fascino sociale che mistico, sono certamente impreniati di magia ma è molto difficile riuscire a scorgerla. Se siete a caccia di monaci volanti o altre diavolerie da B-movie non potrete che rimanere delusi, al contrario, se sapete cosa state cercando, può rivelarsi un posto molto interessante.

Come vi dicevo i miei preferiti sono quelli abbandonati e mezzi distrutti. Non interessano ai turisti e di solito sono troppo isolati e pericolanti perchè qualcuno ci si avventuri in cerca di cimeli. Tuttavia, con qualche precauzione, è possibile scoprire molte cose sul loro passato e sulle persone che lo abitavano. Ovviamente se non vi crolla tutto addosso o non precipitate attraverso un pavimento.

Uno dei miei preferiti si trova nel Marka sopra una piccola altura, completamente abbandonato. Non era uno di quei monasteri dove si trovano le grandi statue del Buddha o i magnifici dipinti di divinità o demoni, era probabilmente una vecchia fortezza riaddattata per diventare un riparo per un gruppo di monaci nella valle. Credo fosse una fortezza in tempi antichi perchè aveva un unica via di accesso attraverso una piccola rampa, ora in parte crollata, e dominava il territorio sottostante arroccata su alte pareti a strapiombo su cui correvano terrapieni che ne aumentavano l’altezza.

Quando abbiamo superato la rampa siamo entrati in un minuscolo cortiletto e da qui, attraverso strette porte, siamo entrati nel cuore della struttura. Le stanze, basse e spoglie, conservavano ancora molte traccie della vita che si svolgeva al suo interno. Si poteva infatti individuare le cucine grazie al focolare, ad una specie di forno e alla quantità di vasellame e piatti in frantumi ed abbandonati nella stanza. Altre stanze, ancora più piccole, potevano essere adibite a dormitorio e forse alcune anche a piccole celle di ritiro per i monaci. Stanze più ampie attraversate da colonnati potevano essere spazi comuni o luoghi di preghiera, qualcosa di molto simile a quanto incontrato in altri monasteri.

Di tutte queste stanze una ci ha appassionato in modo particolare: una specie di piccola torre raggiungibile grazie ad una ripida scala di sasso posta a lato di tutto l’edificio e a strapiombo sulla valle. Sembrava abbastanza pericolante ma siamo saliti lo stesso spinti dalla curiosita per i tanti oggetti che ancora erano presenti.
Sul pavimento erano infatti sparsi utensili molto simili a quelli da cucina, molti vasi, ed alcuni fornelli.Non capivo che cosa potesse servire una seconda cucina in una parte tanto isolata dal resto del monastero.

Frugando tra le tante cose impolverate sul pavimento è apparsa una piccola cesta di paglia ormai consumata dal tempo, si è sfasciata al solo afferrarla lasciando cadere il suo strano contenuto. All’interno si trovavano infatti dei piccoli panetti gialli che si sono rivelati essere zolfo. I panetti sembrano essere stati realizzati sciogliendo lo zolfo fuso, o comunque allo stato liquido, all’interno di formine rotonde.

Sò che a nord di Skiu, in alta quota, si trova una piccola sorgente di acqua calda ed è probabilmente da lì che proveniva quello zolfo.La domanda era: “Che ci fa un sacco pieno di panetti di zolfo in una cucina?”. La risposta è semplice “Nulla, perchè non è una cucina”.

I nostri monasteri erano spesso il luogo dove la cultura incontrava la scienza e la tecnologia e non ho dubbi a credere che lo stesso avvenisse anche per i buddisti. La parola che più mi risuonava in testa guardando quella stanza era “alchimista” e probabilmente era il laboratorio di uno o più monaci dediti a qualche pratica di tipo scientifico o magico. La torre dei maghi o per lo meno dei dotti in qualche disciplina legata alla chimica o alla medicina. Un ipotesi molto affasciante.

Non ho idea di cosa potessero servire quei panetti di zolfo ma non credo fossero utilizzati come combustibile o simili e, a giudicare dai mortai in sasso ancora presenti, erano probabilemente sbriciolati ed utlizzati come componente per qualche intruglio. Enrico si è dato da fare a cercare la pietra filosofale tra quelle cianfrusaglie ma non è riuscito a trovare nulla.

Un ultimo particolare, forse inquietante lasciando correre l’immaginazione, erano delle strane croci di legno che abbiamo trovato nel piccolo cortile. Le croci, realizzate con sottili bacchette di legno, avevano le estremità dei bracci unite da sottili cordicelle, credo di lana o di qualche tipo di filato, che formavano rombi concentrici. Non sembrava uno strumento per filare o tessere perchè troppo fragile e su ogni croce c’era lo stesso numero di fili e nulla più. Sembrava una specie di “acchiappa sogni” o comunque qualcosa legato a qualche rito piuttosto che ad uno scopo pratico. Mi ricordavano tanto le bamboline che faceva la strega di Blair prima di ammazzare le sue vittime e per questo motivo, oltre ovviamente al dovuto rispetto per un luogo di culto, mi sono guardato bene dal tenermene una anche se mi piacerebbe scoprirne lo scopo.

Ma ormai era tardi e tra il laboratorio dell’alchimista e le croci misteriose si era fatta ora di toranare al campo e prepararsi per la notte, sempre sperando che la cugina tibetana della strega di Blair non si fosse offesa per l’inconsueta incursione dei due assesi tra le rovine del monastero dell’alchimista buddista. Per ora sembra di no, vedremo…

Davide “Birillo” Valsecchi

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